Linguaggi inclusivi tra terminologia e cinematografia: ne parlo con Stefania Ratzingeer

 

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Io: Ciao, Stefania. Grazie per aver accettato quest’intervista.

S.: Grazie a te. Mi fai sentire importante.

Io: Tu sei una docente d’italiano e hai scritto una tesi sulla democrazia linguistica. Cosa ne pensi del dibattito sul maschile sovraesteso nella nostra grammatica e sui nomi professionali al femminile?

S.: Io non insegno italiano, ma italiano seconda lingua. Ho scritto una tesi sull’ipotesi di democratizzazione della lingua dominante e sulla teorizzazione di una lingua comune per tutti, ovvero l’esperanto. Per quanto riguarda la lingua italiana, al momento credo che sia necessario introdurre termini che identifichino professionalmente anche il femminile, perché è dal linguaggio che passa la normalizzazione di concetti ancora eccessivamente stereotipati. In Italiano non abbiamo a disposizione pronomi neutri, come succede ad esempio con lo Svedese e con altre lingue di matrice anglosassone, e questo crea un importante ostacolo alla creazione prima dell’idea e poi della concretizzazione dell’esistenza di determinate figure professionali (e non) scevre da distinzioni di genere.

Io: Hai in parte anticipato la domanda successiva. Vorrei chiederti, infatti, qual è la tua opinione su asterisco, scevà e altre desinenze per superare il binarismo di genere.

S.:  E’ assolutamente necessario introdurre nella lingua italiana espedienti grammaticali che ci permettano di non concentrarci sul binarismo di genere, per poter passare dal concetto alla realtà. Sono piuttosto sfiduciata per quanto riguarda le tempistiche di questo cambiamento linguistico: l’italiano è una lingua che cambia in modo biologico, non a tavolino. Istituzioni come la nota Accademia della Crusca si occupano di legiferare in merito ai neologismi, ma si tratta di costrutti che nascono spontaneamente e non di decisioni prese a tavolino: per quanto riguarda l’annullamento nel linguaggio di quella che è una vera e propria discriminazione bisognerebbe valutare un intervento a tavolino, che va tuttavia contro le dinamiche di apprendimento cui siamo abituati. I tempi sono lunghi quindi, credo se ne possa parlare in modo sistematico almeno tra un paio di generazioni, iniziando a contare già dalla prossima, ma è una visione ottimistica.

Io: Sei anche una cultrice di cinema. Da qualche mese collabori con il sito agit-porn attraverso una rubrica di recensioni cinematografiche, nella quale rileggi trame di film horror in chiave pornografica. Come è nata quest’idea?

S.: Quest’idea è nata dal fatto che ho conosciuto Claudia Ska, la fondatrice di agit-porn insieme a Gea Di Bella, fondatrice di “La camera di Valentina”.  Parlando insieme a Claudia, è uscita fuori la mia passione per il cinema e abbiamo pensato che tra l’horror e il porno potessero esserci degli elementi in comune per via delle reazioni emotive che entrambi i generi suscitano: eccitazione nel caso del porno, paura nel caso dell’horror. Nell’horror c’è anche il fatto che spesso i personaggi vivono situazioni di non inclusione, oltre ad essere pure degli assassini, come nel film Psyco (di cui ho parlato nel mio ultimo articolo) o come (in un altro film di cui non ho ancora scritto) in Non aprite quella porta.

Ho messo insieme, quindi, due mie passioni, il cinema e il sesso, ed è nata una collaborazione proficua tra me e Claudia.

Io: Ci sono punti in comune fra il linguaggio letterario e il linguaggio cinematografico? Se sì, quali sono?

S: Io non sono particolarmente autorevole in materia ma una cosa su cui vorrei porre l’accento è la narrazione. Il cinema narra e la letteratura narra. Soprattutto i personaggi che nascono in contesti difficili hanno bisogno della narrazione. Oggi credo sia ancor più importante la contronarrazione. E’ quello che sto cercando di fare su agit-porn, rileggendo le trame di alcuni film conosciuti e creando delle contronarrazioni che le rendano meno tragiche. Per esempio, in uno dei film della saga di Alien c’è una narrazione traumatica di un aborto. Una contronarrazione potrebbe essere la rinuncia alla maternità non vista come un dramma ma come una libera scelta.

Riguardo alla letteratura, i romanzi evocano immagini nel lettore. Nel cinema, soprattutto mediorientale, esiste anche una tecnica di tipo evocativo. Il cinema horror è molto evocativo. Anche il cinema porno lo è. Penso, quindi, che anche da questo punto di vista cinema e letteratura si capiscano molto.

Io: Grazie per le tue risposte.

Donatella Quattrone

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Relazioni e intersezionalità dei diritti da un punto di vista anche psicologico: ne parlo con hello_policose (Dott.ssa Dania Piras)

Il cervello umano ha fatto il ‹del †del ‹del †con le maniDal web (immagine libera da diritti)

Donatella Quattrone: Ciao, hello_policose. Grazie per aver accettato di fare quest’intervista.
Tu sei psicologa ed attivista. Come concili le due cose?

Hello_Policose: grazie a te per avermi pensata e avermela proposta . All’inizio ho avuto mille dubbi su come fare, e ti confesso che non sono particolarmente diminuiti. Ciò che mi guida è la forte credenza che la psicologia non possa essere slegata dal tema dei diritti umani. Il mio è un lavoro di cura, di ascolto, di accoglienza, e non può prescindere dalla comprensione (e non semplice accettazione) della diversità. Ritengo necessario un approccio culturalmente umile a qualsiasi storia io incontri. Trovo questa modalità molto coerente con il mio essere attivista, dove non mi limito solo ad ascoltare, ma alzo anche la voce in difesa delle idee in cui credo. Il mio problema principale, al momento, è che su alcuni temi è faticoso mantenere un’immagine “decorosa” come viene richiesta dalla deontologia e allo stesso tempo esporsi in modo provocatorio per veicolari messaggi (ad esempio usando il corpo come territorio di protesta). Viaggio sempre sul confine e incrocio le dita.

Donatella Quattrone: Ti occupi, tra l’atro, di poliamore, tematiche Lgbtqia+, sex positivity. Quanto è difficile decostruire le convinzioni apprese per poter affrontare queste tematiche, in ambito psicologico, in una modalità il più possibile libera da pregiudizi?

Hello_Policose: Ho iniziato la mia decostruzione personale al liceo , quando ho scoperto la filosofia.
Negli anni mi sono sempre fatta domande, e grandissimi spunti sono arrivati all’università studiando sociologia e antropologia. Ho capito che il mondo che vediamo ogni giorno è solo uno dei tanti mondi che l’essere umano si è costruito nella Storia, e che ciò che crediamo vero o “normale” è assolutamente relativo alle nostre sovrastrutture culturali.
Essere nudi nel centro della foresta amazzonica non ha lo stesso significato che mostrarsi nudi in Europa. Il fatto che qui la nudità sia sessualizzata e scandalosa è una convenzione, il frutto di una serie di storie che si sono evolute e intrecciate, ma non esiste un meglio o un peggio. Lo stesso dicasi per le credenze sulla monogamia, gli orientamenti sessuali e altri concetti!
La parte più difficile della decostruzione è arrivata quando ho deciso di diventare un’attivista su Instagram, dove ho scoperto altre persone nel pieno del loro processo decostruttivo, che mi hanno insegnato tantissimo, sia come contenuti, sia come qualità delle domande che avrei potuto continuare a pormi. Il processo non è finito, ogni giorno scopro qualcosa di nuovo da riconsiderare sotto una nuova luce, e ad oggi posso dirti che è un’attività molto piacevole per me! Mi dà molta gioia. La parte complicata è riuscire a comunicare con chi questo processo non ha le forze o la voglia di iniziarlo.

Donatella Quattrone: Perché, secondo te, è importante l’intersezionalità nel femminismo?

Hello_Policose: Il femminismo è una teoria politica e filosofica complessa, composta da molte sfaccettature. Esistono vari femminismi, non ti nego che alcuni li temo un po’, come quello delle TERF. Esiste anche il femminismo liberale, che in sostanza desidera dare alle donne gli stessi privilegi degli uomini, per rompere il glass ceiling. L’errore fondamentale alla base di questo femminismo è che sembra il pianto di un bambin@ che dice “lo voglio anche io”, invece di rendersi conto che anche poter dire questa frase è un privilegio. Significa perlomeno che avresti la possibilità di ascendere nella tua posizione di classe, che puoi studiare, che sai leggere, che sei abile. Non tutte le donne del mondo hanno questa possibilità. Il femminismo intersezionale invece prende in considerazione l’intersezionalità dell’oppressione, e non si occupa solo di donne, ma vede un problema nel sistema, un sistema che opprime uomini e donne e anche persone non binarie, di qualsiasi etnia, con qualsiasi orientamento sessuale, con qualsiasi disabilità, con qualsiasi tipo di corpo.
E’ un femminismo che tende a decostruire per creare qualcosa di migliore, non per dare solo a chi riesce ad alzare meglio la voce perchè ha il megafono in mano. Oltre al fatto che essendo tutty vittime di varie oppressioni, nell’intersezionalità possiamo trovare una sorellanza e fratellanza che può veramente fare la differenza. Non è una gara a chi sta peggio.
Donatella Quattrone: Da psicologa, quanto consideri importante l’educazione affettiva e sessuale? Andrebbe affrontata nelle scuole e a partire da quale età?
Hello_Policose: Per me l’educazione sessuale e affettiva è FONDAMENTALE.
Vorrei citare un passo del Manifesto degli Esploratori Sessuali di Ayzad: “Non serve essere fini psicologi per capire che una vita sessuale irrisolta – derivante a sua volta da una cattiva o del tutto assente educazione all’affettività – sia all’origine di disagi di ogni scala, da quella individuale alla più ampia scala sociale. Coppie in difficoltà, violenze di genere, discriminazioni, soprusi, conflitti culturali, perfino intere crisi internazionali possono farsi risalire con impressionante evidenza a una grande infelicità erotica di fondo, esacerbata dall’ipersessualizzazione delle informazioni che ci bombardano costantemente.”
Credo che la gigantesca idiosincrasia di un mondo sessuofobico che ci vende persino gli yogurt alludendo al sesso sia veramente una delle cause maggiori di moltissimi problemi sociali. Per non parlare poi di tutto il tema del consenso e dell’attenzione all’Altro, che molte persone non sanno nemmeno cosa sia. Spesso i bimby vengono forzati a ricevere un bacio o un abbraccio, da un coetaneo o dalla zia di turno, e fatti sentire in colpa se rifiutano. Si comincia da qui, dalla prima infanzia, ad insegnare che il proprio corpo è un confine che può essere attraversato solo consensualmente, e che esplorarlo con curiosità, fare domande al riguardo, è assolutamente legittimo.
Ricordiamoci che se non diamo noi le risposte ai bambiny, loro le troveranno da altre parti, in altri modi, e non è detto che siano modi migliori. Per quello che riguarda gli adolescenty, senza ombra di dubbio, io ne farei una materia scolastica o perlomeno uno spazio settimanale di confronto e crescita dove parlare di emozioni, relazioni, comunicazione, sessualità, parità di genere, paure, futuro e studiare anche un minimo la storia delle relazioni nell’essere umano non sarebbe una cattiva idea. Ma io sono una sognatrice utopistica, forse.

Donatella Quattrone: Come si può imparare a riconoscere dipendenza affettiva e relazioni tossiche?
Hello_Policose: Non credo ci sia un metodo universale, ma sicuramente ci sono dei campanelli d’allarme.
Partiamo dal fatto che ognun@ di noi dovrebbe essere sufficientemente centrato e consapevole delle sue fragilità e dei suoi bisogni, ed esserne responsabile.
Ovviamente sarà difficile esserlo al 100%, ma diciamo che almeno in una buona parte… sarebbe auspicabile. Questo permetterebbe di non usare l’altra persona come oggetto con cui colmare i propri vuoti, su cui proiettare le proprie insicurezze, a cui chiedere di soddisfare i propri bisogni. L’Altro non ci appartiene, non ci deve nulla, deve poter scegliere ogni giorno di starci accanto: se resta perchè si sente in colpa, o perchè viene manipolato, o perchè viene ipercontrollato, sicuramente c’è qualcosa che non va. Lo stesso vale per noi, e sarebbe opportuno farsi sempre domande sulle nostre relazioni e sul perché vi restiamo dentro anche quando ci fanno sentire male. In particolare, nella nostra cultura c’è un alto livello di tossicità nel tema della gelosia, che normalizza il possesso e lo fa diventare una prova d’amore. Conosco molte coppie che a parole affermano di non essere possessive, ma poi nella pratica se l’altra persona non si mostra almeno un po’ gelosa, non si sentono amate. Scardinare questa normatività è un lavoro lungo e complesso.
Donatella Quattrone: Come consideri la gestione del tempo e delle energie da dedicare a se stess* e a tutt* i partner all’interno di una famiglia non-monogama?
Hello_Policose: La considero un’impresa titanica se non si impara a comunicare bene! La questione ovviamente non riguarda semplicemente il tempo e le energie, ma il significato che diamo ad esse. Se dedico più tempo a qualcun@, anche accidentalmente, sono consapevole di come potrebbero sentirsi gli altry?
Sono dispost@ a rassicurare, ascoltare, accogliere le eventuali emozioni altrui?
Sono capace di esprimere come mi sento senza essere passiv@-aggressiv@ quando mi sento trascurat@ oppure ho semplicemente un momento di insicurezza? Sono consapevole e responsabile delle mie emozioni, so darci un nome? So cosa mi triggera emotivamente, so spiegarlo?
Queste, e altre, sono le premesse fondamentali ad un buon equilibrio nella relazione, al di là del problema del tempo e delle risorse. Come noterai, non dovrebbero riguardare solo le non monogamie, ma un po’ tutti i tipi di relazione!

 
Donatella Quattrone: Che differenza c’è tra una relazione poliamorosa e una coppia aperta?

 
Hello_Policose: Appartengono entrambe al mondo delle non monogamie consensuali, ma la coppia aperta è più simile ad una coppia monogama che però non richiede esclusività sessuale. Questo può declinarsi in vari modi: si possono condividere partner sessuali oppure vivere una vita sessuale senza rendere conto all’altr@ (DADT: Don’t Ask, Don’t Tell). Resta però fondamentale l’esclusività sentimentale, quindi non si è aperti all’idea di relazioni con altre persone, nè al fatto che un@ dei due possa innamorarsi di altry.
Il poliamore invece esce un po’ da questa dinamica dell’esclusività sentimentale, ed è molto più fluido come modalità relazionale. Ci sono vari modi di “comporre” una relazione poliamorosa, per questo si parla in modo simpatico di “polecole”: sono tutte diverse l’una dall’altra e alcune sono molto complesse! E non è comunque detto che tutty debbano interagire o innamorarsi di tutty. La cosa fondamentale è comunque che si sta parlando di sentimenti, di amore, e di relazioni, e soprattutto di consenso. Si chiamano non monogamie consensuali per questo! 😉

(Non so se sono stata chiarissima in questa risposta).

 
Donatella Quattrone: Sei stata chiara. Come consideri il rapporto tra il movimento del poliamore e la comunità Lgbtqia+?

Hello_Policose: Penso sia un rapporto in evoluzione. Molte persone della comunità LGBTQIA+ sono anche parte della comunità poliamorosa, mentre molte altre no. Tra queste ultime, una parte (non so quanto significativa) ha alcune visioni un po’ radicali, ne cito un paio per capirci: 1) chi crede che la monogamia sia la norma e l’unico tipo di relazione valida (mononormatività) 2) chi non pensa che le persone poliamorose dovrebbero essere considerabili queer e, per esempio, partecipare al Pride (specialmente se sono eterosessuali!). I due punti non si escludono mutuamente, perciò qualcun@ sostiene entrambe le cose.
Fatta eccezione per queste “polemiche”, le due comunità si intersecano spesso e condividono il minority stress, ovvero il fatto di essere soggette a discriminazioni, stigma, patologizzazioni. Anche per questo sarebbe essenziale far fronte comune per la stessa causa, senza per questo smettere di legittimare le diverse identità.

Donatella Quattrone: Cosa si potrebbe fare, secondo te, per contrastare fenomeni come slutshaming e polishaming?

Hello_Policose: Oltre all’educazione affettiva e sessuale nelle scuole ed in famiglia, secondo me è necessario un movimento dal basso (che sta già avvenendo), una nuova rivoluzione sessuale che porti una narrazione diversa, incentrata sulla sex positivity, che smetta di interpretare i corpi e le libere scelte su di essi come qualcosa di giudicabile moralmente o di patologizzabile.
Una libertà consapevole, informata, dove ognun@ è soggetto e non oggetto passivo o vittima impotente. Una quotidianità dove i ruoli di genere vengono messi in discussione, dove gli stereotipi culturali perdono potere.
Per essere parte di questa rivoluzione penso che prima di tutto sia necessaria la forza di sopportare le conseguenze della ribellione… una forza che non è scontata, e averla è un privilegio, ricordiamocelo, perché questa è una battaglia contro un sistema potente, che non possiamo pensare di vincere in campo aperto. Quella che sta avvenendo attualmente è una guerriglia: sono piccoli sabotaggi, estenuanti, che molte persone stanno portando al sistema. Ad esempio, la rivendicazione della parola “puttana” come attributo positivo di una donna libera sessualmente e felice di godere è uno dei tanti modi che alcun@ attivist@ stanno usando per portare l’attenzione sullo slut shaming, sull’oggettificazione dei corpi femminili, sullo stigma che colpisce il mondo dell@ sex workers, sul problema che la società ha ancora con una persona che si dichiara libera di fare ciò che vuole con chi vuole.
Sembra una piccola cosa, ma è un ottimo innesco per aprire un discorso più ampio e complesso, e portare a farsi domande sul perchè le cose stiano come stanno.
Donatella Quattrone: C’’è qualcosa che vuoi aggiungere al termine di quest’intervista?

Hello_Policose: Ti ringrazio per le domande estremamente stimolanti. Vorrei aggiungere una riflessione sulla potenza dei social, che se usati bene portano davvero dei cambiamenti incredibili nelle vite dei singoli e anche – perché no – nella società.
La rete di attivist@ di cui ho parlato è in espansione e io non la vivo solo come una realtà virtuale. Sono persone vere, che spendono tempo (unica cosa che ci appartiene davvero, come dice Seneca) e grande energia per fare divulgazione. La maggior parte sono molto giovani e competenti, fanno letture impegnative, si mettono in gioco per dialogare e imparare da chi capita sulla loro pagina. Tutto questo mi riempie il cuore di gioia e onestamente mi dà molta fiducia nel futuro, perché prima di entrare a far parte di questa fetta di mondo mi sentivo un po’ una specie di Don Chisciotte senza speranza, oltre che priva di mezzi e incapace di sentirmi un agente efficace di cambiamento anche nel mio piccolo. Ora avverto la potenza di questo metterci la faccia, tutty insieme, e di non stare in silenzio o indifferenti di fronte alle cose ingiuste. Su di me, personalmente, tutto questo ha avuto un effetto terapeutico. Il mio augurio è che possa averlo per chiunque altr@ in questo momento si sente sol@ e scoraggiat@ come la sono stata io.

Grazie ancora per l’intervista,

Dott.ssa Dania Piras

Donatella Quattrone: grazie a te per la disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

D. Q.

Il difficile dibattito in Italia per un linguaggio inclusivo

di Alessandra Vescio

Il 25 luglio scorso, il giornalista Mattia Feltri ha dedicato la sua rubrica “Buongiorno” sul quotidiano La Stampa al tema dell’asterisco e dello schwa [ndr, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale], soluzioni di cui da anni si discute negli studi di genere e in linguistica nell’ottica di creare un linguaggio inclusivo. Sarcasticamente intitolato “Allarmi siam fascistə”, nel suo pezzo Feltri ha schernito le proposte, considerandole di difficile applicazione, uso e pronuncia, e ha attribuito la soluzione dello schwa a “un’accademica della Crusca” che ne avrebbe – a suo dire – parlato su Facebook.

Pochi giorni dopo, il Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini ha inviato una lettera di risposta al direttore de La Stampa Massimo Giannini per fare alcune precisazioni: “La notizia che un’accademica della Crusca si sarebbe pronunciata a favore dell’utilizzo dello schwa e dell’asterisco […] è falsa in tutti i sensi”, non solo perché “la persona con cui Mattia Feltri polemizzava non è affatto accademica della Crusca” e non lo è “da parecchio tempo”, ma anche perché “nessun accademico […] ha sostenuto quelle tesi”, anzi in più occasioni l’istituzione ha manifestato la stessa linea espressa da Feltri. Concludendo con “Ci riserviamo di difendere comunque nelle sedi opportune il buon nome dell’Accademia”, il presidente Marazzini ha dunque criticato l’operato del giornalista in particolar modo per aver associato l’istituzione a una (ex) collaboratrice e alle sue tesi, ma ha anche fatto emergere una certa affinità con Feltri e non soltanto per le posizioni sulle questioni linguistiche. Com’è stato infatti fatto notare dalla scrittrice Carolina Capria e dalla giornalista e autrice Loredana Lipperini, né il Presidente dell’Accademia della Crusca né Mattia Feltri hanno fatto il nome della donna di cui stavano parlando, mostrando così non solo la volontà di dissociarsi da lei e dai temi di cui si occupa, ma anche di svilirne il lavoro e la dignità personale e professionale. Una posizione che l’Accademia ha ribadito anche in un post successivo, pubblicato il 3 agosto, in cui il Presidente Marazzini ha parlato di “disinvolta leggerezza” con cui La Stampa ha attribuito la qualifica di accademica a “persona che non aveva nessun diritto a tale titolo”.

Chi è del settore o conosce l’ambiente, ha capito presto che Marazzini e Feltri stavano parlando di Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice e docente universitaria, che – come ha tenuto a precisare nuovamente l’Accademia in un post con scopo di chiarimento – ha interrotto la collaborazione con l’istituzione nel 2019. Gheno, autrice di numerosi saggi di linguistica e comunicazione tra cui “Potere alle parole” e “Femminili singolari”, da tempo studia alcuni fenomeni linguistici molto dibattuti come il superamento del binarismo di genere e del maschile sovraesteso nella lingua italiana.

Il maschile sovraesteso

L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile, e in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso, detto anche generalizzato: basta che un solo uomo sia presente in un gruppo numeroso, infatti, per declinare il plurale al maschile.

L’Enciclopedia Treccani, in un approfondimento sul rapporto tra genere e lingua, spiega i modi diversi con cui il maschile sovraesteso si applica nella lingua italiana: con il ricorso a termini maschili che indicano gruppi composti da uomini e donne (“i politici italiani”, per indicare donne e uomini in politica); con quella che viene definita “servitù grammaticale”, ovvero l’accordo al maschile in presenza di parole maschili e femminili (“bambini e bambine erano tutti stretti ai loro genitori”) o tramite l’utilizzo di espressioni fisse al maschile che possono però anche riferirsi alle donne (“i diritti dell’uomo”, per indicare “i diritti umani”). “Ancora più particolare”, prosegue Treccani, “è l’uso di termini, professionali e no, al maschile, quando il referente, noto e specifico, è donna”.

Dei nomina agentis (o nomi professionali) al femminile si discute in Italia da molto tempo: ne hanno parlato ad esempio Alma Sabatini, nel suo saggio “Il sessismo nella lingua italiana” nel 1987, e Cecilia Robustelli, nelle “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo”, sottolineando la validità linguistica e l’importanza politica di declinare al femminile le professioni svolte da una donna. In uno dei suoi ultimi lavori, anche Vera Gheno ha mostrato come da un punto di vista linguistico l’italiano ammetta e preveda la formazione dei femminili. Le forzature e le stonature che alcune persone dichiarano di percepire quando si declinano certi termini al femminile, perciò, non possono essere ricondotte a motivazioni grammaticali e morfologiche quanto a una questione di abitudine o a un fatto socio-culturale, per cui il ricorso al femminile – stereotipicamente considerato come più debole rispetto al maschile – porta a immaginare uno svilimento della carica o del ruolo professionale.

Se la lingua evolve, però, è perché la società in cui viviamo sta cambiando: fino a non molto tempo fa, infatti, la presenza delle donne era limitata in alcuni settori e posizioni lavorative, per cui la necessità di declinare i nomi delle professioni in maniera corretta non era così ampiamente diffusa. Oggi che invece ci sono molte più avvocate, ministre, sindache, assessore, chiamarle con il loro nome diventa un’affermazione di esistenza, oltre che un’operazione linguisticamente esatta.

Come fa notare poi Gheno nel suo lungo e articolato post di risposta al “Buongiorno” di Feltri, il maschile sovraesteso viene spesso confuso con il genere neutro, che però in italiano non esiste: la nostra lingua infatti, come si è detto, comprende solo due generi, il maschile e il femminile, motivo per cui si parla anche di binarismo linguistico.

Il binarismo di genere e il rapporto con la lingua

Il binarismo di genere è un concetto che deriva dai gender studies e riconosce l’esistenza di due sole categorie, uomo e donna, a cui sono associati ruoli e caratteri specifici: all’uomo corrisponde tutto ciò che nell’immaginario comune è considerato maschile, alla donna tutto ciò che è definito come stereotipicamente femminile.

Il binarismo di genere non ammette, dunque, l’esistenza di identità di genere altre rispetto a quelle di uomo e donna, rinnega la distinzione tra sesso e genere e si basa su preconcetti che ci portano a definire per esempio la forza e l’autorevolezza come tratti tipicamente maschili e la sensibilità e la predisposizione alla cura come caratteristiche femminili. Il sesso e il genere invece sono ormai anche a livello istituzionale concepiti come entità separate: il sesso è l’insieme di caratteristiche fisiche, biologiche e anatomiche che caratterizzano un individuo mentre il genere è un costrutto sociale, che cambia nel tempo e nello spazio, e riguarda i comportamenti che la società attribuisce a un determinato sesso (ovvero il ruolo di genere), ma anche la percezione che ciascuno ha di sé (l’identità di genere). Il superamento del binarismo implica la concezione del genere non più come una classificazione fatta da due soli elementi, bensì come uno spettro di più possibilità. Coloro che non si identificano nelle categorie uomo-donna, ad esempio, possono riconoscersi come persone non binarie. Anche le persone transgender, ovvero coloro che hanno un’identità di genere diversa rispetto al sesso assegnato alla nascita, possono non rivedersi nel binarismo; e lo stesso vale per le persone intersex, ovvero chi nasce con caratteristiche cromosomiche, anatomiche e/o ormonali che non possono essere definite rigidamente come maschili o femminili.

Negli studi di genere e in certi ambiti della linguistica, ci si sta dunque interrogando su come costruire un linguaggio inclusivo che tenga conto di tutte le soggettività.

Le proposte per un linguaggio inclusivo

Nel saggio “Femminili singolari”, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice effequ, l’autrice Vera Gheno propone – a suo stesso dire, in modo scherzoso – l’introduzione dello schwa, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale. Per fare un esempio, nella frase “Buonasera a tutti” rivolta a un gruppo misto di persone, si potrebbe sostituire il maschile sovraesteso espresso dalla desinenza “-i” con lo schwa e dire dunque “Buonasera a tuttə”. La pronuncia corrisponde a un suono vocalico neutro, indistinto, già presente in molti dialetti del centro e sud Italia.

A prendere spunto da questa riflessione è stata proprio la casa editrice effequ in un’altra delle sue pubblicazioni. In “Il contrario della solitudine”, scritto dall’autrice brasiliana Marcia Tiburi e tradotto da Eloisa Del Giudice, effequ ha infatti introdotto lo schwa in riferimento a una moltitudine mista. Nel testo originale Tiburi ha adottato una delle soluzioni più utilizzate dai movimenti femministi e dalla comunità LGBTQIA+ di lingua spagnola, ovvero sostituire la desinenza maschile “-o” e quella femminile “-a” con una neutra “-e”, scrivendo per esempio “todes” al posto di “todos”. Per mantenere la neutralità del linguaggio e rispettare la scelta politica dell’autrice, effequ ha perciò deciso di tradurre “todes” con “tuttə”.

Per quanto al momento lo schwa appaia come la soluzione più praticabile poiché si tratta di un fonema neutro, già esistente e applicabile, presenta anch’esso dei limiti. Come spiega infatti proprio Gheno in un articolo uscito su La Falla, magazine del Cassero LGBT Center di Bologna, lo schwa “non compare al momento sulle tastiere di cellulari o computer”, ma solo nella sezione dei simboli e caratteri speciali dei programmi di scrittura: conseguenza di ciò è che scrivere un testo con lo schwa può risultare piuttosto macchinoso. Inoltre, essendo un suono presente solo in alcuni dialetti dell’Italia meridionale, può risultare difficile da comprendere e pronunciare per coloro che non conoscono e non parlano quei dialetti. Per provare a far fronte a queste difficoltà, è nata “Italiano inclusivo”, una piattaforma che ha lo scopo di promuovere l’introduzione dello schwa e superare il binarismo linguistico. “Italiano inclusivo” infatti offre diversi strumenti utili per conoscere, scrivere e pronunciare il fonema.

Nel frattempo, molte altre sono le proposte di cui si discute nell’ambito degli studi di genere, come l’asterisco o la vocale “-u” (che però in alcuni dialetti italiani indica il maschile). In una nota introduttiva al suo saggio “Post porno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali” (Eris Edizioni), ad esempio, l’autrice Valentine Wolf chiarisce che, “in un’ottica di inclusività”, nel testo si è preferito non ricorrere al maschile generalizzato ma utilizzare l’asterisco e la desinenza “-u”. Proprio pochi giorni prima dell’uscita del “Buongiorno” di Feltri in cui si è parlato dello schwa, anche la condivisione di questa nota sui social ha generato una serie di reazioni polemiche e sprezzanti.

Il linguaggio inclusivo negli altri paesi

Mentre l’Accademia della Crusca ha manifestato ritrosia nei confronti della presa in considerazione di soluzioni inclusive, in molti altri paesi il tema dell’inclusività e il rispetto delle soggettività sono centrali anche da un punto di vista linguistico. Nel 2019 il celebre vocabolario statunitense Merriam-Webster ha scelto il pronome “They” come parola dell’anno. Nella lingua inglese infatti si sta sempre più diffondendo l’uso di “they” e “them” come pronomi singolari, per riferirsi alle persone non binarie e che dunque non si riconoscono nei pronomi “he/him” (lui), “she/her” (lei).

In Svezia, invece, nel 2015 l’Accademia che ogni dieci anni aggiorna il dizionario ufficiale della lingua, ha introdotto il pronome neutro “hen”, da utilizzare in relazione a persone che non si identificano nel pronome maschile (“han”) o femminile (“hon”) o laddove non si voglia fare riferimento al genere di qualcuno. Per quanto riguarda la Germania, dove il dibattito è da tempo molto acceso, il ministero della Giustizia ha di recente invitato gli uffici pubblici a utilizzare un linguaggio neutro nelle comunicazioni ufficiali. E ancora, nello spagnolo, oltre alla già citata desinenza “-e”, si sta diffondendo l’uso del simbolo “-@” e della lettera “-x” per sostituire il maschile generalizzato.    

Una nuova esigenza sociale

Ogni scelta linguistica è una scelta politica”, ha scritto la giornalista Jennifer Guerra nel suo saggio femminista “Il corpo elettrico” (edizioni Tlon). In una vera e propria “Nota alla traduzione”, infatti, l’autrice parla della necessità di un continuo confronto che durante la stesura del libro, proprio come fa di solito chi traduce un testo, ha dovuto mettere in atto con il linguaggio e con le parole, affinché la complessità potesse essere raccontata al meglio.

Di complessità ha parlato anche la stessa Vera Gheno nel suo intervento a “Prendiamola con filosofia”, evento organizzato dall’Associazione Tlon il 23 luglio scorso. “Saper vivere la complessità del presente”, infatti, è una delle competenze che la linguista definisce essenziali per essere pienamente cittadini, da aggiungere a “saper leggere, scrivere e far di conto”, menzionate da Don Milani. Saper vivere la complessità del presente vuol dire, secondo la studiosa, anche riconoscere il cambiamento e provare curiosità nei suoi confronti, anziché rifiutarlo a priori. Proprio le discussioni attorno allo schwa, continua Gheno, testimoniano che qualcosa attorno a noi si sta muovendo: “C’è una nuova esigenza sociale alla quale la lingua sta cercando di stare dietro”, ha detto la studiosa, e ha aggiunto che se una lingua viva continua a creare parole nuove è perché “la realtà continua a cambiare”.

Immagine in anteprima via breezy.hr

 

Fonte:

https://www.valigiablu.it/linguaggio-inclusivo-dibattito/

 

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Yulia Tsvetkova, l’artista e attivista russa che rischia 6 anni di galera per i suoi disegni della vagina. La mobilitazione per fermare il processo

10 Luglio 2020

Yulia Tsvetkova è un’artista e un’attivista russa impegnata nella difesa dei diritti delle donne e Lgbt. Il suo lavoro ha provocato cambiamenti positivi nelle discussioni sulla body positivity (il movimento che vuole trasmettere un messaggio ottimista nei confronti del proprio corpo) e sugli stereotipi di genere. Eppure questo successo l’ha resa un bersaglio.

Il 9 giugno scorso Tsvetkova è stata accusata di “produzione e diffusione di materiale pornografico” per aver pubblicato, nel 2018, sul social network russo VKontakte alcuni disegni stilizzati di vagine per promuovere una campagna sulla body positivity nella pagina del suo gruppo “Monologhi della vagina”, che prende il nome dal titolo dell’opera teatrale di Eve Ensler e che si pone come obiettivo celebrare il corpo femminile e protestare contro i tabù che lo circondano.

Se condannata, la donna rischia sei anni di carcere.

Residente a Komsomolsk-on-Amur, una cittadina della Russa orientale, in un’area della Siberia che ospitava i gulag, il 22 novembre 2019 Tsvetkova è stata messa agli arresti domiciliari revocati quattro mesi dopo, il 16 marzo 2020, ed è tuttora sottoposta a severe restrizioni di viaggio.

Da quando le autorità l’hanno pesa di mira la 27enne non può più esercitare le sue attività.

A marzo dello scorso anno è stata infatti costretta a cancellare il Festival delle arti della gioventù da lei curato perché la polizia lo ha ritenuto un gay pride camuffato.

In Russia la “propaganda omosessuale” viene punita in base a una legge controversa entrata in vigore nel 2013 e condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2017 perché omofoba.

In un’intervista telefonica rilasciata alla CNN, Tsvetkova ha raccontato che i problemi con la polizia sono cominciati all’inizio del 2019, quando ha portato in scena, con la compagnia teatrale Merak da lei diretta, due spettacoli che affrontavano temi particolarmente scottanti per le autorità: gli stereotipi di genere e il militarismo.

«Non so quale sia stato lo spettacolo peggiore per loro, se quello sul genere, che non capiscono e di cui hanno paura, o l’altro, che era piuttosto politico, molto acuto. Immagino sia stata la combinazione di entrambi», ha detto.

Da quel momento la donna è stata convocata alla stazione di polizia periodicamente. All’inizio ogni settimana, poi ogni due settimane, per essere interrogata sui suoi disegni, una serie di vignette sulle donne accompagnate da didascalie come “Le donne vere hanno i peli sui propri corpi ed è normale” o “Le donne vere hanno i muscoli ed è normale”.

A novembre dello scorso anno la polizia ha perquisito la sua abitazione, sequestrando materiale informatico e documenti.

«Mi hanno fatto molte domande e poi hanno trovato il mio lavoro su Internet e hanno capito in che modo poter costruire il caso», ha dichiarato. «È uno schema abbastanza comune: la polizia va alla ricerca di un reato che può trovare nel lavoro dell’attivista e poi apre il caso».

A causa di un disegno raffigurante due famiglie dello stesso sesso con bambini, accompagnato dalla didascalia “La famiglia è dove c’è amore. Sostieni le famiglie Lgbt!”, a gennaio 2020 Tsvetkova è stata inoltre accusata di “propaganda omosessuale”.

Tsvetkova – che organizza conferenze per la comunità Lgbt e che tiene lezioni sull’educazione sessuale vietata nelle scuole russe – ha dichiarato di non essersi stupita per l’accusa di propaganda sessuale e per aver ricevuto una sanzione (50.000 rubli russi che corrispondono a circa 620 euro), ma di essere rimasta molto sorpresa per l’incriminazione del reato di pornografia. «So che cos’è la pornografia e non è quella», ha detto riferendosi ai suoi disegni.

L’attivista, che nel frattempo ha ricevuto e continua a ricevere minacce, non è molto ottimista sul processo: «Sto cercando di non perdere la speranza, ma in Russia solo l’1% dei casi è assolto. Questo significa che ho solo l’1% [di possibilità] di essere prosciolta».

Insignita lo scorso 17 aprile del premio Freedom of Expression 2020 nella categoria “arte” conferitole da Index on Censorship (un’organizzazione per la difesa della libertà di espressione con sede a Londra), la donna ritiene di essere stata accusata dalle autorità di diffondere materiale pornografico perché si tratta di un reato “infamante”, che può ridurre al minimo il sostegno in suo favore dell’opinione pubblica, e pensa che la “vaghezza” della legge sulla pornografia sia un buon pretesto per reprimere il suo attivismo.

 

In Russia, le autorità promuovono fortemente i valori familiari tradizionali. Non è un caso che gli emendamenti costituzionali recentemente approvati con una consultazione referendaria abbiano incluso un articolo in cui si afferma che il matrimonio è esclusivamente quello celebrato tra un uomo e una donna, vietando di fatto i matrimoni omosessuali.

Come riportato da Deutsche Welle, un recente sondaggio condotto da Levada Center, il principale istituto indipendente che si occupa di rilevazioni in Russia, ha rivelato che il 50% delle persone intervistate pensa che gli omosessuali debbano essere “liquidati” o tenuti isolati dalla società. La percentuale scende al 27% se si tratta di femministe, poiché il concetto di “femminismo” è spesso visto come appartenente all’Occidente ed estraneo alla Russia. Eppure, in passato, il paese è stato a lungo all’avanguardia nell’uguaglianza di genere, garantendo nel 1917 pari diritti alle donne e diventando nel 1920 il primo paese a legalizzare l’aborto.

Nonostante si sia aperta una caccia alle streghe, è grande il sostegno mostrato nei confronti di Yulia Tsvetkova.

Associazioni che si occupano della difesa dei diritti umani come Amnesty International e la ONG russa Memorial l’hanno dichiarata prigioniera di coscienza e una petizione lanciata su change.org, in cui viene chiesto il ritiro delle accuse, ha raccolto quasi 240.000 firme.

Il 27 giugno, Giornata nazionale della gioventù in Russia, oltre cinquanta agenzie di stampa hanno organizzato lo “sciopero dei media per Yulia”, chiedendo che il procedimento giudiziario contro di lei venga fermato. Scrittori, giornalisti, attori, influencer e blogger hanno pubblicato post con l’hashtag #forYulia (#заЮлю) e #FreeJuliaTsvetkova (#СвободуЮлииЦветковой).

Durante l’ultimo fine settimana di giugno circa quaranta manifestanti sono stati arrestati a Mosca e a San Pietroburgo nel corso di una manifestazione pacifica a sostegno dell’attivista russa. A riferirlo OVD-info, un gruppo che fornisce assistenza legale alle vittime di arresti arbitrari. La maggior parte dei dimostranti sarebbe stata fermata per aver violato il regolamento sui raduni pubblici, incluso il divieto di organizzare eventi di massa introdotto nel paese a marzo scorso per bloccare la diffusione del COVID-19.

Sui social tantissime donne hanno mostrato il proprio sostegno all’attivista russa pubblicando foto in cui mostrano i propri corpi o immagini e disegni femministi o oggetti di uso quotidiano, come fiori o frutti, che sembrano vagine, accompagnate dallo slogan “il mio corpo non è pornografia”.

Di recente, l’Alto commissario dei diritti umani della Federazione Russa, Tatyana Moskalkova, ha annunciato che a seguito del grande “riscontro pubblico” sollevato dal caso intende seguirlo personalmente inviando un membro del suo staff a monitorare il processo.

Per Tsvetkova il supporto nazionale e internazionale è “incredibile” e rappresenta un’ancora di salvezza. «Mi aiuta a non sentirmi sola. L’anonimato è la cosa più spaventosa. Lo so perché ero sola all’inizio e questo significava che quando andavo alla stazione di polizia, sapevo che avrebbero potuto fare quello che volevano e nessuno lo avrebbe mai scoperto», ha detto.

L’attenzione suscitata nell’opinione pubblica ha dimostrato che l’attivismo della giovane donna russa ha colpito nel segno mostrando quanto il paese abbia bisogno di una discussione pubblica sull’uguaglianza di genere e la comunità Lgbt.

«Voglio continuare a lavorare come attivista. E il fatto di essere stata incriminata aumenta soltanto il mio desiderio di cambiare le cose e combattere le ingiustizie».

Immagine anteprima “Le donne non sono bambole”, 2018 – Yulia Tsvetkova/TAN via Ministry of Counterculture

Fonte:
https://www.valigiablu.it/yulia-tsvetkova-artista-russa-processo/
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Amnesty International lancia la campagna #IOLOCHIEDO “Il sesso senza consenso è stupro”

#IOLOCHIEDO

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Fonte:
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Amnesty International, bambini Intersessuali sottoposti a interventi dolorosi e non necessari

Lo denuncia il rapporto “Primo, non ferire” che ha raccolto testimonianze di 16 persone intersessuali in Germania e Danimarca. Diritti umani e salute a rischio

Amnesty International, bambini Intersessuali sottoposti a interventi dolorosi e non necessari

Il rapporto “Primo, non ferire rilasciato qualche giorno fa da Amnesty International si basa su uno studio della realtà medica di Germania e Danimarca e sulle testimonianze di 16 persone intersessuali e 8 genitori di persone intersessuali raccolte nei due Paesi.

Fino 5 interventi non urgenti, invasivi e traumatici nel primo anno di vita

Secondo quanto documentato e denunciato dal rapporto, i bambini nati con caratteristiche sessuali che non corrispondono alle norme o alle aspettative maschili e femminili rischiano di essere sottoposti a una serie di procedure mediche e chirurgiche non necessarie, invasive e traumatiche – fino a cinque nel corso solo del primo anno di vita – in violazione dei loro diritti umani. Si tratta di interventi assolutamente non urgenti e spesso irreversibili con conseguenze a lungo termine sulla salute psicofisica e sul benessere delle persone che vi sono sottoposte, senza poter esprimere alcun parere o consenso, per la sola ragione di non corrispondere agli obsoleti stereotipi di genere.

Procedure di ‘normalizzazione’ solo per via degli stereotipi

«Queste cosiddette procedure di ‘normalizzazione’ vengono condotte senza la completa conoscenza degli effetti potenzialmente dannosi a lungo termine che producono sui bambini», ha dichiarato Laura Carter, ricercatrice di Amnesty International sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.

«Stiamo parlando di incisioni che vengono fatte su tessuti sensibili, con conseguenze per tutta la vita, tutto a causa degli stereotipi su ciò a cui un ragazzo o una ragazza dovrebbe assomigliare. La domanda è a chi giova, perché la nostra ricerca mostra che si tratta di esperienze incredibilmente tristi».

Un rischio che cade su una percentuale di popolazione stimata a livello globale intorno all1’7%. Come quella delle persone coi capelli rossi.

Interventi chirurgici con danni permanenti e irreversibili

Sulla base delle interviste alle persone intersessuali, alle loro famiglie e ai medici professionisti in Danimarca e Germania, Amnesty ha raccolto le prove che bambini nati con variazioni delle caratteristiche sessuali sono sottoposti, spesso nei primissimi anni di vita, a procedure quali la riduzione della “clitoride allargata, con danni sensoriali, cicatrici e dolori, la vaginoplatica o chirurgia vaginale, per creare o ampliare un’apertura vaginale, la gonadectomia, con la rimozione delle gonadi, inclusi tessuti ovarici e testicolari che comporta la necessità di trattamenti ormonali a vita e l’impossibilità di concepire figli, e ad operazioni di riparazione di ipospadia per riposizionare l’uretra all’apice del pene e creare un pene funzionale considerato esteticamente normale, al prezzo di complicazioni permanenti.

La testimonianza, medici incapaci di pensare fuori dallo schema binario ‘maschio’ – ‘femmina’

Sandrao, persona intersessuale che vive in Germania, racconta di come solo due anni fa, a oltre trent’anni, abbia scoperto di aver subito l’asportazione dei testicoli a 5 anni e di aver rimosso completamente i suoi primi 11 anni di vita. «Ho avuto altre operazioni, chirurgia genitale. Non so se avevo una vagina alla nascita o è stata ricostruita. La mia uretra è in una posizione diversa, Ho visto un ginecologo nel 2014 e ha trovato un sacco di cicatrici» – Racconta – «Sapevo di essere differente, pensavo di essere una sorta di mostro, ero incapace di sviluppare un’identità di genere. Ero spinto verso il ruolo femminile, dovevo indossare camicette, avevo capelli lunghi. Era doloroso avere rapporti sessuali con gli uomini e pensavo che fosse normale».

Una condizione che nessuno gli aveva spiegato finché non decide di approfondirla: «Ho preso parte a uno studio e hanno trovato un “disordine genetico”. Ma non mi piace questa parola. Io ho una variazione». Una cosa però appare certa: «I medici non danno abbastanza informazioni ai genitori. Penso che la professione medica pensa solo al sistema binario di genere. Anziché dire che “tuo figlio è normale, e crescerà in salute”, loro dicono che c’è “qualcosa di sbagliato che può essere corretto con la chirurgia”».

Impressione confermata, a Sandrao, anche dai primi colloqui avuti con i sanitari: «Ho visto un endocrinologo. Quando l’ho incontrato la prima volta mi ha detto che dovevo decidere se essere maschio o femmina. Erano incapaci di pensare fuori dallo schema. Ma ora ha cambiato opinione. Questo è quel che mi dà il potere e la forza di combattere».

Violati diritti umani dei bambini

Un’esperienza questa che riassume il percorso di molte persone intersessuali, medicalizzate sulla semplice base di stereotipi e pregiudizi sin dai primi mesi di vita, poco o male informate da medici e familiari, costrette a subire per tutta la vita le conseguenze di scelte consumatesi sulla loro testa.

«Quando penso a quello che è accaduto, sono sconvolto, perché non si trattava di qualcosa che spettava ad altri decidere – si sarebbe potuto aspettare», ha detto H. dalla Danimarca.

Amnesty International ritiene che l’attuale approccio al trattamento dei bambini intersessuali in Danimarca e Germania non protegge i loro diritti umani, compresi quelli alla riservatezza e al più alto livello di salute raggiungibile.

Anche gli esperti delle Nazioni Unite hanno esplicitamente condannato tali pratiche, classificando interventi chirurgici inutili in bambini intersessuati come pratiche nocive e in violazione dei diritti del bambino.

Fonte:

http://www.prideonline.it/2017/05/15/amnesty-international-bambini-intersessuali-sottoposti-interventi-non-necessari/

 

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“Morire di maggio… Ci vuole tanto… troppo coraggio”. Ciao, Eva!

Eva, mia carissima amica e sorella! Avrei voluto non ricevere mai una notizia del genere! Te ne sei andata in silenzio, senza dire una parola… In realtà di parole ne avevi dette tante e chissà quante ne avresti avute ancora da dire… Una breve ma intensa vita spesa con amore verso il genere umano e verso la scienza. Ma non solo: tu amavi anche l’arte in tutte le sue forme, la filosofia, lo sport, tutto ciò che è umano. Parafrasando Terenzio, nulla di ciò che è umano ti era estraneo. Per questo più volte ti ho ripetuto che eri una delle persone più umane che conoscessi. Amavi anche la natura e gli animali. Ma l’essere umano era il tuo grande Amore. Quel grande amore che hai cercato per tutta la vita, pochissime volte trovato e poi perso in diversi modi. Avresti potuto dare tanto al mondo con i tuoi studi di psicologia e di neuroscienze ( il tuo amato cervello!) perché sapevi ascoltare e amavi gli altri. E avresti potuto dare molto anche con i tuoi reportage con tutti i viaggi che avevi fatto intorno al mondo. Ma poi tornavi a casa con i problemi della vita quotidiana, le angosce per un passato tormentato e tutto il male che ti era toccato di subire nella tua breve vita, le difficoltà nel trovare la tua strada e l’enorme sofferenza della tua anima grande ma sempre ferita. Quando ti “invidiavo” la tua libertà e la tua vita piena di avventure mi dicevi che anche una vita come la tua non dà la felicità. Non ho mai capito che cosa più di tutto ti mancasse e me ne rammarico. Tante erano le cose che amavi da non riuscire a farle tutte. La vita quotidiana ti assorbiva. E questo da una parte era una tua caratteristica perché, per coloro che ti hanno avuto vicina, sarai stata speciale non solo in ciò che riuscivi a fare ma anche nel quotidiano. Dall’altra ti impediva forse di vivere come volevi. Tante persone avresti voluto aiutare con i tuoi studi e me lo raccontavi. Ma le difficoltà nel terminare gli studi, il dover sempre ricominciare daccapo non te lo permettevano per come volevi. Tante cose avresti voluto raccontare dei tuoi viaggi ma non avevi tempo e me lo dicevi. Forse eri troppo sensibile. Forse il tuo cuore e la tua anima erano troppo grandi per questo mondo e per questo te ne sei andata. E ora vegli su tutti coloro che hai amato e ti hanno amata. Mi piace pensare che ovunque ti trovi adesso stai già conversando con fratelli e sorelle uccisi da qualche guerra disumana (perché la guerra è sempre disumana e tu ce lo insegnavi) bevendo una birra e fumando una sigaretta.
Ciao, paguro metafisico! Non ti dimenticherò mai!
Mi piace ricordarti con gli articoli del tuo blog  (a cui so che avresti voluto dedicare molto più tempo) perché penso sia uno dei segni visibili più belli che ci hai lasciato.

D. Q.

Qui di seguito gli articoli tratti dal blog di Eva Menossi:

http://silenceinchains.blogspot.it/

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Chi lo dice che la primavera comincia a marzo? IoDecidoDay, Assemblea pubblica del 22 settembre verso la grande manifestazione nazionale delle donne del 26 Novembre.

io-decido-sul-mio-corpoChi lo dice che la primavera comincia a marzo? Anche in questo le donne sono in grado di sovvertire e entrare in uno spazio con la performatività che contraddistingue ogni loro gesto politico. Il momento è adesso, in questo caldo autunno delle donne, lo spazio da “occupare” è quello solito, che ci vuole corpi asserviti ad uso e consumo di qualsiasi momento storico -politico.
E’ gesto politico l’Assemblea pubblica di domani 22 settembre alle 17,30 sotto la sede del Ministero della Salute, sarà il IoDecidoDay, l’io è quello delle donne, tutte, un io politico con diritto di scelta e di cittadinanza sul proprio sé. L’assemblea indetta domani dalla rete IoDecido-che prende il nome dal fenomeno argentino per sottolinearne la portata globale – non è la prima, già ci sono stati altri momenti d’incontro tematici, un vero percorso all’interno del quale ci si confronta ,si costruisce e ricostruisce, si guarda oltre. I temi al centro dell’appuntamento di domani saranno l’autodeterminazione dei corpi e delle scelte riproduttive, di sessualità libera e consapevole, di aborto e libertà di scelta, di contraccezione gratuita e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e delle gravidanze indesiderate. Non a caso proprio nel giorno del FertilityDay, cosa che dovrebbe risultare anacronistica e discriminatoria ma che invece diventa il cavallo di battaglia del Ministero della Salute, celebrazione propagandistica sul corpo delle donne.
Se non ci fosse un qualsiasi calendario a ricordarci l’anno in cui viviamo sembrerebbe di essere tornate indietro, al Ventennio fascista, quando le donne furono “adoperate” dal regime attraverso l’esaltazione della loro funzione materna, indispensabili alle esigenze dell’espansione imperialistica, la guerra e la politica totalitaria. Il filo conduttore è sempre lo stesso.
Il Ministero che oggi organizza il FertilityDay è lo stesso che non si preoccupa della prevenzione e dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, che taglia i finanziamenti ai consultori pubblici, che non ha nessuna remora a dichiarare che “… i dati, sia a livello nazionale che disaggregati per ciascuna ASL, mostrano che il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle Ivg effettuate, non tenendo conto delle numerosissime donne che non riescono ad accedere all’Ivg spesso facendo la spola da una regione all’altra. Come recita lo stesso comunicato delle rete IoDecido :” ..non è un caso che il FertilityDay venga organizzato a pochi mesi dal dibattito sull’approvazione delle unioni civili, sulla stepchild adoption e sulla gestazione per altri, con l’obiettivo di ribadire ulteriormente che non tutte le genitorialità hanno lo stesso valore per lo stato. I figli delle coppie eterosessuali italiane vengono dipinti come l’antidoto contro la crisi economica, ma anche contro l’invasione migrante e l’utilizzo della scienza come strumento per superare presunti limiti etici imposti dalla natura”
E’ lo stesso Ministero che esalta l’esperienza delle famiglie tradizionali dimenticandosi di dire che spesso all’interno di questa nicchia da romanzi rosa da bancarella (tanto si potrebbe dire anche sulla responsabilità pedagogica di tanta letteratura nel veicolare una irrealistica educazione sentimentale), si consumano le violenze domestiche più efferate e si compie quel reato, anch’esso politico, che è il femminicidio.
La rete IoDecido ragiona da anni sul fatto che la mancata libertà di scelta sui corpi e sui desideri sessuali e riproduttivi delle donne costituisce un’ennesima forma di violenza su di esse e sui soggetti lgbtqi, una violenza istituzionale, culturale e politica che non è più possibile tollerare. L’appuntamento di domani, come già detto, è all’interno di un più ampio percorso che ha l’obiettivo di produrre proposte e risultati concreti, passando da una grande manifestazione nazionale che si terrà a Roma il 26 Novembre contro la violenza sulle donne e contro la chiusura dei centri antiviolenza e prima dall’importante appuntamento dell’8 Ottobre, prima Assemblea Nazionale e momento preparatorio di un processo che vede le donne volte a riaffermare la propria autodeterminazione.
La prossima settimana verrà lanciata anche la Campagna Udi dal titolo: Adesso Basta!-L’Udi è tra le realtà aderenti insieme a D.i.re Donne in Rete Contro la violenza- all’Assemblea Nazionale del prossimo 8 Ottobre. Un anno di mobilitazione, è questa la nuova sfida lanciata dall’UDI – Unione donne in Italia- per mantenere vivo il dibattito sui diritti delle donne. Corpo e lavoro, i temi centrali della riflessione. Che si concentrerà sul diritto all’autodeterminazione e di cittadinanza nel lavoro, nella maternità, nella cultura, nell’educazione delle giovani generazioni, nella possibilità di rappresentarsi e di essere rappresentate in una campagna che durerà un anno intero.
L’autunno caldo delle donne è appena cominciato.

 

Fonte:

http://www.womenews.net/chi-lo-dice-che-la-primavera-comincia-a-marzo-iodecidoday-assemblea-pubblica-del-22-settembre-verso-la-grande-manifestazione-nazionale-delle-donne-del-26-novembre/

Fertility day. «Stile» dell’offesa e flop governativo

Ora che Renzi ha detto in una intervista a radio rtl 102.5 «non ne sapevo niente», il flop del fertility day sembrerebbe definitivo.

Il sito è collassato, le cartoline non sono più accessibili, solo la ministra della Salute Beatrice Lorenzin si ostina a dare appuntamento al 22 settembre, la data fatale.

Ma a parte Matteo Renzi, sempre pronto ad allontanare da sé tutto quello che profuma di fallimento, non si può proprio tacere sullo stile, sul modo di raccontare e comunicare un tema che potrebbe perfino avere qualche interesse.

Anche se non si capisce perché lo si debba chiamare fertilità, e non parlare di una più complessa e articolata educazione sessuale. Non sono i punti di informazione-conoscenza a essere offensivi. Lo sono le immagini, lo sono le parole. A cominciare dal lezioso cuoricino rosa, penetrato dallo spermatozoo-fumetto, trasposizione bamboleggiante dei crudi fotogrammi della fecondazione artificiale, allusione senza ironia, neanche un’eco del viaggio avventuroso raccontato da Woody Allen travestito da spermatozoo in «Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere» (1972).

E se buona parte della responsabilità appare di chi ha ideato la campagna di comunicazione, c’è da chiedersi qual è stata la commissione. Ho letto il “Piano Nazionale della fertilità”, rintracciabile sul sito del Ministero della Salute (pdf qui), elaborato da un folto gruppo di esperti, che si raccomanda che «il messaggio da divulgare non deve generare ansia per l’orologio biologico che corre».

Peccato che l’immagine clou della campagna sia un’enorme clessidra in primo piano, una giovane donna che si tiene il ventre con una mano, e lo slogan: «La bellezza non ha età, la fertilità invece sì». Che sembra ideato da un team di untori, pronti a spargere l’ansia e la paura ovunque. Ma dove si rivela del tutto l’ideologia che sottintende a questi messaggi è in «fertilità bene comune», o il definitivo «prepara una culla per il tuo futuro», primo piano di una pancia femminile appena piena, con l’universale gesto della mano che la sostiene, quello della Madonna del Parto di Piero della Francesca, per intenderci.

Sono testi, tra parole e immagini, che operano una completa trasposizione del corpo femminile, che viene definitamente assunto come culla naturale, non più parte di quella persona che è la singola donna, ma che lo restituiscono alla comunità. A cui la libera volontà della singola lo vuole sottrarre.

L’elemento pericoloso è che a questa conclusione si arriva dopo una perlopiù corretta esposizione, utilizzando le serie statistiche fornite dall’Istat. È della donna italiana contemporanea di cui si parla: quella che studia a lungo, che è più istruita degli uomini, che coltiva e persegue progetti di parità, di realizzazione di sé, di libertà. Eppure si conclude: «Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, pero, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternita?».

È inaccettabile che una società politica che non ha mai compreso e riflettuto sui cambiamenti avvenuti nella vita delle donne, e quindi di tutti, entri nel merito solo per stigmatizzarlo. E ricondurre le donne al loro essere corpo e natura. Non è una tendenza isolata. La libertà delle donne suscita inquietudini profonde, se il premier francese Manuel Valls, per sostenere che le occidentali si spogliano perché sono libere, non ha trovato nulla di meglio che dire che la Marianna, il simbolo della Francia, è a seno nudo perché «lei nutre il popolo».

Inquietudini e rovesciamenti che investono in pieno la cultura che un tempo si definiva progressista. E soprattutto mettono a dura prova i femminismi. Sono molte le femministe che sostengono che l’essere madri è assecondare la natura autentica della donna, il suo essere corpo. Un ribaltamento di tutte le battaglie fatte. E se perfino Renzi riesce a dire che per favorire la fertilità occorrono interventi di sostegno sociale, non farsi ricacciare nella natura riguarda tutte. E tutti, perfino.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/fertility-day-stile-delloffesa-e-flop-governativo/

Gender: che succede nelle scuole con il nuovo anno scolastico

Gender: che succede nelle scuole con il nuovo anno scolasticoRiparte l’anno scolastico: i bambini si preparano, i libri sono già stati acquistati, le merendine sono già pronte.

Ma quest’anno, più dei precedenti, per molte famiglie italiane è del tutto particolare: perchè nelle teste di molte mamme pronte a mandare il loro figlio a scuola c’è una nuova pericolosissima preoccupazione che aleggia.

Non stiamo parlando di maestre poco capaci o di baby-spacciatori, o ancora di quella direttrice scolastica che si impunta a non far riparare i bagni o dell’inefficiente sistema di trasporto scolastico del proprio Comune. No: in molte parti d’Italia, dal Veneto alla Sicilia, si sta diffondendo una preoccupazione del tutto nuova: il GENDER.

Vediamo quindi cosa sta succedendo nelle scuole italiane e nelle famiglie che si apprestano a consegnare per molte ore della loro giornata i loro figli al mondo dell’istruzione italiana.

Tutto nasce con la nuova legge voluta dal premier Matteo Renzi sulla “Buona scuola” e cioè l’attesissima riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione.

All’articolo 16 il testo recita: “16. Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93” (violenza sulle donne).

Come potete leggere anche voi, l’articolo della legge è assolutamente innocuo: parla di pari opportunità, di educazione alla parità tra i sessi (niente più maschietti bulli nelle aule, ladri delle merendine delle ragazze indifese!), contro la violenza di genere per l’appunto.

Ma è la parola “discriminazioni” che sta dando manforte agli ultrà cattolici per urlare contro quella che, in altri paesi europei, sarebbe sicuramente considerata una norma debole, poco chiara e quindi poco efficace per orientare l’istruzione su principi assolutamente condivisi e condivisibili come quelli della non discriminazione verso donne e soggetti più deboli, giovani lgbt compresi.

Nel blando articolo, non si parla infatti né di educazione sessuale (purtroppo, aggiungiamo noi), né esplicitamente di formare il personale della scuola per accogliere i bambini di famiglie omogenitoriali, né di prevenire il bullismo nei confronti degli adolescenti lgbt, che, si sa, sono più spesso oggetto delle attenzioni poco simpatiche dei loro coetanei.

E così, da Trento ad Agrigento, si sta diffondendo il panico tra le mamme italiane. Complici una manciata di attivissime associazioni di ultrà cattolici, che stampano volantini, organizzano iniziative con presunti esponenti “anti-gender”, si mobilitano via whatsapp diffondendo il panico alle altre mamme. Per dare una idea di quanto questa vera e propria psicosi collettiva si stia diffondendo in Italia, basti vedere le ricerche della parola “gender” negli ultimi tre anni sul principale motore di ricerca di Internet, Google.

Il grafico, infatti, mostra chiaramente quanto sia solo dal giugno 2015 – mese in cui è entrato nel vivo il ddl sulla Buona Scuola – che venga cercata su Google la parola “gender”, che invece prima veniva completamente ignorata.

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Educazione sessuale esplicita, che annulla ogni differenza tra uomo e donna, che invita alla masturbazione, spiega come avviene la penetrazione sessuale e illustra come organizzare rapporti sessuali a sei: questo il terrorismo che sta dilagando nelle scuole e preoccupa molte mamme italiane.

Non credete ancora che tutto ciò sia possibile? Date un’occhiata a questo link.

E’ di stamani una esclusiva de L’Espresso che riporta una allucinante telefonata che sta impazzando sui whatsapp delle mamme di Brindisi. Questo audiomessaggio sta infatti girando in queste ore nei gruppi classe di alcune madri con i propri figli iscritti alle elementrari della provincia di Brindisi. Una voce preoccupata mette in guardia i genitori: «Andate a firmare al vostro Comune contro la legge gender».

Annunci catastrofici di lezioni improntate alle masturbazione, penetrazione, matrimoni tra gay. Tutto somministrato ai bambini dell’asilo e delle elementari.

Una clamorosa controffensiva contro la Buona scuola che ha introdotto la prevenzione contro la violenza di genere e le discriminazioni. Così con tono colloquiale si chiede di bloccare ogni passo verso la modernità: «Noi possiamo fermare tutto questo, un vero guaio, con una petizione. Non possiamo nemmeno dire “Io mio figlio non lo mando più a scuola” perché c’è l’arresto. Già dall’asilo parlano ai bambini di sesso, di gay, dei trans come se fosse tutto normale. A settembre quando porteremo i bambini a scuola ci daranno un foglio: non firmatelo. Mandate questo messaggio a più persone possibile. A me l’ha detto il mio pastore già l’anno scorso e pensavo fosse una cosa così.. E invece no.. Sta andando veramente avanti. Un bacio a tutti e una santa giornata».

Il tutto è partito un po’ in sordina nel giugno scorso. Noi ne avevamo dato notizia con questo articolo : era una vera e propria campagna di terrorismo psicologico diretta tutta alle famiglie con bambini in età scolare, quella attuata nelle ultime settimane da chi, celandosi dietro profili personali e senza che la cosa abbia carattere di ufficialità, puntava intanto a riempire la piazza del Family Day del 20 giugno.

Nei messaggi che circolavano in quei giorni via Facebook e Whatsapp, si faceva riferimento ad una legge che stava per essere approvata per entrare in vigore da settembre prossimo e che avrebbe obbligato le scuole ad attivare “corsi gender” nei quali insegnare ai bambini di quattro anni la masturbazione e i rapporti sessuali a sei. Nulla di vero, insomma, come abbiamo visto.

Ad agosto arriva la notizia che alcuni cittadini stiano mobilitandosi per raccogliere le firme per un referendum abrogativo del famigerato e pericolosissimo articolo 16 del ddl sulla Buona Scuola.

Ma è il 4 settembre che la battaglia prende una svolta. Fa infatti il giro d’Italia la notizia che il Sindaco di Prevalle, in provincia di Brescia, ha utilizzato il cartellone luminoso destinato alle comunicazioni pubbliche del comune per mandare un messaggio tanto chiaro quanto terroristico alle famiglie: “L’Amministrazione Comunale è contraria all’ideologia gender”. L’idea del primo cittadini di Prevalle è così buona… che viene subito ripresa da altri Sindaci.

Qualche giorno fa una notizia tristissima che arriva da Trento e che la dice lunga sul livello di preparazione culturale di queste persone.

Ricordate la terribile storia di Leelah Alcorn, la ragazza diciassettenne dell’Ohio, negli Stati Uniti, che si tolse la vita perché i genitori non accettavano il fatto che lei, nata nel corpo di un uomo, si sentisse donna e la sottoposero a terapie riparative? Rose Morelli è una fotografa britannica e le dedicò una bella foto. Subito rubata dagli intelligenti ragazzi di “Fratelli d’Italia” di Trento per dimostrare quali pericoli stanno per distruggere la scuola italiana. Ennesima gaffe, ma che la dice lunga sul terrorismo.

Una delle ultime notizie arriva dalla civilissima Toscana. Ad Arezzo da giugno c’è una nuova amministrazione di centro-destra, in cui esponenti ultrà cattolici siedono in Giunta Comunale. E così prima viene dato il patrocinio ad uno dei tanti convegni terroristici sul gender organizzati in giro per l’Italia da un avvocato che sulle persone lgbt ne ha dette di cotte e di crude, Gianfranco Amato, poi viene decisa l’uscita del Comune di Arezzo da READY , la rete delle Amministrazioni Pubbliche contro le Discriminazioni per Orientamento Sessuale e Identità di Genere il cui obiettivo era «stabilire un confronto con le Associazioni Lgbt locali, favorire l’emersione dei bisogni della popolazione Lgbt e operare affinché questi siano presi in considerazione anche nella pianificazione strategica degli enti».

E non basta che Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, dica chiaro e tondo su Facebook che la ‘teoria gender’ non esista, che la campagna lanciata da alcune associazioni e frange più retrive della chiesa contro l’inesistente “teoria gender” sia “terrorismo psicologico ed infine annunci un documento ufficiale del MIUR che spieghi l’intento del contestato articolo della riforma della scuola, ovvero educare al rispetto delle differenze e combattere le forme di discriminazione e di violenza di genere.

Non basta, perchè come la pagina di Facebook “Il Gender” ci ha simpaticamente spiegato , il gender cambierà a breve il sesso di tutti i bambini italiani… non solo dei testimonial dell’ovetto Kinder.

Fonte: Gay.it

 

Tratto da http://www.mariomieli.net/gender-che-succede-nelle-scuole-con-il-nuovo-anno-scolastico.html