Senato 2010: studenti dell’Onda condannati

12 anni di carcere per il movimento che ha contestato la Riforma Gelmini

Sono state pronunciate oggi le sentenze di primo grado per i fatti del 24 Novembre 2010. Sedici le condanne contro gli studenti dell’Onda.

Quel giorno, in decine di città italiane, migliaia di studenti manifestavano per fermare la riforma Gelmini e per far cadere il governo Berlusconi. Il corteo di Roma, che arrivò fin sotto il palazzo del Senato, fu la scintilla da cui scoppiò un movimento enorme, che per giorni bloccò le strade del paese, trovando il sostegno di milioni di cittadini, di docenti universitari, del mondo sindacale e della politica.

Quel movimento culminò il 14 dicembre, quando migliaia di studenti sfiduciarono dal basso il Governo: dopo la notizia che la maggioranza di centro-destra, con a capo Berlusconi, aveva comprato i voti di diversi parlamentari per garantirsi la sopravvivenza, esplosero i tumulti in piazza del Popolo.

Oggi, a più di cinque anni di distanza, il Tribunale di Roma ha condannato 16 studenti a pene che vanno da due mesi a un anno e nove mesi, per un totale di quasi 12 anni di carcere. Tanti e diversi i reati contestati, tra cui pesano maggiormente quelli di resistenza aggravata e lesioni, che portano alle richieste di pena più alte. Diverso invece l’esito legato all’assurda accusa, fortemente voluta dal PM Tescaroli, di attentato contro gli organi costituzionali. Un reato comparso nei registri delle indagini una sola volta, più di cinquant’anni fa. Per quest’accusa fuori dal tempo sono stati assolti tutti gli imputati.

La sentenza di oggi ci indigna ma non ci stupisce, visto l’attacco complessivo riservato, ieri come oggi, ai movimenti studenteschi che hanno combattuto i provvedimenti che hanno distrutto l’università pubblica. Provvedimenti di cui adesso si vedono bene le conseguenze, con il crollo degli iscritti e della qualità dei corsi in tutte le università del “Bel Paese” e la disoccupazione giovanile che non cessa di crescere.

Di fronte a queste condanne, nessun passo indietro. Oggi come ieri abbiamo ragione noi. Non permetteremo di riscrivere nelle aule dei tribunali la storia di movimenti di massa che hanno lottato fino all’ultimo e con tutte le loro possibilità per un’università pubblica, gratuita e libera dai diktat dei mercati.

Chiediamo a tutte le studentesse e gli studenti che erano in piazza in quei mesi, agli esponenti del mondo della cultura e della politica che credono in un’università diversa da quella imposta dal neoliberalismo, a tutti quelli che pensando che l’Onda non si condanna, di prendere posizione e condannare la sentenza.

Ci rivediamo nelle strade.

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/senato-2010-studenti-condannati

Lettera di Mauro Gentile: per la costruzione di un coordinamento degli imputati del 15 Ottobre

Riceviamo e pubblichiamo da Mauro Gentile questa lettera invito alla costruzione di un coordinamento degli imputati del 15 Ottobre, Proposta che facciamo nostra e rilanciamo:

A due anni dal mio arresto: riflessioni sul 12 aprile e una proposta agli imputati del processo per i fatti del 15 ottobre!

Ancona, 19.04.2014
Compagne/i,

la ricorrenza dei miei due anni di detenzione agli arresti domiciliari per i fatti del 15 ottobre coincide con la violenta repressione avvenuta nei giorni scorsi, durante la manifestazione del 12 aprile e poi con lo sgombero di 200 famiglie avvenuto a Roma nel quartiere Montagnola: la mia solidarietà e complicità con Ugo, Simon, Matteo e Lorenzo agli arresti per i fatti del 12 aprile.

 

La repressione di quest’ultima settimana avviene mentre la classe dominante prova a darsi nuovo lustro con il governo Renzi-Berlusconi e si acuisce lo scontro tra i fautori del partito americano (di cui Renzi e Berlusconi sono fieri esponenti) e il partito dell’UE ma nulla cambia per le masse popolari. Prosegue l’eliminazione sistematica delle conquiste così come prosegue la repressione: gli abusi di polizia a cui abbiamo assistito in questi giorni esplicitano una volta di più che il nemico non è disposto ad accogliere richieste e rivendicazioni e che è responsabilità di tutti noi non cadere nell’errore di intavolare trattative con quelle istituzioni che ci affamano ogni giorno. Il post-12 aprile ha innescato un dibattito sul bilancio di questa giornata di lotta: leggo le posizioni dei fautori delle rivendicazioni al governo Renzi e leggo le posizioni di altri che criticando i primi sostengono la via della rivendicazione all’UE. Questo dibattito è sano: l’apatia e la scarsità di dibattito all’interno del movimento è quanto di più negativo pertanto che il dibattito prosegua e si sviluppi. Esso è un segnale positivo così come lo è l’immediata solidarietà per i compagni arrestati e fermati. Però giungiamo a prendere atto che non è cambiando il referente delle nostre rivendicazioni che registreremo l’ulteriore sviluppo delle mobilitazioni nel nostro paese. Superiamo la concezione infantile dei nostri compiti che ci confina al ruolo di ribelli da strada o elemosinatori di trattative e referendum. Passiamo dalla protesta alla lotta per il potere! A questa condizione potranno ulteriormente svilupparsi le organizzazioni operaie e popolari scese in strada dall’ ottobre 2013. Iniziamo a volare alto: che si estenda il crescente movimento di lotta per la casa, che si prenda l’iniziativa e si elevi l’organizzazione della classe operaia dai call-center alle fabbriche, che si lavori verso la prospettiva di far ingoiare al nemico il nostro governo del paese e non ci si limiti alle petizioni, alle rivendicazioni, alla trattative!

 

La crescente repressione in corso nel paese ci sarà d’aiuto nel comprendere la situazione e i nostri compiti. Che serva allo scopo anche la battaglia in corso contro il processo per i fatti del 15 ottobre. Approfitto di questa lettera per esprimere considerazioni funzionali ad un bilancio e ad un rilancio dell’azione degli imputati e della generosa rete solidale radunatasi da due anni a questa parte.

 

A due anni di distanza nonostante l’impegno che molti hanno messo per creare una rete solidale per sostenere noi imputati, abbiamo raccolto veramente poco. L’errore che continuiamo a fare è quello di non riuscire a coordinare ed organizzare una lotta concreta ed efficace che consenta di contrastare l’avanzata degli apparati repressivi. Subire l’accanimento politico e giudiziario rimanendo fermi alle solite strategie di lotta e di solidarietà impone un cambiamento che porti più concretezza e unità tra le organizzazioni operaie e popolari.  Si può e si deve migliorare la concezione della lotta che stiamo portando avanti per non continuare a subire violente repressioni e per non ripetere gli errori del passato. Lancio questo appello affinché si possa costruire una rete solidale concreta per non far cadere nel dimenticatoio processi e processati, e fare un passo in avanti nella concezione che ci guida sul terreno della resistenza, lotta e solidarietà alla repressione.

 

Il processo per i fatti del 15 ottobre sta lentamente cadendo nel dimenticatoio, ci troviamo a ripetere cosi l’errore già commesso nel processo per i fatti di Genova 2001. Questo processo (quello del 15 Ottobre), così come quello per i fatti di Genova 2001 è un vero e proprio atto intimidatorio. Con esso la classe dominante lancia un chiaro monito a tutti quelli che oggigiorno non ci stanno ad abbassare la testa e lottano per la costruzione di un mondo migliore: si accaniscono con noi imputati per i fatti del 15 Ottobre a suon di reati assurdi (tipo “devastazione e saccheggio”) e pene esemplari, per intimorire quanti da un capo all’altro del paese animano le lotte e i movimenti contro l’attacco ai diritti e per costruire l’alternativa ai governi dei poteri forti.E’ principalmente per tale motivo che dobbiamo sviluppare un fronte ampio di lotta e solidarietà con tutti gli inquisiti per i fatti del 15 Ottobre con l’obiettivo di mettere i bastoni tra le ruote alle Autorità e rispedire al mittente questo attacco repressivo.

 

Come ribadito nelle giornate del 14 e 15 Marzo a Roma, nelle aule di Tribunale così come nelle piazze, bisogna passare dalla difesa all’attacco, prendere noi il pallino del gioco in mano, passare da accusati ad accusatori e portare “sul banco degli imputati” quelle stesse autorità che vorrebbero condannare lo sviluppo della lotta di classe nel nostro paese. Finora la solidarietà verso gli imputati nel processo 15 ottobre non è mancata e ha avuto modo di esprimersi in maniera generosa in diverse occasioni ma dobbiamo riconoscere che nel complesso non siamo riusciti a contrapporre alle arringhe di Minisci & co la nostra difesa politica collettiva, che difendesse la nostra identità di perseguitati politici e che al contempo utilizzasse il processo in un ottica di attacco e di rottura.

 

Di certo non è mai troppo tardi per cominciare soprattutto per gli imputati di questo processo (che sfornerà nuove condanne se non saremo in grado di mettere i bastoni tra le ruote e inceppare i meccanismi della repressione).

 

E’ proprio per fare ciò, che oggi sento il dovere di lanciare un appello affinché da subito, partendo da quelli che sono gli imputati più sensibili, si costruisca un “Coordinamento imputate/i 15 ottobre”. Questa proposta è per consentire a tutti noi imputati di essere uniti e parte attiva nell’organizzare la difesa legale, per rafforzare un nodo fondamentale della rete di solidarietà finora sviluppatasi (che ha avuto il suo punto più debole proprio nell’assenza di coordinamento tra gli imputati), per iniziare a praticare a partire da noi imputati la battaglia contro la persecuzione politica al livello che oggi occorre ovvero passare da accusati ad accusatori

 

E’ necessario fare un assemblea e discutere di questo progetto e la volontà di portarlo avanti per dare una svolta concreta a questo processo e alla solidarietà che ne è cresciuta attorno.

 

A quanti concordano con questa proposta chiedo di attivarsi facendola circolare e arrivare anzitutto presso gli altri imputati di questo processo.  Il primo passo è informare tutti gli imputati dei vari processi del 15 ottobre svolti finora e chiedere l’adesione a tale progetto affinché partecipino attivamente al processo e allo sviluppo della rete solidale. Gli imputati firmatari dovranno essere i primi ad impegnarsi e sostenere la crescita del coordinamento, così come i movimenti aderenti, soprattutto quelli non colpiti da arresti che hanno modo di muoversi e partecipare a manifestazioni ed assemblee, questi sono anche la voce di noi agli arresti. Impariamo dagli imputati ai processi contro il movimento NO TAV, disimpariamo da cattivi consiglieri che ci raccomandano di star buoni e tutto si risolverà!

 

Rompere il silenzio sul 15 ottobre è dar voce a chi sta pagando per aver difeso i diritti di tutti, è mobilitarsi concretamente, è intraprendere una nuova strada. Organizzare una mobilitazione su scala nazionale indetta dal coordinamento dovrà essere il passo successivo per richiamare in tutte le città eventi per sostenere le spese legali ed assemblee pubbliche che mettano al centro la solidarietà incondizionata a chi oggi è colpito dalla repressione.

 

Per rafforzare ancora di più la mobilitazione e per fare della lotta, della resistenza e della solidarietà alla repressione un terreno concreto di battaglia per la costruzione di una società migliore, propongo di sviluppare campagne in comune e in sinergia tra quelli che sono i processati per i fatti del 15 ottobre 2011 con quelli per i processi relativi ai fatti del 14 dicembre 2010 e del 14 settembre 2011 (in avvio in queste settimane). Unire in una campagna comune anche la mobilitazione di solidarietà per i processi relativi ai fatti del 31 ottobre e del 12 aprile.

Dalle piazze ai tribunali iniziamo a volare alto: passare dalla protesta alla lotta per il potere!

La solidarietà è un’arma: impariamo ad usarla!

Mettiamo fine alla persecuzione politica per i fatti del 15 ottobre!

Uniamo e coordiniamo le lotte contro la repressione!

 

Mauro Gentile, militante comunista agli arresti domiciliari per i fatti di Roma del 15 Ottobre 2011

 

Fonte:

http://www.inventati.org/rete_evasioni/?p=1564

7 aprile 1979: quando lo Stato si scatenò contro i movimenti

Dal blog di Paolo Persichetti, http://insorgenze.wordpress.com/ 
dicembre 21, 2010
 

Ogni volta che apre bocca Maurizio Gasparri ci ricorda che esiste il Cottolengo. Ma questo non è sempre un buon motivo per ignorare le sue sortite. La sua richiesta di scatenare contro il movimento “arresti preventivi”, l’accusa di “assassini potenziali” rivolta contro i manifestanti, danno voce in realtà a settori consistenti degli “apparati dello Stato” e pezzi di opinione pubblica reazionaria. I tentativi di dialogo con le forze di polizia sponsorizzati in questi giorni da alcuni giornali ed esponenti politici, come Veltroni, la ricerca di una mediazione con i manifestanti, mostrano tuttavia che negli apparati esistono linee diverse.
Liquidare l’offensiva repressiva lanciata dal presidente dei senatori Pdl, uno dei più servili maggiordomi del Berlusconismo che da ministro ebbe il compito di varare una riforma del sistema televisivo scritta dagli uffici studi di Mediaset, come un rigurgito fascista sarebbe un grave errore. Il nuovo “sette aprile” chiesto a gran voce dall’ex missino, fratello di un generale dell’Arma dei carabinieri, non fu uno strumento di repressione ripreso dal ventennio mussoliniano, ma un dispositivo di repressione giudiziario-poliziesco e politico-culturale, messo a punto dal partito comunista italiano, sostenuto con feroce coerenza dal giornale fondato e direto da Eugenio Scalfari. Il fatto che oggi sia un ex-post sempre fascista a reclamarlo chiama in causa gli eredi del Pci sparpagliati un po’ ovunque, nel Pd, nella Federazione della sinistra, in Sel o nell’Idv, alcuni persino nel Pdl. Se oggi chi milita in queste formazioni pensa che evocare il 7 aprile sia prova di fascismo, deve spiegarci perché allora venne congeniato quel modello di repressione dei movimenti e perché fino ad oggi non ne ha mai preso le distanze

 

Paolo Persichetti
Liberazione 22 dicembre 2010

Chi ha definito un rigurgito fascista la richiesta di un «nuovo 7 aprile» fatta da Maurizio Gasparri, cioè di «una vasta e decisa azione preventiva» da scatenare  contro i centri sociali ritenuti, a suo dire, i responsabili degli scontri avvenuti il 14 dicembre scorso a Roma, non ha detto una cosa giusta. Pietro Calogero, il pm di Padova che congeniò il teorema accusatorio firmando i primi 22 ordini di cattura che diedero via al blitz contro il gruppo dirigente dell’area dell’Autonomia operaia, tra cui Toni Negri, Franco Piperno e Oreste Scalzone, non era fascista. L’intera inchiesta, in realtà, fu preparata e supportata dal sostegno politico diretto del partito comunista, dall’azione di un suo dirigente locale, Severino Galante, dal lavoro riservato della sezione “Affari dello Stato” diretto da Ugo Pecchioli, dalla funzione di raccordo tra magistratura e sistema politico svolta da Luciano Violante. Membri del Pci erano alcuni dei testimoni chiave che consentirono di formulare la prima salva di accuse. In quegli anni il Pci dispiegò tutta la sua macchina organizzativa senza badare a sfumature per monitorare nei quartieri e nei posti di lavoro gli “estremisti” e i “sovversivi”, i cui nomi venivano poi affidati ai nuclei speciali del generale Dalla Chiesa. Addirittura intervenne sui giurati del processo di Torino contro il nucleo storico delle Br. Democristiano era invece Achille Gallucci, il giudice istruttore romano che lo stesso giorno spiccò altri mandati di cattura per «insurrezione armata contro i poteri dello Stato», avviando così il secondo troncone dell’inchiesta. Quell’episodio che molti giuristi, come Stefano Rodotà e Luigi Ferrajoli, continuano a ritenere una delle pietre miliari dell’emergenza giudiziaria che ha scardinato il sistema delle garanzie giuridiche avviando anche quella cultura della supplenza giudiziaria, senza la quale non avrebbe mai visto la luce “Mani pulite”, che aprì la strada al berlusconismo, nacque nel cuore della stagione del compromesso storico, della linea della fermezza, del consociativismo che annullava ogni differenza tra maggioranza e opposizione. Il Movimento sociale, partito nel quale militava all’epoca l’attuale presidente dei senatori del Pdl, era fuori dell’arco costituzionale. La legislazione speciale, l’introduzione delle carceri speciali, gli spregiudicati metodi d’indagine che permisero l’arresto dei militanti dell’Autonomia, votati anche con l’assenso dell’opposizione parlamentare, resero di gran lunga più repressivo il capitolo dei delitti politici presente nel codice penale elaborato per punire gli antifascisti da Alfredo Rocco, guardasigilli del regime mussoliniano. Il modello 7 aprile introdusse il ricorso al «rastrellamento giudiziario», cioè la contestazione di reati associativi di vecchio e nuovo conio senza l’individuazione di fatti circostanziati, la cui prova veniva rinviata nel tempo grazie ad una custodia preventiva allungata a dismisura. Di fatto l’arresto si trasformava in un vera e propria pena anticipata scontata prima della sentenza. In questo modo le accuse si fondavano sul principio della “tipologia d’autore”, ad essere contestata era l’identità e la storia politica dell’imputato. Scelta motivata all’epoca con la necessità “prosciugare l’acqua dove nuota il pesce” per difendere lo Stato dall’attacco dei gruppi armati: l’anno prima era stato rapito e ucciso dalle Br il presidente della Dc Aldo Moro, attorno al movimento del ’77 si era diffusa un’area insurrezionale, un’arborescenza di sigle che alimentava azioni armate ovunque mentre il conflitto sociale era giunto all’apice. Pochi mesi prima era stato ucciso Guido Rossa. Tuttavia l’introduzione di quello che fu un vero “stato di eccezione giudiziario” venne sempre negata dalle forze politiche, ciò spiega il rimosso e il tabù attuale. La sinistra non ha mai fatto i conti con quella scelta, anzi col passar delle svolte e delle sigle l’ha iscritta a pieno nel proprio patrimonio culturale ritrovandosi nella paradossale situazione che vede oggi un fascista di allora rivendicarne con estrema naturalezza l’impiego. E’ stata la sinistra, spalleggiata dal partito-giornale di Repubblica, a mettere in piedi il micidiale modello repressivo e l’arsenale giuridico rivendicati oggi contro i movimenti da un personaggio come Gasparri. Quanto basta per avviare una riflessione critica mai veramente affrontata.

Fonte:

http://insorgenze.wordpress.com/2010/12/21/7-aprile-1979-quando-lo-stato-si-scateno-contro-i-movimenti/

 

 

La Repubblica e il #14dic2010

 

Prendiamo parola indignati in risposta ad un articolo del quotidiano La Repubblica sull’apertura del processo sul 14 dicembre 2010: una mistificazione faziosa della realtà, ma la potenza di quella giornata di conflitto e dignità non si può cancellare. Ed evidentemente fa ancora paura.

“Gli studenti si stanno riappropriando delle piazze in tutta Italia, dalle grandi metropoli alle cittadine di provincia, per opporsi alla riforma della scuola voluta dal ministro Mariastella Gelmini”. C’era un tempo in cui “La Repubblica”, diretta da Ezio Mauro, idolatrava gli studenti. Non che la cosa ci importasse particolarmente, anzi. Gli unici motivi che all’epoca spinsero il quotidiano a pubblicare continue marchette editoriali nei confronti del movimento dell’Onda erano legati all’impotenza e alle incapacità dell’antiberlusconismo di una certa sinistra, assieme alla speranza che gli studenti potessero veramente spazzarlo via dalla scena politica.

Cose che ci erano già molto chiare all’epoca, quando durante le occupazioni delle facoltà ci trovavamo spesso assediati dai giornalisti di questa impresa giornalistica, pronti a narrare in maniera epica anche il più insignificante degli accaduti. “Ti prego, posso farti una foto mentre bevi il caffè sotto lo striscione?”. “No, levate”. “Ti prego, lo facciamo per dare visibilità alla vostra protesta” “Levate”. E così per loro siamo diventati degli eroi da osannare con l’occupazione del Colosseo e degli altri monumenti in tutto il paese, da venerare durante la contestazione davanti al Senato. Poi la fine del governo Berlusconi, Repubblica festeggia e si allinea alle politiche di austerità di Mario Monti e della Bce, diventando la più grande sostenitrice dei tagli. Da quel momento, di qualunque natura siano le mobilitazioni, a prescindere dai fatti, nella rappresentazione mediatica di Repubblica gli studenti in mobilitazione si trasformarono automaticamente in violenti, il book block da splendidi simboli della cultura a pericolosi simboli di violenza, un lancio di uova in pericoloso attentato, i disoccupati in criminali, il movimento No Tav in un’organizzazione terroristica, e i centri sociali in mostri da criminalizzare.

Per questo, leggendo l’articolo pubblicato ieri sul sito di Repubblica, pur non sorprendendoci particolarmente, siamo profondamente indignati. Se da una parte ci viene da sorridere rispetto al palese voltafaccia di convenienza della linea editoriale, dall’altro non possiamo che rimanere schifati di fronte al modo in cui viene presentata la notizia dell’inizio del processo sulla giornata del 14 dicembre 2010.

Innanzitutto i ventisei ragazzi coinvolti nel procedimento sono già stati condannati senza appello dal giornale per aver “trasformato il corteo in una guerriglia urbana”, ignorando volutamente il fatto che il nostro ordinamento giuridico prevede la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva. Altra questione, la mistificazione e la totale decontestualizzazione dei fatti: una insorgenza generazionale di massa, seguita a mesi (o meglio anni) di mobilitazioni diffuse del mondo della formazione, che vide protagonista tutto il corteo, diventa nell’articolo un attacco di piccoli gruppi che, in maniera organizzata, “assaltarono il centro storico”. Mica Montecitorio, dove Silvio Berlusconi aveva appena ottenuto la fiducia al Governo attraverso la compravendita di parlamentari e senatori. E ancora, come se non bastasse, non ritroviamo nell’articolo nessun accenno alle facoltà occupate da mesi, agli studenti in mobilitazione in tutta Italia contro la peggior riforma dell’università che il paese ricordi, ai ricercatori sui tetti, ad una sfiducia contro un governo corrotto che avveniva giorno dopo giorno nelle piazze di tutto il paese. Senza questi fatti, non si può comprendere il 14 dicembre. Ed infatti, quell’articolo non informa, ma criminalizza. Non narra dei fatti, ma riporta la tesi dell’accusa. Chissà se Repubblica si è semplicemente scordata di questi piccoli dettagli o se ha preferito tacerli per meglio portare avanti un’operazione di mistificazione della realtà.

Da segnalare inoltre il maldestro tentativo di far passare come equo questo processo, solo per il fatto che il Pubblico Ministero, Luca Tescaroli, è lo stesso ad aver aperto un procedimento d’indagine contro il poliziotto che il 14 novembre 2012 (e non 2011 come riportato erroneamente da repubblica) colpì ripetutamente e senza motivo (ma questa volta sì che Repubblica specifica “secondo l’accusa”) un manifestante immobilizzato a terra. Cose che dovrebbero succedere sempre, e non solo quando gli atti di violenza perpetrati dalle forze dell’ordine sono talmente chiari ed eclatanti. Non si tratta quindi di un atto di eroismo del Pm, ma di una cosa normale, se vivessimo in un paese democratico. E invece sono innumerevoli le teste spaccate, le costole rotte, gli arresti arbitrari, le torture psicologiche e fisiche, considerate ormai normale amministrazione dalla magistratura e dalle forze politiche.

Il 14 dicembre 2010 in via del Corso non c’erano gruppi organizzati, non c’erano frange che “volevano rovinare un corteo pacifico”, non c’erano buoni e cattivi. C’era, che vi piaccia o meno, un’intera generazione in rivolta contro i politici e i potenti che pianificano la distruzione del futuro, dei diritti e della vita di milioni di persone. A piazza del Popolo c’era il movimento che ha delegittimato il Parlamento dal basso, ben prima del pronunciamento della Corte Costituzionale, che ha provato a difendere ciò che restava dell’università e della scuola pubblica – i dati dell’abbandono scolastico ed universitario sono allarmanti, e sappiamo chi sono i responsabili di questa situazione – un movimento che ha saputo rispondere all’ennesima violenta compravendita di voti per la fiducia con la giusta determinazione e grande dignità.

In quella piazza, noi lo ricordiamo bene, c’erano oltre 100 mila persone (e non certo 20 mila!) decise a non scappare, a non fermarsi davanti alle cariche e ai lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine, a rimanere incordonati per proteggere tutto il corteo dai caroselli dei blindati lanciati a folle velocità contro i manifestanti, rivendicando il diritto di arrivare a manifestare, come in tutto il mondo accade, sotto i palazzi del potere e quindi a Montecitorio. Negli occhi abbiamo le immagini di un fiume di gente incontenibile, che dopo ogni carica ritornava all’attacco superando qualsiasi argine. Ricordiamo le urla e gli applausi con cui la piazza festeggiava il blindato in fiamme e i gruppi di carabinieri messi in fuga a suon di sampietrini. Ricordiamo l’odore acre dei lacrimogeni che quel giorno piovevano a grappoli su piazza del Popolo, ma senza riuscire a scalfire la determinazione di una generazione che ha smesso di accettare passivamente il ricatto della precarietà, la violenza della disoccupazione e dello sfruttamento, la distruzione di scuole ed università.

Per quanto si tenti di mistificarla, è questa la verità che appartiene a una generazione di studenti e di giovani. In tanti, e Repubblica in primis, sembrano avere la memoria corta e in tasca soltanto una verità a tempo determinato: quella che in base alle circostanze del momento fa comodo al governo di riferimento.

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/la-repubblica-e-il-14-dicembre-2010