La dislessia raccontata da Valentina

1) A che età hai ricevuto la diagnosi di dislessia?

Ho ricevuto la diagnosi di DSA a 10 anni, in 5 elementare.


2) Come è stato gestito il tema dei DSA a scuola all’interno del tuo gruppo classe?

Ecco… Diciamo che alle elementari quando ho ricevuto la diagnosi mancava poco alla fine dell’anno, non è stato trattato l’argomento, ti direi che non era cambiato nulla. Alle medie i docenti mi etichetta vano come “la stramba”, “quella diversa”, “la lenta” ecc.. E questi stereotipi inevitabilmente si creavano poi tra compagni facendo sì che ero sempre l’esclusiva, l’aliena… 
Alle superiori non è cambiato nulla se non tra la 4 e la 5 grazie a un collegio docenti diverso, che mi hanno supportata e seguita nella scelta di voler fare la tesina di maturità proprio sulla mia caratteristica e l’idea era di coinvolgere anche i miei compagni per mostrare loro e far capire cosa è questo potere (mi piace pensare che è un super potere).


3) Quanto la dislessia influisce su autostima ed autoefficacia? Cosa si può fare per incrementarle?

Direi moltissimo, il riuscire o non riuscire in qualcosa per la società di oggi è davvero molto importante così come il fare giusto o sbagliato… Per non parlare della velocità, sembra che sei veloce sai, sei intelligente altrimenti no… Non è così ma…. Vallo a spiegare…
La dislessia è anche lentezza, avere difficoltà in qualcosa e non riuscire, sbagliare… E paragonandoti o essendo paragonato sempre agli altri ecco l’autostima e l’autoefficacia non sono di certo sotto braccio…. Spesso il pensiero è ” e se non ce la faccio?” , “e se non posso perché sono dislessica?” ecc….
Una cosa super bella però è che nonostante il buttarmi giù, lo scoraggio e sconforto iniziale voglio sempre riprovare e riuscire, non mi voglio mai arrendere.


4) Hai avuto problemi di bullismo a causa della tua caratteristica?

Sì, come anticipato prima… Venivo sempre vista come un’aliena o la diversa o addirittura la malata… Nei diversi anni scolastici c’era chi non mi voleva vicino o non voleva fare qualcosa con me perché “ma lei è diversa” oppure le derisioni, i giudizi… Non mancavano mai!


5) Quali sono gli stereotipi e pregiudizi più diffusi nei confronti degli alunni DSA?

“è intelligente ma non si applica”, “è un po’ lento/a…”, “non gli serve studiare tanto hanno le mappe…”, “è solo una scusa”, “sei malato/a”, “sei stupido/a”, “non sei intelligente”, “non sei bravo/a in nulla!”, “non saper leggere alla tua età è grave!”, “ma dai dillo che è solo perché non hai voglia”….


6) Quali metodi di studio e strumenti compensativi e/o dispensativi trovi più efficaci?

Come strumenti compensativi direi in primis in assoluto l’uso dei colori e immagini e strumenti digitali (es. pc, cellulare, tablet) e calcolatrice.
Strumenti dispensativi… Lettura ad alta voce!

7) Attualmente studi o lavori? 0 entrambe le cose? Quali difficoltà vivi con più frequenza nelle tue attività?

Attualmente lavoro! Ricordare le date e gli orari,
avere fiducia nelle mie capacità là dove si tratta di qualche attività che anche se so come compensare può causarmi una difficoltà (es. Leggere ad alta voce per qualcuno, scrivere testi importanti…).


8) Quali sono le difficoltà legate alla quotidianità, come fare la spesa, andare al ristorante, prendere un mezzo di trasporto pubblico, guidare un’auto, ecc., per una persona dislessica?

Beh… possono essere davvero tante, dal bancofrutta che devo leggere ricordare e scrivere il numero alla bilancia  al calcolare quanto mi deve dare di resti la cassiera dopo la spesa. A un qualsisi documento da leggere, compilare e firmare, al leggere il menu con un font non ad alta leggibilità al ristorante, ecc…


9) Cosa ti ha spinto a creare il blog www.la-dislessia.it?

Dopo aver realizzato la tesina di maturità e aver fatto l’esame lo stupore negli occhi della commissione e il tanto interesse mi ha fatto capire che non doveva essere una cosa che si spegneva da lì a poco, ho così creato la mia pagina Instagram, poi però il fatto che su instagram non si può caricare documenti scaricabili (es. Schemi e mappe) e tante altre funzionalità ho deciso di creare il Blog per essere più comodi.


10) Secondo te la società odierna sta facendo abbastanza per rispettare e valorizzare questo tipo di neuro-divergenza?

Sta iniziando ma.. C’è ancora tanto da lavorarci!

Intervista a Gonzalo Mirabella, performer di boylesque

1)Tu sei un performer di boylesque, show di neoburlesque nato in Inghilterra come affiancamento agli spettacoli femminili. Quale idea del maschile traspare da questo tipo di show?

Il boylesque, termine coniato negli anni 90, per differenziare il burlesque “femminile” da quello al maschile, ricalca le finalità caratteristiche di questa arte antichissima.
L’idea di una mascolinità autentica e scevra da ogni connotazione tossica.
La celebrazione della fisicità maschile in tutte le sue sfaccettature mantenendo un profilo entertaining che la rende fruibile in maniera leggera e diretta.

2) Da chi è costituito di solito il pubblico di uno spettacolo di boylesque?

Il pubblico del boylesque è identico a quello del burlesque. Ovviamente non è inusuale trovare spettacoli di boylesque in contesti queer e lgbtq friendly, ma di base il burlesque rimane un’arte per tutti, indifferentemente dal genere e dall’orientamento sessuale

3) Pensi che in futuro questo tipo di show sarà maggiormente conosciuto e apprezzato nel nostro paese?

Bella domanda. Onestamente credo di no: in Italia siamo ancora radicati ad una concezione dell’uomo in chiave patriarcale, nella quale sono insiti concetti e pregiudizi difficili da scardinare.
La sensualità maschile, giocosa o erotica che sia, rimane relegata ad un’idea fallocentrica tipica della mascolinità tossica italiana

4) C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Se siete incuriositi dal burlesque o dal boylesque andate a vedere spettacoli proposti da professionisti del settore.  Purtroppo oggi assistiamo ad un proliferare di shows e performers fai da te che danneggiano questa meravigliosa arte.

 

Intervista a Giuditta Sin su arte e corporeità

Axel Void, NessunoAxel Void, Nessuno (foto mia)

Io: Tu sei una artista la cui arte spazia tra danza, burlesque, body art, ecc. Nelle tue performance c’è più un aspetto estetico, erotico, o un misto di entrambi?

G. S.: Un misto di entrambi. La parte estetica è molto importante essendo io un’artista visuale che ha a che fare col corpo il quale uso come una tavoletta. L’altra parte è quella erotica perché è una tematica che mi interessa molto. D’altronde la liberazione del corpo delle donne è una tematica presente anche nel femminismo.

Io: C’ è anche una componente politica nella tua arte?

G. S.: Tendenzialmente sì perché ciò che ha a che fare col corpo è di per sé politico. Lo spogliarsi va a sdoganare tanti paletti, tanti tabù, tante idee che si vengono così a scardinare. L’aspetto politico è, quindi, insito in sé.

Io: In tempi di pandemia, in cui i luoghi d’arte sono spesso chiusi e la distanza fisica, oltre alla paura, permea le nostre vite, cosa possiamo fare per non perdere la nostra corporeità e insieme il desiderio di bellezza?

G. S.: Sinceramente cercare di spegnere la televisione e gli altri mezzi di comunicazione di massa; cercare di crearsi una propria dimensione; leggere; alimentare le proprie passioni, cercando modi alternativi per farlo, senza pensare alle cose che non si possono fare come le facevamo prima; passeggiare, stare a contatto con la natura, cosa per me molto importante; cercare di alimentare la speranza che tutto presto andrà meglio, non arrendersi al disagio, alla depressione, alla negatività.

Intervista all’ideatrice della community @iamnakedontheinternet

Madia+Claudia

 (Madia e Claudia Ska ritratte da @Miss-Sorry, ideatrice del progetto https://iamnakedontheinternet.com, per gentile concessione dell’autrice)

Com’è nata l’idea di creare una community artistica e non basata sull’esposizione di corpi sul web?

Dalla mia necessità di fotografa di trovare un luogo dove poter raccontare, tramite immagini ma non solo, le storie di chi abitualmente frequentava il mio studio; persone che spesso venivano considerate “too much” dalla società o giudicate per le loro scelte.

Date spazio anche a chi, per vari motivi, vorrebbe mettersi a nud* solo in senso figurato?

Assolutamente sì, esiste per questo una sezione “Talk” che accoglie scritti, interviste e testimonianze e una sezione Video per chi non vuole mettersi a nudo ma desidera comunque “metterci la faccia”.

In che senso il vostro progetto può definirsi inclusivo?

Nel senso che chiunque è benvenuto, senza distinzioni di genere, particolarità fisiche o età anagrafica.

Quali altre arti, oltre alla fotografia, sono contemplate nel vostro progetto? 

La fotografia per ora è il motore cardine del progetto dato che io sono una fotografa. Ma mi auguro che possa ampliarsi con l’adesione di altri artisti/narratori ad altri mezzi espressivi, se il messaggio arriva ogni mezzo è valido.

Dato che internet è il vostro campo d’azione, come vi ponete in termini di contrasto e sicurezza verso fenomeni come il body-shaminglo slut-shaming, i dickpic e il cosiddetto revenge porn?

 
Credo che l’informazione, l’educazione e lo sviluppo di una maggiore empatia verso l’altro siano armi fondamentali per contrastare questi fenomeni.
In questi due anni di iamnkd siamo state spesso ponte tra la vittima, che trovava in noi una voce amica, e l’avvocato (collaboriamo con due studi legali che operano ove possibile pro bono). Senza arrivare a casi di questa gravità abbiamo visto con gioia quanto anche solo una conversazione tramite DM possa essere fondamentale per aprire una finestra di dialogo positiva sul corpo e sull’importanza di difenderci e dire no.

 
Riguardo al rischio di censura da parte delle piattaforme di social network, quali accortezze adoperate?

 
Purtroppo se si desidera diffondere il proprio messaggio attraverso una piattaforma pubblica con enormi interessi economici e precise regole è necessario adeguarsi alle stesse, seppure spesso incomprensibili e aberranti.
Sui social pubblichiamo solo ritratti o banner che portano ad una riflessione mentre su Twitter ci sentiamo più libere di postare dei nudi, ma sempre con un occhio di riguardo.
Mi auguro che con il nostro nuovo sito internet che debutterà i primi mesi dell’anno sia possibile offrire una valida alternativa priva di censura.

 
Come sostenete il vostro progetto?

 
Iamnkd è un progetto interamente autoprodotto che mira a vivere e a rinnovarsi tramite la sottoscrizione di un abbonamento.
(Abbonatevi!)

 
C’è qualcosa che vorreste aggiungere al termine di quest’intervista e/o lanciare un appello a chi la leggerà?

 
Sì certamente, conoscere l’altro è un meraviglioso modo per conoscere se stessi per cui prima di giudicare apritevi a chi avete davanti.

Body positive e grassofobia: ne parlo con Carmen di @iononmemevergogno

foto1 (1)Nella foto l’intervistata, Carmen Mastrangelo

Io: Ciao, Carmen. Grazie per aver accettato quest’intervista.

1. Com’è nata l’idea della pagina Instagram @iononmenevergogno?

E’ nata in maniera graduale. Io non me ne vergogno era l’hashtag della mia campagna social nata nel 2016 che aveva l’obiettivo di aiutare chi faceva fatica a mostrarsi in foto a figura intera perché si vergognava del proprio corpo. Poi ho scelto di utilizzarlo per trasformare il mio profilo in una community body positive inclusiva con uno sguardo alle esperienze personali.

2. La body positive e la fat acceptance sono sinonimi o la prima riguarda anche le persone magre o normopeso?

Diciamo che spesso vengono confuse. La body positivity credendo nella validità dei corpi include inevitabilmente la fat acceptance, ovvero accettare la validità dei corpi grassi abolendo lo stigma sociale che da anni li opprime. Ad oggi, in Italia, questo concetto non è ancora ben chiaro. Non si può parlare di Body Positive e farsi i ganzi sui social facendo emergere ancora concetti grasso-fobici e senza parlare o avere come obiettivo almeno, l’accettazione delle persone grasse.

3. Che cos’è la grassofobia o fat shaming?

La grassofobia è un insieme di micro-aggressioni, di atteggiamenti e pensieri volti a denigrare, stigmatizzare, prendere in giro e stereotipare le persone grasse. Il fat shaming è il termine con cui viene definita la concretizzazione dei concetti sopra riportati, in azione offensive e a volte anche violente.

4. Uno dei pregiudizi più diffusi nei confronti delle persone grasse è che siano quelle che mangiano di più. E’ davvero sempre così?

Assolutamente no! Si può avere un peso differente da ciò che il BMI decide che sia corretto per noi, per svariati motivi non per forza legati al mangiare di più o alla sedentarietà, come tanti vogliono credere pur di stigmatizzare chi è grasso. Esistono questi casi ma non è mai solo un problema di piacere nel mangiare o pigrizia, ci sono fattori ambientali, economici, psicologici, sociali ecc. Inoltre questo tema si può totalmente slegare dalla questione cibo quando parliamo di problemi ormonali ad esempio. Detto questo chi sceglie la propria condizione perché preferisce non privarsi di nulla non vale comunque meno di chi fa delle rinunce o delle diete nonostante sia grasso. Dovremmo semplicemente smettere di parlare delle scelte di vita altrui in ogni campo.

 
5. Quando un’altra persona ti dice che faresti meglio a stare a dieta è sempre grassofobia o, in alcuni casi, potrebbe essere un consiglio lecito?

Bisogna vedere quanto sia necessario dare un consiglio del genere e quanto la persona grassa in questione ha piacere nel riceverlo. Solitamente è sempre un’azione grassofobica. Ti dico di metterti a dieta perché penso che da magra saresti più bella e anche quando ci infiliamo la salute di mezzo non è quasi mai questo il vero sentimento che spinge a dare il consiglio. Anche perché se ti consiglio di perdere peso proponendoti la dieta del sedano, o di spaccarti in palestra e mettere le catene al frigorifero, non ti sto facendo del bene, probabilmente ti sto introducendo ad un disturbo alimentare e nemmeno lo sai.

6. Cosa pensi dell’idea che l’essere grassi sia associato automaticamente dai più all’essere brutti?

E’ una convinzione che l’industria della bellezza e la cultura della dieta ci hanno indotto da tempo. Anzi forse la bruttezza legata al grasso ha origini ancora più antiche ma su questo dovrei farci una ricerca. Di sicuro la rappresentazione che dal secondo dopoguerra abbiamo delle persone grasse è sempre legata a qualcuno di strano, pigro, mangione, puzzolente e automaticamente brutto. Oggi a quanto pare i contorni di questi stereotipi si stanno sfumando anche grazie al movimento body positive che stacca e lo ripeto, stacca il concetto di bellezza dai corpi. Un corpo valido non deve essere necessariamente bello, dove per bello si intende accettabile ai più. Anche perché la bellezza da sempre è soggettiva altrimenti avremmo un mondo di splendidi cigni e anatroccoli in via di estinzione.

7. Si può affermare che la fat acceptance rientra nella sex positivity? Un corpo grasso potrebbe essere considerato non solo bello ma anche sexy e avere diritto, quindi, a mostrarsi come tale?

Io sono una di quelle che vuole parlare anche in termini di sex positivity delle persone grasse. C’è chi prova attrazione per loro e non per forza deve essere additato come pervertito o feederist (coloro che provano eccitazione nel veder mangiare le donne grasse). Le persone grasse hanno diritto a tutto come le altre sulla carta. Quello che però cambia è la considerazione che la maggior parte delle persone ha di loro a livello sociale. La cosa che mi incuriosisce è capire perché nel privato si provano pulsioni sessuali per le persone grasse ma poi si fa difficoltà nel dichiararlo in pubblico. Anche questa è grassofobia e alimenta lo stigma, limitando chi è grasso a dichiarare di avere una libertà sessuale come tutti. Dall’altra parte col fenomeno del curvy si è arrivati ad un livello estremo di sessualizzazione del corpo femminile, parlando di donne morbide come vere donne, della carne più apprezzata a letto ecc.
Questo è un modo sessista di vedere la funzione del corpo femminile, considerandolo unico oggetto di piacere per gli uomini quando sappiamo tutti che 1. ad oggi parlare di etero-normatività è riduttivo e 2. Un corpo femminile non è solo uno sforna bambini. Tra l’altro non amo chi espone la propria approvazione verso i corpi grassi comparandoli con quelli magri sulla base delle prestazioni sessuali.

8. Alcuni giustificano le critiche severe alle persone grasse facendo riferimento alla salute e al rischio di incentivare abitudini scorrette. Cosa rispondi in questi casi?

Le critiche severe non servono a niente, sono puro esercizio di potere sui corpi non conformi e che vogliamo portare alla nostra normalità perché ci si inceppa il cervello quando affrontiamo la diversità. Non è mai una vera attenzione alla salute altrimenti staremmo a commentare ogni abitudine sbagliata che la gente adotta. Le critiche verso le persone grasse sono sistemiche e dirò una cosa forte, sono incentivate anche dalle istituzioni. Volete dare una mano a chi è grasso? Cercate di conoscere quali sono i loro problemi se li hanno, di capire le loro istanze e di non intaccare la loro salute mentale con le vostre rotture di scatole perenni.

9. Cosa ne pensi degli eufemismi che si usano talvolta al posto dell’aggettivo grasso? Hanno a che fare col rispetto verso le persone grasse o sono piuttosto una velata forma di grassofobia?

Se ti riferisci a termini come curvy, morbida, burrosa, curvosa ecc. io non li preferisco e ho scelto già da tempo di usare grasso come unico termine che racchiuda ogni fat shape. Però questa è una scelta personale, non voglio assolutamente giudicare nessuno anche perché far pace con certi termini non è facile ed è un percorso lungo. E’ inevitabile però che se questo discorso lo estendiamo alle istituzioni (famiglia, media, scuola ecc.) e se questi ancora non normalizzano la parola grasso spogliandola dalla sua connotazione negativa, sarà difficile accettarla con facilità.

10. Le modelle curvy sono un passo avanti verso la body positive, sono solo una strategia di marketing delle case di moda, o entrambe le cose?

Su questa domanda potremmo starci per ore e per evitare di scriverti un papiro ti dirò ciò che penso a bruciapelo. Il 90% delle volte in Italia è marketing. Questo si vede già dal fatto che la moda non è inclusiva almeno nei confronti delle persone grasse, poiché le taglie delle grandi maison che hanno abbracciato la body positivity non vanno oltre la 54.

 
11. Cosa possiamo fare per contrastare il fenomeno del fat shaming ?

Non trattare le persone grasse con paternalismo, come se non avessero capito niente della vita e soprattutto cercare di normalizzare i corpi grassi rappresentandoli sempre di più e dandogli sempre di più spazio e voce. L’ educazione alla diversità è fondamentale cercando di non incappare in quelle argomentazioni ipocrite come: siamo tutti uguali, siamo tutti belli.

12. C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

No! Solo grazie per l’opportunità e scusa per essermi dilungata in alcune domande.

Io: Grazie per la disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

Donatella Quattrone

Linguaggi inclusivi tra terminologia e cinematografia: ne parlo con Stefania Ratzingeer

 

Nessuna descrizione disponibile. Immagine usata dall’autrice per firmarsi

Io: Ciao, Stefania. Grazie per aver accettato quest’intervista.

S.: Grazie a te. Mi fai sentire importante.

Io: Tu sei una docente d’italiano e hai scritto una tesi sulla democrazia linguistica. Cosa ne pensi del dibattito sul maschile sovraesteso nella nostra grammatica e sui nomi professionali al femminile?

S.: Io non insegno italiano, ma italiano seconda lingua. Ho scritto una tesi sull’ipotesi di democratizzazione della lingua dominante e sulla teorizzazione di una lingua comune per tutti, ovvero l’esperanto. Per quanto riguarda la lingua italiana, al momento credo che sia necessario introdurre termini che identifichino professionalmente anche il femminile, perché è dal linguaggio che passa la normalizzazione di concetti ancora eccessivamente stereotipati. In Italiano non abbiamo a disposizione pronomi neutri, come succede ad esempio con lo Svedese e con altre lingue di matrice anglosassone, e questo crea un importante ostacolo alla creazione prima dell’idea e poi della concretizzazione dell’esistenza di determinate figure professionali (e non) scevre da distinzioni di genere.

Io: Hai in parte anticipato la domanda successiva. Vorrei chiederti, infatti, qual è la tua opinione su asterisco, scevà e altre desinenze per superare il binarismo di genere.

S.:  E’ assolutamente necessario introdurre nella lingua italiana espedienti grammaticali che ci permettano di non concentrarci sul binarismo di genere, per poter passare dal concetto alla realtà. Sono piuttosto sfiduciata per quanto riguarda le tempistiche di questo cambiamento linguistico: l’italiano è una lingua che cambia in modo biologico, non a tavolino. Istituzioni come la nota Accademia della Crusca si occupano di legiferare in merito ai neologismi, ma si tratta di costrutti che nascono spontaneamente e non di decisioni prese a tavolino: per quanto riguarda l’annullamento nel linguaggio di quella che è una vera e propria discriminazione bisognerebbe valutare un intervento a tavolino, che va tuttavia contro le dinamiche di apprendimento cui siamo abituati. I tempi sono lunghi quindi, credo se ne possa parlare in modo sistematico almeno tra un paio di generazioni, iniziando a contare già dalla prossima, ma è una visione ottimistica.

Io: Sei anche una cultrice di cinema. Da qualche mese collabori con il sito agit-porn attraverso una rubrica di recensioni cinematografiche, nella quale rileggi trame di film horror in chiave pornografica. Come è nata quest’idea?

S.: Quest’idea è nata dal fatto che ho conosciuto Claudia Ska, la fondatrice di agit-porn insieme a Gea Di Bella, fondatrice di “La camera di Valentina”.  Parlando insieme a Claudia, è uscita fuori la mia passione per il cinema e abbiamo pensato che tra l’horror e il porno potessero esserci degli elementi in comune per via delle reazioni emotive che entrambi i generi suscitano: eccitazione nel caso del porno, paura nel caso dell’horror. Nell’horror c’è anche il fatto che spesso i personaggi vivono situazioni di non inclusione, oltre ad essere pure degli assassini, come nel film Psyco (di cui ho parlato nel mio ultimo articolo) o come (in un altro film di cui non ho ancora scritto) in Non aprite quella porta.

Ho messo insieme, quindi, due mie passioni, il cinema e il sesso, ed è nata una collaborazione proficua tra me e Claudia.

Io: Ci sono punti in comune fra il linguaggio letterario e il linguaggio cinematografico? Se sì, quali sono?

S: Io non sono particolarmente autorevole in materia ma una cosa su cui vorrei porre l’accento è la narrazione. Il cinema narra e la letteratura narra. Soprattutto i personaggi che nascono in contesti difficili hanno bisogno della narrazione. Oggi credo sia ancor più importante la contronarrazione. E’ quello che sto cercando di fare su agit-porn, rileggendo le trame di alcuni film conosciuti e creando delle contronarrazioni che le rendano meno tragiche. Per esempio, in uno dei film della saga di Alien c’è una narrazione traumatica di un aborto. Una contronarrazione potrebbe essere la rinuncia alla maternità non vista come un dramma ma come una libera scelta.

Riguardo alla letteratura, i romanzi evocano immagini nel lettore. Nel cinema, soprattutto mediorientale, esiste anche una tecnica di tipo evocativo. Il cinema horror è molto evocativo. Anche il cinema porno lo è. Penso, quindi, che anche da questo punto di vista cinema e letteratura si capiscano molto.

Io: Grazie per le tue risposte.

Donatella Quattrone

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La street art resiliente del collettivo Lediesis

Laika giugno 2020 (2)

Laika giugno 2020Frida Napoliburqa

 

 

 

Ciao, Ledies.  Sono Frida Napoli (3)burqa (2)Donatella Quattrone. Grazie per aver accettato quest’intervista.

1) Il vostro è un collettivo di street artist. Siete operative in diverse città italiane: Roma, Palermo, Napoli, Livorno, Firenze, L’Aquila, Venezia, Milano, Bari, Bologna. E avete anche partecipato a delle mostre. Molte delle figure che rappresentate fanno parte del mondo dell’arte, della poesia, del cinema e della musica: come Alda Merini, la collezionista d’arte Peggy Guggenheim, Maria Callas, la performance art Marina Abramović, Marlene Dietrich, Lina Wertmuller, l’artista Yayoy Kusama, Frida Kahlo. I luoghi e le figure da voi scelte possono essere letti come una manifestazione d’amore verso il nostro paese e verso l’arte in tutte le sue sfumature?

Viviamo di arte e per l’arte. Quello che ci muove è arrivare al cuore della gente, provocare emozioni. In nostro sogno è quello di cambiare la visione del mondo e delle menti attraverso l’arte.
Quello che creiamo è una dichiarazione d’amore nei confronti della vita. In quello che facciamo in realtà non seguiamo mai una scelta pensata, ma guidata dall’istinto. La nostra ricerca di cambiamento si riflette nella pittura e nella scelta dei personaggi che decidiamo di dipingere: donne libere e illuminate che danno un messaggio positivo, di crescita individuale che si riflette anche sulla crescita spirituale della società. Per questo sono rappresentate con la S di Superman e strizzano l’occhio al passante in gesto complice: perché ognuno possa riflettere e scoprire i propri superpoteri.

2) La maggior parte dei personaggi che raffigurate sono donne, non solo artiste ma anche persone conosciute per il loro impegno sociale o professionale, come, ad esempio, l’attivista ambientalista Greta Thunberg o la giornalista Giovanna Botteri, criticata a causa del suo aspetto considerato poco curato rispetto ai canoni estetici dominanti.  Quanto c’è di “politico” in questa scelta?

L’arte, soprattutto oggi non può prescindere da funzioni civile, divulgative, educative.

3) Fra le vostre opere troviamo, tra l’altro, anche un murales dedicato a Paolo Borsellino, uno a Laika, la cagnolina astronauta inviata nello spazio e diverse raffigurazioni sul tema della natura. Quanto sono importanti per voi temi come la giustizia, l’ambiente e il rispetto di tutti gli esseri viventi?

Il nostro ultimo lavoro è un omaggio a Laika e l’abbiamo attaccato vicino a Campo dei Fiori a Roma. Il cammino dell’uomo è costellato di errori che ci portano con il tempo a nuove consapevolezze per rispettare tutte le forme di vita del nostro pianeta, per questo ci siamo sentite di creare un tributo a Laika, la cagnolina astronauta, primo terrestre ad essere inviato nello spazio.
Eva è rappresentata come una maga che tra le mani ha il pianeta terra al posto della sfera di cristallo. Prevede un mondo nuovo, popolato da una nuova umanità che sentendosi parte indissolubile della Terra interagisce in maniera sacra.
La donna nel corso della pandemia si è mostrata più resiliente, anche fisicamente, degli uomini. Ha maggiori capacità di adattarsi alle situazioni nuove. Le donne stanno prendendo sempre più coscienza del loro potenziale e porteranno tanti cambiamenti nel mondo.
Ultimamente abbiamo realizzato in collaborazione con la Fondazione il Cuore si scioglie (che dal 2010 è sempre a fianco di chi è in difficoltà, per cercare di dare un’opportunità a quanti non l’hanno mai avuta) una campagna per promuovere la raccolta fondi dei progetti e delle iniziative di solidarietà.
Insieme abbiamo selezionato 7 persone che hanno cambiato e stanno cambiando la storia e abbiamo realizzato dei superhumans come Martin Luther King, Falcone e Borsellino, Greta Thumberg, Liliana Segre… quindi non solo donne, ma personaggi molto attuali, eroi dei nostri tempi che hanno a cuore la giustizia, l’integrazione, il coraggio.

4) I vostri personaggi ammiccano. La street art è la nuova pop art?

Ormai la street art è completamente sdoganata all’interno della scena artistica italiana e internazionale, ma continua a conservare delle specificità grazie ad un contatto più diretto, informale e quotidiano con lo spettatore ma anche per una maggiore “libertà” creativa e di espressione, per cui riesce a spingersi là dove gli artisti più tradizionali sembrano avere il timore di avventurarsi.
La street art è quindi un mezzo di comunicazione con un’energia incredibile. Il fatto che si realizzi per strada è un motivo in più per veicolare messaggi positivi. Gli street artists hanno una grandissima responsabilità perché sono sotto gli occhi di tutti. Arrivare alla street art, quindi per noi è stata una conseguenza del nostro percorso interiore.

5) La pandemia dovuta al covid 19 ha influenzato le nostre vite. In alcune vostre opere avete cercato di lanciare dei messaggi di speranza. Quanto può aiutare l’arte nei momenti più bui della storia dell’umanità?

Per noi il lockdown è stato un momento molto creativo. Il doverci fermare ci ha fatto sentire molto più libere perché non avevamo gli obblighi della quotidianità. Il lockdown ci ha permesso di avere tempo per il nostro percorso e focalizzarci sui nostri obiettivi. Crediamo che queste riflessioni si siano rispecchiate sicuramente nelle nostre scelte artistiche, cercando di veicolare messaggi di responsabilità individuale e possibilità di scelte diverse da quelle fatte fino ad ora.

6) I vostri personaggi hanno tutti la S sul petto, simbolo dei supereroi e delle supereroine. Chi salverà il mondo, secondo voi?

Ognuno di noi.

Vi ringrazio per la disponibilità e per il tempo che mi avete dedicato.

Donatella Quattrone

 

Una città del Massachusetts ha riconosciuto le unioni poliamorose

A Somerville, Massachusetts, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità il riconoscimento del poliamore come forma di convivenza. Con poliamore si indica una relazione di tipo amoroso dove la consensualità tra i partner permette di avere contemporaneamente più rapporti di tipo affettivo-intimo-erotico e sessuale, in armonia e rispetto reciproco.

Come osservato dal presidente del consiglio cittadino l’emergenza Coronavirus ha indotto a ripensare il concetto di “domestic partnership”, che negli Stati Uniti indica la convivenza tra persone non sposate alle quali vengono riconosciuti alcuni benefici come ad esempio il diritto di visita in ospedale e di assicurazione sanitaria.

Inizialmente elaborata in termini di relazione tra due persone è stata ampliata il più possibile proprio per renderla maggiormente inclusiva. Si ritiene che la città sia la prima negli Stati Uniti a riconoscere le relazioni in cui siano coinvolte più di due persone.

Come accennato, tale riconoscimento è stato necessario per consentire a tutte le persone coinvolte in una relazione diversa dal matrimonio di poter usufruire dell’associazione sanità del proprio partner, in un periodo di emergenza quale quello che stiamo vivendo. Com’è ovvio la decisione ha incontrato la resistenza dei conservatori ma anche delle stesse compagnie assicurative che molto probabilmente faranno ostruzionismo a tale riconoscimento.

 

Fonte:

https://www.neg.zone/2020/07/03/massachusetts-poliamore/

 

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