Il difficile dibattito in Italia per un linguaggio inclusivo

di Alessandra Vescio

Il 25 luglio scorso, il giornalista Mattia Feltri ha dedicato la sua rubrica “Buongiorno” sul quotidiano La Stampa al tema dell’asterisco e dello schwa [ndr, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale], soluzioni di cui da anni si discute negli studi di genere e in linguistica nell’ottica di creare un linguaggio inclusivo. Sarcasticamente intitolato “Allarmi siam fascistə”, nel suo pezzo Feltri ha schernito le proposte, considerandole di difficile applicazione, uso e pronuncia, e ha attribuito la soluzione dello schwa a “un’accademica della Crusca” che ne avrebbe – a suo dire – parlato su Facebook.

Pochi giorni dopo, il Presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini ha inviato una lettera di risposta al direttore de La Stampa Massimo Giannini per fare alcune precisazioni: “La notizia che un’accademica della Crusca si sarebbe pronunciata a favore dell’utilizzo dello schwa e dell’asterisco […] è falsa in tutti i sensi”, non solo perché “la persona con cui Mattia Feltri polemizzava non è affatto accademica della Crusca” e non lo è “da parecchio tempo”, ma anche perché “nessun accademico […] ha sostenuto quelle tesi”, anzi in più occasioni l’istituzione ha manifestato la stessa linea espressa da Feltri. Concludendo con “Ci riserviamo di difendere comunque nelle sedi opportune il buon nome dell’Accademia”, il presidente Marazzini ha dunque criticato l’operato del giornalista in particolar modo per aver associato l’istituzione a una (ex) collaboratrice e alle sue tesi, ma ha anche fatto emergere una certa affinità con Feltri e non soltanto per le posizioni sulle questioni linguistiche. Com’è stato infatti fatto notare dalla scrittrice Carolina Capria e dalla giornalista e autrice Loredana Lipperini, né il Presidente dell’Accademia della Crusca né Mattia Feltri hanno fatto il nome della donna di cui stavano parlando, mostrando così non solo la volontà di dissociarsi da lei e dai temi di cui si occupa, ma anche di svilirne il lavoro e la dignità personale e professionale. Una posizione che l’Accademia ha ribadito anche in un post successivo, pubblicato il 3 agosto, in cui il Presidente Marazzini ha parlato di “disinvolta leggerezza” con cui La Stampa ha attribuito la qualifica di accademica a “persona che non aveva nessun diritto a tale titolo”.

Chi è del settore o conosce l’ambiente, ha capito presto che Marazzini e Feltri stavano parlando di Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice e docente universitaria, che – come ha tenuto a precisare nuovamente l’Accademia in un post con scopo di chiarimento – ha interrotto la collaborazione con l’istituzione nel 2019. Gheno, autrice di numerosi saggi di linguistica e comunicazione tra cui “Potere alle parole” e “Femminili singolari”, da tempo studia alcuni fenomeni linguistici molto dibattuti come il superamento del binarismo di genere e del maschile sovraesteso nella lingua italiana.

Il maschile sovraesteso

L’italiano è una lingua flessiva con due soli generi, il maschile e il femminile, e in caso di moltitudini miste prevede che si ricorra al maschile sovraesteso, detto anche generalizzato: basta che un solo uomo sia presente in un gruppo numeroso, infatti, per declinare il plurale al maschile.

L’Enciclopedia Treccani, in un approfondimento sul rapporto tra genere e lingua, spiega i modi diversi con cui il maschile sovraesteso si applica nella lingua italiana: con il ricorso a termini maschili che indicano gruppi composti da uomini e donne (“i politici italiani”, per indicare donne e uomini in politica); con quella che viene definita “servitù grammaticale”, ovvero l’accordo al maschile in presenza di parole maschili e femminili (“bambini e bambine erano tutti stretti ai loro genitori”) o tramite l’utilizzo di espressioni fisse al maschile che possono però anche riferirsi alle donne (“i diritti dell’uomo”, per indicare “i diritti umani”). “Ancora più particolare”, prosegue Treccani, “è l’uso di termini, professionali e no, al maschile, quando il referente, noto e specifico, è donna”.

Dei nomina agentis (o nomi professionali) al femminile si discute in Italia da molto tempo: ne hanno parlato ad esempio Alma Sabatini, nel suo saggio “Il sessismo nella lingua italiana” nel 1987, e Cecilia Robustelli, nelle “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo”, sottolineando la validità linguistica e l’importanza politica di declinare al femminile le professioni svolte da una donna. In uno dei suoi ultimi lavori, anche Vera Gheno ha mostrato come da un punto di vista linguistico l’italiano ammetta e preveda la formazione dei femminili. Le forzature e le stonature che alcune persone dichiarano di percepire quando si declinano certi termini al femminile, perciò, non possono essere ricondotte a motivazioni grammaticali e morfologiche quanto a una questione di abitudine o a un fatto socio-culturale, per cui il ricorso al femminile – stereotipicamente considerato come più debole rispetto al maschile – porta a immaginare uno svilimento della carica o del ruolo professionale.

Se la lingua evolve, però, è perché la società in cui viviamo sta cambiando: fino a non molto tempo fa, infatti, la presenza delle donne era limitata in alcuni settori e posizioni lavorative, per cui la necessità di declinare i nomi delle professioni in maniera corretta non era così ampiamente diffusa. Oggi che invece ci sono molte più avvocate, ministre, sindache, assessore, chiamarle con il loro nome diventa un’affermazione di esistenza, oltre che un’operazione linguisticamente esatta.

Come fa notare poi Gheno nel suo lungo e articolato post di risposta al “Buongiorno” di Feltri, il maschile sovraesteso viene spesso confuso con il genere neutro, che però in italiano non esiste: la nostra lingua infatti, come si è detto, comprende solo due generi, il maschile e il femminile, motivo per cui si parla anche di binarismo linguistico.

Il binarismo di genere e il rapporto con la lingua

Il binarismo di genere è un concetto che deriva dai gender studies e riconosce l’esistenza di due sole categorie, uomo e donna, a cui sono associati ruoli e caratteri specifici: all’uomo corrisponde tutto ciò che nell’immaginario comune è considerato maschile, alla donna tutto ciò che è definito come stereotipicamente femminile.

Il binarismo di genere non ammette, dunque, l’esistenza di identità di genere altre rispetto a quelle di uomo e donna, rinnega la distinzione tra sesso e genere e si basa su preconcetti che ci portano a definire per esempio la forza e l’autorevolezza come tratti tipicamente maschili e la sensibilità e la predisposizione alla cura come caratteristiche femminili. Il sesso e il genere invece sono ormai anche a livello istituzionale concepiti come entità separate: il sesso è l’insieme di caratteristiche fisiche, biologiche e anatomiche che caratterizzano un individuo mentre il genere è un costrutto sociale, che cambia nel tempo e nello spazio, e riguarda i comportamenti che la società attribuisce a un determinato sesso (ovvero il ruolo di genere), ma anche la percezione che ciascuno ha di sé (l’identità di genere). Il superamento del binarismo implica la concezione del genere non più come una classificazione fatta da due soli elementi, bensì come uno spettro di più possibilità. Coloro che non si identificano nelle categorie uomo-donna, ad esempio, possono riconoscersi come persone non binarie. Anche le persone transgender, ovvero coloro che hanno un’identità di genere diversa rispetto al sesso assegnato alla nascita, possono non rivedersi nel binarismo; e lo stesso vale per le persone intersex, ovvero chi nasce con caratteristiche cromosomiche, anatomiche e/o ormonali che non possono essere definite rigidamente come maschili o femminili.

Negli studi di genere e in certi ambiti della linguistica, ci si sta dunque interrogando su come costruire un linguaggio inclusivo che tenga conto di tutte le soggettività.

Le proposte per un linguaggio inclusivo

Nel saggio “Femminili singolari”, pubblicato nel 2019 dalla casa editrice effequ, l’autrice Vera Gheno propone – a suo stesso dire, in modo scherzoso – l’introduzione dello schwa, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale e spesso corrispondente a una vocale media-centrale. Per fare un esempio, nella frase “Buonasera a tutti” rivolta a un gruppo misto di persone, si potrebbe sostituire il maschile sovraesteso espresso dalla desinenza “-i” con lo schwa e dire dunque “Buonasera a tuttə”. La pronuncia corrisponde a un suono vocalico neutro, indistinto, già presente in molti dialetti del centro e sud Italia.

A prendere spunto da questa riflessione è stata proprio la casa editrice effequ in un’altra delle sue pubblicazioni. In “Il contrario della solitudine”, scritto dall’autrice brasiliana Marcia Tiburi e tradotto da Eloisa Del Giudice, effequ ha infatti introdotto lo schwa in riferimento a una moltitudine mista. Nel testo originale Tiburi ha adottato una delle soluzioni più utilizzate dai movimenti femministi e dalla comunità LGBTQIA+ di lingua spagnola, ovvero sostituire la desinenza maschile “-o” e quella femminile “-a” con una neutra “-e”, scrivendo per esempio “todes” al posto di “todos”. Per mantenere la neutralità del linguaggio e rispettare la scelta politica dell’autrice, effequ ha perciò deciso di tradurre “todes” con “tuttə”.

Per quanto al momento lo schwa appaia come la soluzione più praticabile poiché si tratta di un fonema neutro, già esistente e applicabile, presenta anch’esso dei limiti. Come spiega infatti proprio Gheno in un articolo uscito su La Falla, magazine del Cassero LGBT Center di Bologna, lo schwa “non compare al momento sulle tastiere di cellulari o computer”, ma solo nella sezione dei simboli e caratteri speciali dei programmi di scrittura: conseguenza di ciò è che scrivere un testo con lo schwa può risultare piuttosto macchinoso. Inoltre, essendo un suono presente solo in alcuni dialetti dell’Italia meridionale, può risultare difficile da comprendere e pronunciare per coloro che non conoscono e non parlano quei dialetti. Per provare a far fronte a queste difficoltà, è nata “Italiano inclusivo”, una piattaforma che ha lo scopo di promuovere l’introduzione dello schwa e superare il binarismo linguistico. “Italiano inclusivo” infatti offre diversi strumenti utili per conoscere, scrivere e pronunciare il fonema.

Nel frattempo, molte altre sono le proposte di cui si discute nell’ambito degli studi di genere, come l’asterisco o la vocale “-u” (che però in alcuni dialetti italiani indica il maschile). In una nota introduttiva al suo saggio “Post porno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali” (Eris Edizioni), ad esempio, l’autrice Valentine Wolf chiarisce che, “in un’ottica di inclusività”, nel testo si è preferito non ricorrere al maschile generalizzato ma utilizzare l’asterisco e la desinenza “-u”. Proprio pochi giorni prima dell’uscita del “Buongiorno” di Feltri in cui si è parlato dello schwa, anche la condivisione di questa nota sui social ha generato una serie di reazioni polemiche e sprezzanti.

Il linguaggio inclusivo negli altri paesi

Mentre l’Accademia della Crusca ha manifestato ritrosia nei confronti della presa in considerazione di soluzioni inclusive, in molti altri paesi il tema dell’inclusività e il rispetto delle soggettività sono centrali anche da un punto di vista linguistico. Nel 2019 il celebre vocabolario statunitense Merriam-Webster ha scelto il pronome “They” come parola dell’anno. Nella lingua inglese infatti si sta sempre più diffondendo l’uso di “they” e “them” come pronomi singolari, per riferirsi alle persone non binarie e che dunque non si riconoscono nei pronomi “he/him” (lui), “she/her” (lei).

In Svezia, invece, nel 2015 l’Accademia che ogni dieci anni aggiorna il dizionario ufficiale della lingua, ha introdotto il pronome neutro “hen”, da utilizzare in relazione a persone che non si identificano nel pronome maschile (“han”) o femminile (“hon”) o laddove non si voglia fare riferimento al genere di qualcuno. Per quanto riguarda la Germania, dove il dibattito è da tempo molto acceso, il ministero della Giustizia ha di recente invitato gli uffici pubblici a utilizzare un linguaggio neutro nelle comunicazioni ufficiali. E ancora, nello spagnolo, oltre alla già citata desinenza “-e”, si sta diffondendo l’uso del simbolo “-@” e della lettera “-x” per sostituire il maschile generalizzato.    

Una nuova esigenza sociale

Ogni scelta linguistica è una scelta politica”, ha scritto la giornalista Jennifer Guerra nel suo saggio femminista “Il corpo elettrico” (edizioni Tlon). In una vera e propria “Nota alla traduzione”, infatti, l’autrice parla della necessità di un continuo confronto che durante la stesura del libro, proprio come fa di solito chi traduce un testo, ha dovuto mettere in atto con il linguaggio e con le parole, affinché la complessità potesse essere raccontata al meglio.

Di complessità ha parlato anche la stessa Vera Gheno nel suo intervento a “Prendiamola con filosofia”, evento organizzato dall’Associazione Tlon il 23 luglio scorso. “Saper vivere la complessità del presente”, infatti, è una delle competenze che la linguista definisce essenziali per essere pienamente cittadini, da aggiungere a “saper leggere, scrivere e far di conto”, menzionate da Don Milani. Saper vivere la complessità del presente vuol dire, secondo la studiosa, anche riconoscere il cambiamento e provare curiosità nei suoi confronti, anziché rifiutarlo a priori. Proprio le discussioni attorno allo schwa, continua Gheno, testimoniano che qualcosa attorno a noi si sta muovendo: “C’è una nuova esigenza sociale alla quale la lingua sta cercando di stare dietro”, ha detto la studiosa, e ha aggiunto che se una lingua viva continua a creare parole nuove è perché “la realtà continua a cambiare”.

Immagine in anteprima via breezy.hr

 

Fonte:

https://www.valigiablu.it/linguaggio-inclusivo-dibattito/

 

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Una città del Massachusetts ha riconosciuto le unioni poliamorose

A Somerville, Massachusetts, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità il riconoscimento del poliamore come forma di convivenza. Con poliamore si indica una relazione di tipo amoroso dove la consensualità tra i partner permette di avere contemporaneamente più rapporti di tipo affettivo-intimo-erotico e sessuale, in armonia e rispetto reciproco.

Come osservato dal presidente del consiglio cittadino l’emergenza Coronavirus ha indotto a ripensare il concetto di “domestic partnership”, che negli Stati Uniti indica la convivenza tra persone non sposate alle quali vengono riconosciuti alcuni benefici come ad esempio il diritto di visita in ospedale e di assicurazione sanitaria.

Inizialmente elaborata in termini di relazione tra due persone è stata ampliata il più possibile proprio per renderla maggiormente inclusiva. Si ritiene che la città sia la prima negli Stati Uniti a riconoscere le relazioni in cui siano coinvolte più di due persone.

Come accennato, tale riconoscimento è stato necessario per consentire a tutte le persone coinvolte in una relazione diversa dal matrimonio di poter usufruire dell’associazione sanità del proprio partner, in un periodo di emergenza quale quello che stiamo vivendo. Com’è ovvio la decisione ha incontrato la resistenza dei conservatori ma anche delle stesse compagnie assicurative che molto probabilmente faranno ostruzionismo a tale riconoscimento.

 

Fonte:

https://www.neg.zone/2020/07/03/massachusetts-poliamore/

 

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Usa, Manuel Ellis ucciso come George Floyd: un video incastra i poliziotti assassini

Manuel Ellis ucciso come George Floyd: un video incastra i poliziotti assassini

L’afroamericano era morto a marzo per asfissia dopo essere stato arrestato a Tacoma. Ora un filmato ha dimostrato la brutalità degli agenti. La sindaca: è stato un omicidio

Proteste per la brutalità della polizia

Proteste per la brutalità della polizia

globalist 6 giugno 2020

Tanti lo hanno detto: per una persona uccisa davanti alle telecamere (George Floyd) ci sono state tante altre vittime della polizia violenta morti dopo essere stati aggrediti e picchiati o colpiti dai poliziotti i cui casi non sono nemmeno mai stati aperti perché tutto risultava ‘regolare’.

Adesso anche nel caso di Manuel Ellis, l’afroamericano di 33 anni ucciso nel marzo scorso a Tacoma durante l’arresto, spunta un video che inchioda gli agenti del dipartimento di polizia della città dello stato di Washington alle loro responsabilità. Nel video, diffuso dal Tacoma Action Collective, infatti si vedono gli agenti che picchiano Ellis dopo averlo schiacciato a terra e ammanettato sul ciglio di una strada.
La sindaca di Tacoma, Victoria Woodards, che ha chiesto il licenziamento dei quattro agenti coinvolti sottolineando che il video diffuso conferma quello che i medici legali della contea hanno reso noto nei giorni scorsi, stabilendo che la morte di Ellis, avvenuta per asfissia, è stato un omicidio.
“Questa sera la famiglia ha chiesto perché ci vuole sempre un video per far convincere la gente che la vita di una persona nera è stata tolta in modo ingiusto? come donna afroamericana non ho bisogno di un video per credere”, ha detto Woodards chiedendo al procuratore distrettuale di procedere velocemente nei confronti degli agenti coinvolti. “Mentre guardavo il video diventavo sempre più arrabbiata e delusa”, ha aggiunto la sindaca.
I medici legali del Pierce County Medical Examiner’s Office hanno reso noto che Ellis, che aveva gravi problemi di tossicodipendenza, aveva delle sostanze stupefacenti nel suo sistema al momento della morte, ma  hanno stabilito che non sono state queste a provocarla. L’ufficio del medical examiner – che ha pubblicato il suo rapporto mentre anche nelle strade di Tacoma si sta protestando – ha quindi definito la morte come omicidio.
All’epoca dei fatti, gli agenti avevano detto che Ellis era in preda ad una sorta di delirio violento ed aveva attaccato i due poliziotti che erano intervenuti che hanno quindi chiamato rinforzi cercando di calmarlo. I quattro agenti coinvolti – due bianchi, un afroamericano ed un asiatico – erano stati sospesi dal servizio subito dopo i fatti, ma prima della pubblicazione dei risultati dell’autopsia erano rientrati in dipartimento. Il governatore Jay Inslee ha annunciato che lo stato avvierà un’inchiesta indipendente sulla morte di Ellis.
“La più triste realtà è che George Floyd è qui a Tacoma, ed il suo nome è Manny”, ha detto il legale della famiglia di Ellis”, affermando che nel video si sente Ellis gridare “non riesco a respirare”, I can’t breath, come fece Floyd. Intanto, il sindacato della polizia di Tacoma ha diffuso una dura nota in cui attacca la sindaca per aver parlato basandosi su “un breve, sfocato video di Twitter” e sottolineato che “ora è il momento per i fatti e non i teatrini: quello che è successo a George Floyd nelle mani della polizia è sbagliato, gli agenti di Tacoma non hanno assassinato Mr Ellis”.
 

Nick Knudsen 🇺🇸 #DemCast@DemWrite

On March 3rd, died at the hands of four Tacoma police officers.

Thursday, Manuel’s death was ruled a homicide. The cause: hypoxia — a lack of oxygen reaching body tissues — due to physical restraint.

New video has emerged:

Video incorporato
Fonte:

Cosa c’entra il Muos con la nuova guerra fredda per il controllo dell’Artico?

 

L’Artico, anche grazie all’azione del surriscaldamento globale che ha aperto nuove rotte e fatto affiorare nuovi giacimenti, è il nuovo terreno su cui si giocherà la prossima Guerra Fredda (già in corso).
 
Appare incredibile come il capitalismo riesca a trarre profitti e vantaggi commerciali anche dalle stesse catastrofi che ha causato.
 
Lo scioglimento dei ghiacci è l’effetto diretto dei cambiamenti climatici e questo potrebbe portare un enorme vantaggio agli stati che per primi riusciranno a “colonizzare” l’Artico.
 
“The Arctic is open for business” ci avverte in questo articolo National Geographic
 
 
Qualcuno se n’è accorto in anticipo. Parliamo degli Stati Uniti, guidati da un’amministrazione che continua a essere tra le più “negazioniste” in riferimento ai cambiamenti climatici.
 Cosa c’entra il Muos con la nuova guerra fredda per il controllo dell’Artico?

Cosa c’entra tutto questo col Muos?

 
Semplice, il sistema satellitare è l’unico che in questo momento riesce a garantire comunicazioni stabili con l’Artico.
 
Tutte le operazioni in quel territorio infatti sono possibili solo grazie a questa tecnologia.
 
Non ci credete? Date un’occhiata allo spot della Lockheed Martin sul Muos risalente al 2014:
 

 
“Activity in the arctic is growing as the polar sheet cap recedes. More people, shipping, exploration and search and rescue expose the need for secure communications to protect the region. However, getting satellite communications signal is extremely difficult. But not anymore”.
 
L’attività nell’Artico sta crescendo man mano che il mantello polare si ritira. Sempre più persone, spedizioni, esplorazioni e ricerche richiedono la necessità di comunicazioni sicure per proteggere la regione.
 
Tuttavia, ottenere il segnale di comunicazione satellitare è estremamente difficile.
 
Ma ora non più.
Fonte:

WORLD PRIDE 2019: I RAGAZZI DI 50 ANNI FA ALLO STONEWALL INN

 In RainbowStorie

La metro, a New York, è un delirio. Per capirsi: la stazione del Rockfeller Center sta proprio dentro il Rockfeller Center. Se hai culo, la trovi perché ci scendi. Poi devi pregare per riveder la luce del giorno, tra un exit messo lì, in mezzo a uno dei tanti corridoi tra le vetrine dei negozi ultra-chic. Ma riprenderla, al contrario, può essere davvero un’impresa, se non impossibile. Per questa ragione, l’altro giorno, abbiamo deciso di uscire sulla 5th Avenue e farci una bella passeggiata, fino allo Stonewall Inn, nel cuore del Greenwich Village.

ALLO STONEWALL INN, SULLE NOTE DI I WILL SURVIVE

Arrivati a destinazione, l’effetto è quello sperato. Tutte le persone che conosco e che sono già state qui mi hanno detto: «Non ti credere. È un bar piccolissimo». Un “nulla di che”, a vederlo così, decontestualizzando il tutto. Ma non è questa la “grandezza” che ci si aspetta da un posto simile. Lo Stonewall Inn sta di fronte una piazzetta. In questa, c’è una ringhiera, sormontata da centinaia di bandierine arcobaleno. Al suo interno, un parco molto piccolo, con delle panchine. Lì c’è il memoriale di Stonewall, diventato monumento nazionale. Dentro ci trovi delle statue: una coppia di maschi, in piedi, e una coppia di donne, sedute. C’è pure un pianoforte. A un certo punto, un ragazzo si siede e suona I will survive. E tutti e tutte, lì intorno, ci mettiamo a cantare. Ed è questo che rende grande quel luogo.

E A UN CERTO PUNTO, I RAGAZZI E LE RAGAZZE DI CINQUANT’ANNI FA

È un viavai di persone, lo Stonewall Inn. Un santuario arcobaleno vero e proprio, con la gente che fa la fila per fare una fotografia di fronte alla vetrina, in cui campeggia l’insegna del locale, a neon. Coppie di donne che si abbracciano, ragazzi che in gruppo si fotografano. A un certo punto, in mezzo a quella calca, un gruppo di persone anziane esce fuori. La gente si raduna in cerchio. Sono i “veterani”. Sono quei/lle giovani di cinquant’anni fa che si ribellarono alle disposizioni legali di allora, quando indossare più di due abiti non conformi al proprio genere comportava l’arresto e la galera. Dopo un iniziale moto di sorpresa, la folla realizza. E tutti e tutte battiamo le mani, nello stesso momento. Un lungo applauso, che è il suono stesso della gratitudine.

LE PAROLE DEL SINDACO DE BLASIO

Il numero 53 di Christopher Street a New York in questi giorni è stato un viavai di varia umanità. Ieri, nel giorno della commemorazione della rivolta, sul palco allestito in fondo alla piazzetta prospiciente al locale si sono alternati attivisti e attiviste, i veterani stessi, drag queen e anche personaggi della politica, nazionale e locale. Come Bill de Blasio, il sindaco della Grande Mela, che ha ricordato il dovere di proseguire quella lotta di liberazione, omaggiando Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson. Con una ferma condanna al suprematismo bianco, che vuole riportarci indietro nella lotta per i diritti civili. Ci guardiamo, noi della delegazione italiana. Gli sguardi un po’ smarriti, un po’ divertiti allo stesso tempo: «Uguale a Virginia, proprio» si sente dire, da un punto imprecisato, in mezzo alla folla.

LA CHIAMATA ALL’ARCOBALENO E IL VALORE DEGLI ALLEATI

E sempre da quel palco gli attivisti e le attiviste che si sono avvicendati ci hanno ricordato, ancora e a chiare lettere, che chi vive la condizione di non aver avuto problemi col colore della sua pelle e con il suo orientamento sessuale, deve usare tale privilegio per rendere migliore la vita agli altri. Un richiamo a fare delle scelte precise, di fronte alle ingiustizie. Una chiamata all’arcobaleno, se preferiamo. Ad un certo punto, in quella piccola marea di orgoglio, ci fermiamo a parlare con una donna. Ha i capelli bianchi, è un’attivista. Lesbica e nera. Il suo nome è Mandy Carter: «Senza gli alleati» ci rivela «non saremmo andati da nessuna parte». Ed è lì, ci dice, perché si sente a casa. Perché sa che non può essere altrove.

LA GRANDEZZA DELLO STONEWALL INN

«Niente di che» mi hanno detto in molti e molte, quando hanno visto questo luogo. Senza alcun intento denigratorio, sia chiaro. Un modo per farmi capire che quel bar è piccolino, niente di ciclopico, in una città in cui i grattacieli incombono e il consumismo più sfrenato corrode le coscienze. Non posso fare a meno di ricordare i versi di Kavafis, in Itaca:

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in cammino: che cos’altro ti aspetti?

La grandezza dello Stonewall Inn la puoi comprendere in questa prospettiva. Recandoti in quel luogo, pullulante di vita. E realizzando che, pur essendo un punto infinitamente piccolo in una città gigantesca, quel posto ti somiglia più di quanto saresti disposto ad ammettere. È piccolo, apparentemente insignificante. Eppure da lì tutto è partito. Un punto infinitamente piccolo, si diceva, che ha generato tutto ciò che è stato. Il nostro big bang. La vita che esplode, tutta insieme, e che crea il tempo a venire, mettendo in moto il circuito degli eventi.

Fonte:

OSCAR E LA FIGLIA DI DUE ANNI MORTI ABBRACCIATI AL CONFINE TRA MESSICO E USA

La foto simbolo del dramma dei migranti che tentano di attraversare il confine delimitato dal muro voluto da Trump

messico foto shock padre e figlia morti nel fiume

I corpi senza vita di tre bambini e una donna sono stati trovati dalle guardie di frontiera nella valle del Rio Grande, vicino al confine tra Usa e Messico, dove le autorità americane stanno costruendo una parte del Muro anti-migranti voluto dal presidente, Donald Trump. È l’ennesima tragedia dei migranti, mentre sta facendo il giro del mondo la foto di un padre salvadoregno, Oscar Alberto Martinez Ramirez e della sua figlioletta di 23 mesi morti nello stesso fiume, nel disperato tentativo di attraversare il confine tra Messico e Usa. Funzionari salvadoregni hanno detto che padre e figlia sono annegati domenica scorsa.

Nella foto, che ricorda quella Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni annegato morto sulla spiaggia, simbolo della crisi dei migranti in Europa, padre e figlia giacciono a faccia in giù nell’acqua fangosa lungo le rive del Rio Grande, con la testa della piccola infilata sotto la maglietta del padre e il braccio intorno al collo del genitore, al quale è rimasta attaccata fino all’ultimo. Un ritratto della disperazione catturato lunedì dalla giornalista Julia Le Duc e pubblicato da un giornale messicano.

Nella stessa zona, nelle ultime ore, riferisce l’Associated Press, il ritrovamento dei cadaveri di una donna e dei suoi tre figli, i cui nomi non sono stati ancora resi noti. Le vittime sarebbero decedute per il caldo torrido. Secondo alcuni media la giovane madre aveva una ventina di anni e i tre figli erano due bambini e un neonato. Dall’inizio del 2019 quasi 500 mila migranti sono stati fermati nel tentativo di attraversare il confine statunitense. Nel 2018 i migranti morti al confine tra Usa e Messico furono 283.

Il migrante salvadoregno e la figlia di 23 mesi sono morti nei pressi della cittadina di Matamoros, nello Stato settentrionale messicano di Tamaulipas. I due sono morti sotto gli occhi della madre della piccola. Ramirez lavorava come cuoco nel suo Paese. La famiglia era arrivata la settimana scorsa a Tapachula, nello Stato del Chiapas, e domenica sera, esasperata dall’attesa e dall’impossibilità di chiedere asilo, ha deciso di cercare di attraversare il confine con gli Usa.

Secondo la ricostruzione di diversi media, padre e figlia erano riusciti ad attraversare il fiume, a differenza della donna, Tania Vanessa valos, 21 anni, la quale ha provato invano con il sostegno di un amico, ed era tornata indietro. A quel punto Ramirez ha deciso di andare a prendere la moglie e tentare nuovamente la traversata con lei, ma la piccola Valeria, probabilmente spaventata nel vedere il padre allontanarsi, si è gettata di nuovo in acqua per raggiungerlo. Il giovane si è quindi tuffato per riacciuffare la figlia ma i due sono stati scaraventati via dalla corrente e sono annegati.

Fonte:

https://www.agi.it/estero/messico_foto_shock_padre_e_figlia_morti_nel_fiume-5722578/news/2019-06-26/?fbclid=IwAR3dn6k_Ksay2O1LbZ2NzldERM7ytS5T-IRajJPjPonIgDPuhqmDDpFW_xo

LA MEGLIO GIOVENTU’ DELL’ANNO APPENA TRASCORSO

Antonio Megalizzi, Silvia Romano, Emma Gonzàles. E poi Paola Egonu, Linda Raimondo, Ana Isabel Montes Mier, Emma Gatti e Jaiteh Suruwa. Sono loro la meglio gioventù, sono loro le persone dell’anno.

  • ANTONIO MEGALIZZI Aveva 28 anni ed era a Strasburgo per seguire la seduta del Parlamento europeo per Europhonica, uno dei format di RadUni, che raggruppa le radio universitarie italiane. Amava il giornalismo e sognava un'Europa con «meno confini e più giustizia», come aveva scritto sulla sua pagina Facebook. È stato ucciso dall’attentato islamista dell’11 dicembre scorso.ANTONIO MEGALIZZI Aveva 28 anni ed era a Strasburgo per seguire la seduta del Parlamento europeo per Europhonica, uno dei format di RadUni, che raggruppa le radio universitarie italiane. Amava il giornalismo e sognava un’Europa con «meno confini e più giustizia», come aveva scritto sulla sua pagina Facebook. È stato ucciso nell’attentato islamista dell’11 dicembre scorso.
  • EMMA GONZÁLEZ Diciannove anni appena compiuti, sopravvissuta alla strage della sua scuola in Florida (17 morti) è diventata la capofila del movimento per il controllo delle armi e ha organizzato la “March for Our Lives” a WashingtonEMMA GONZÁLEZ Diciannove anni appena compiuti, sopravvissuta alla strage della sua scuola in Florida (17 morti) è diventata la capofila del movimento per il controllo delle armi e ha organizzato la “March for Our Lives” a Washington.

 

  • ANA ISABEL MONTES MIER Ha 31 anni, è spagnola ed è la capo missione della ong ProActiva sulla nave Open Arms. È indagata in Italia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver salvato naufraghi nel Mediterraneo.ANA ISABEL MONTES MIER Ha 31 anni, è spagnola ed è la capo missione della ong ProActiva sulla nave Open Arms. È indagata in Italia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver salvato naufraghi nel Mediterraneo.

  • EMMA GATTI Trentatré anni, di Opera (Milano), laurea alla Bicocca, master a Cambridge, è arrivata fino alla Nasa e al Caltech di Pasadena. Geochimica e vulcanologa, all’avanguardia nelle ricerche sul suolo di Marte.EMMA GATTI Trentatré anni, di Opera (Milano), laurea alla Bicocca, master a Cambridge, è arrivata fino alla Nasa e al Caltech di Pasadena. Geochimica e vulcanologa, all’avanguardia nelle ricerche sul suolo di Marte.

  • JAITEH SURUWA «Voglio fare cose buone». Così rispondeva agli operatori dello Sprar di Gioiosa Ionica quando gli chiedevano cosa volesse fare nella vita. È morto a 18 anni nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria)JAITEH SURUWA «Voglio fare cose buone». Così rispondeva agli operatori dello Sprar di Gioiosa Ionica quando gli chiedevano cosa volesse fare nella vita. È morto a 18 anni nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria)

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PAOLA EGONU Veneta di Cittadella, 21 anni, stella della nazionale di volley, ha gestito con serena normalità ciò che serena normalità dovrebbe sempre essere: il colore della sua pelle 
e il suo orientamento sessuale.

PAOLA EGONU Veneta di Cittadella, 21 anni, stella della nazionale di volley, ha gestito con serena normalità ciò che serena normalità dovrebbe sempre essere: il colore della sua pelle e il suo orientamento sessuale.

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Fonte:

http://espresso.repubblica.it/foto/2018/12/26/galleria/i-ragazzi-e-le-ragazze-a-cui-dedicare-il-2018-1.329916#1

Leggi anche qui:

http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/12/26/news/antonio-e-i-suoi-fratelli-la-meglio-gioventu-1.329907?ref=HEF_RULLO

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SIRIA: LA COALIZIONE A GUIDA USA HA USATO FOSFORO BIANCO

Siria: la coalizione a guida Usa ha usato fosforo bianco

16 giugno 2017

Siria, Amnesty International conferma: la coalizione a guida usa ha usato fosforo bianco. Possibile crimine di guerra

Amnesty International ha confermato che l’impiego, da parte della coalizione a guida statunitense, di munizioni al fosforo bianco nella zona di al-Raqqa, in Siria, è stato illegale e può costituire crimine di guerra.

L’organizzazione per i diritti umani ha esaminato cinque video, pubblicati in rete l’8 e il 9 giugno, in cui si vede l’artiglieria della coalizione lanciare munizioni al fosforo bianco contro le zone di Jezra ed el-Sebahiya.

Il fosforo bianco è prevalentemente usato per creare una densa cortina fumogena per rendere invisibili al nemico i movimenti delle truppe e per indicare gli obiettivi dei successivi attacchi. In casi del genere, il suo uso non è vietato anche se è richiesta estrema cautela, mentre è assolutamente vietato nelle vicinanze di insediamenti di civili.

L’uso di munizioni al fosforo bianco da parte della coalizione a guida Usa mette gravemente in pericolo la vita di migliaia di civili intrappolati ad al-Raqqa e nei dintorni della città e può costituire un crimine di guerra. Può provocare terribili ferite bruciando la pelle e le ossa e può riattivarsi riprendendo fuoco a distanza di settimane“, ha dichiarato Samah Hadid, direttrice delle campagne sul Medio Oriente di Amnesty International.

Le forze sotto il comando degli Usa devono immediatamente indagare sugli attacchi contro Jezra ed el-Sebahiya e prendere tutte le misure possibili per proteggere i civili. L’uso di fosforo bianco in zone densamente abitate determina un rischio inaccettabilmente alto per i civili e quasi sempre rappresenta un attacco indiscriminato“, ha continuato Hadid.

Amnesty International ha verificato, anche attraverso riscontri incrociati, cinque video pubblicati in rete l’8 e il 9 giugno 2017. Le immagini mostrano chiaramente, da diverse angolature, il lancio di munizioni al fosforo bianco e la loro caduta incendiaria sugli edifici. Il ripetuto impiego del fosforo bianco in circostanze in cui è probabile che le parti incendiarie vengano a contatto con i civili viola il diritto internazionale umanitario.

Secondo l’analisi di Amnesty International, le munizioni al fosforo bianco dovrebbero con ogni probabilità essere degli M825A1 da 155 millimetri di fabbricazione statunitense.

Secondo il gruppo locale di monitoraggio “Raqqa viene massacrata nel silenzio” e altre fonti locali, in uno degli attacchi sono stati uccisi almeno 14 civili. Nelle zone oggetto dell’attacco erano presenti anche molti profughi provenienti dai quartieri occidentali di al-Raqqa. I combattimenti si sono intensificati con l’inizio dell’offensiva delle Forze democratiche siriane, sostenute dalla coalizione a guida Usa, destinata a strappare la città allo Stato islamico. I civili intrappolati in città e nei suoi dintorni sono centinaia di migliaia.

Amnesty International sta monitorando la condotta di tutte le parti coinvolte nel conflitto di al-Raqqa, le quali hanno l’obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario e le norme applicabili in quel contesto del diritto internazionale dei diritti umani.

La protezione delle forze militari non può prendere il sopravvento sulla protezione dei civili. La coalizione a guida Usa e le Forze democratiche siriane devono evitare l’uso di armi esplosive di grande impatto e di armi imprecise contro le zone popolate e devono assumere tutte le misure possibili per proteggere la popolazione civile”, ha sottolineato Hadid.

Fosforo bianco usato anche a Mosul

Anche se non si è ancora espressa su al-Raqqa, la coalizione a guida Usa ha confermato il recente uso di fosforo bianco a Mosul, a suo dire per creare una cortina fumogena che favorisse la fuga dei civili dalle aree ancora sotto il controllo dello Stato islamico.

 

Fonte:

https://www.amnesty.it/siria-amnesty-international-conferma-la-coalizione-guida-usa-usato-fosforo-bianco-possibile-crimine-guerra/

SIRIA, L’ACCUSA DEGLI USA A ASSAD: “50 IMPICCAGIONI AL GIORNO E FORNI CREMATORI NEL CARCERE DI SEDNAYA”

Siria, l’accusa degli Usa ad Assad:
«50 impiccagioni al giorno e forni crematori nel carcere di Sednaya»

Il Dipartimento di Stato Usa mostra una serie di immagini satellitari che provano la costruzione di una struttura per bruciare i corpi degli oppositori detenuti e uccisi nella prigione militare. La Casa Bianca: «Siria non sicura fino a quando ci sarà Assad»

Una delle immagini diffuse dal Dipartimento di Stato che mostra a destra la costruzione adibita a forno crematorio Una delle immagini diffuse dal Dipartimento di Stato che mostra a destra la costruzione adibita a forno crematorio

«Assad sta impiccando cinquanta persone ogni giorno e usa i forni crematori per sbarazzarsi dei corpi degli oppositori uccisi». L’accusa, pesantissima, arriva dagli Stati Uniti. Il responsabile del Dipartimento di Stato per il Medio Oriente Stuart Jones, durante una conferenza stampa che si è tenuta a Washington, ha spiegato di avere prove dell’esistenza di una fornace, vicino al carcere di Sednaya, la prigione militare a nord di Damasco, i cui orrori sono già stati denunciati, tra gli altri da Amnesty International il febbraio scorso in un dettagliato rapporto. E la Casa Bianca torna a lanciare un ultimatum al regime: «La Siria non sarà sicura e stabile finché Assad sarà al potere», ha detto il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer.

Secondo il Dipartimento di Stato il forno sarebbe stato utilizzato per sbarazzarsi dei corpi dei prigionieri morti. Gli americani sono in possesso di diverse immagini satellitari, presentate alla stampa, da cui si desume che una struttura all’interno della prigione militare è stata modificata trasformandola in un crematorio. Sempre secondo l’intelligence qui vengono impiccati almeno 50 detenuti ogni giorno un dato che coincide con quanto riportato da Amnesty International che parlava nel suo rapporto di 13 mila morti in 6 anni. Nella prigione si trovano migliaia di persone, detenute dal regime in sei anni di guerra civile. Il mondo, ha detto Stuart Jones, assistente segretario per gli Affari esteri del Vicino Oriente, è di fronte a «nuovi livelli di depravazione raggiunti» dal regime di Bashar Assad.

Amnesty International e molti oppositori hanno denunciato in passato gli orrori del carcere militare fatto costruire dagli Assad negli anni ‘80 e da sempre utilizzato per far sparire i dissidenti. «Quando ci dissero che saremmo andati a Sednaya cominciammo a piangere. E non smettemmo per tutto il tragitto», ha raccontato al Corriere della Sera uno dei sopravvissuti. Appena arrivati lui e i suoi compagni sono fatti denudare e picchiati duramente. Dopodiché sono loro spiegate le poche semplici regole della prigione. «Primo non puoi alzare la testa e guardare i secondini in faccia. Pena la morte. Ho visto molta gente essere uccisa così», ha aggiunto l’uomo. L´altra regola è quella del silenzio: i prigionieri non possono parlare tra loro, nemmeno sussurrare. Dopo questo «benvenuto» il testimone ha raccontato al Corriere di essere stato rinchiuso in una cella sotterranea da nove persone, grande circa due metri quadrati. Uno dormiva, e gli altri stavano in piedi. «Tutti completamente nudi uno attaccato all’altro».

Secondo quanto si legge nel rapporto di Amnesty le esecuzioni avvenivano di notte, ogni lunedì o martedì, quando nella prigione regnava il silenzio, gruppi di 50 detenuti venivano impiccati due o tre volte a settimana. Una pratica tenuta segreta e praticata tra settembre 2011 e dicembre 2015 ma che potrebbe essere tuttora in vigore. Molti prigionieri, spiegava ancora la ong, sono morti anche per le «politiche di sterminio» delle autorità, che comprendono torture ripetute, privazione del cibo, dell’acqua e delle medicine. Secondo Amnesty le esecuzioni erano state autorizzate dal governo siriano ai più alti livelli.

La rivelazione americana arriva alla vigilia della nuova tornata di colloqui negoziali sulla Siria previsti per martedì a Ginevra e che – ha detto l’inviato dell’Onu in Siria, Staffan De Mistura – procedono «in tandem» con i negoziati di Astana. Per De Mistura i colloqui di Ginevra servono a «battere il ferro finché è caldo» e a disegnare, a partire dagli accordi di Astana, un «orizzonte politico» per il paese mediorientale devastato dal conflitto civile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte:
http://www.corriere.it/esteri/17_maggio_15/siria-l-accusa-usa-ad-assad-50-impiccagioni-giorno-forni-crematori-carcere-sednaya-59c90362-398c-11e7-8def-9f1d8d7aa055.shtml

“Morire di maggio… Ci vuole tanto… troppo coraggio”. Ciao, Eva!

Eva, mia carissima amica e sorella! Avrei voluto non ricevere mai una notizia del genere! Te ne sei andata in silenzio, senza dire una parola… In realtà di parole ne avevi dette tante e chissà quante ne avresti avute ancora da dire… Una breve ma intensa vita spesa con amore verso il genere umano e verso la scienza. Ma non solo: tu amavi anche l’arte in tutte le sue forme, la filosofia, lo sport, tutto ciò che è umano. Parafrasando Terenzio, nulla di ciò che è umano ti era estraneo. Per questo più volte ti ho ripetuto che eri una delle persone più umane che conoscessi. Amavi anche la natura e gli animali. Ma l’essere umano era il tuo grande Amore. Quel grande amore che hai cercato per tutta la vita, pochissime volte trovato e poi perso in diversi modi. Avresti potuto dare tanto al mondo con i tuoi studi di psicologia e di neuroscienze ( il tuo amato cervello!) perché sapevi ascoltare e amavi gli altri. E avresti potuto dare molto anche con i tuoi reportage con tutti i viaggi che avevi fatto intorno al mondo. Ma poi tornavi a casa con i problemi della vita quotidiana, le angosce per un passato tormentato e tutto il male che ti era toccato di subire nella tua breve vita, le difficoltà nel trovare la tua strada e l’enorme sofferenza della tua anima grande ma sempre ferita. Quando ti “invidiavo” la tua libertà e la tua vita piena di avventure mi dicevi che anche una vita come la tua non dà la felicità. Non ho mai capito che cosa più di tutto ti mancasse e me ne rammarico. Tante erano le cose che amavi da non riuscire a farle tutte. La vita quotidiana ti assorbiva. E questo da una parte era una tua caratteristica perché, per coloro che ti hanno avuto vicina, sarai stata speciale non solo in ciò che riuscivi a fare ma anche nel quotidiano. Dall’altra ti impediva forse di vivere come volevi. Tante persone avresti voluto aiutare con i tuoi studi e me lo raccontavi. Ma le difficoltà nel terminare gli studi, il dover sempre ricominciare daccapo non te lo permettevano per come volevi. Tante cose avresti voluto raccontare dei tuoi viaggi ma non avevi tempo e me lo dicevi. Forse eri troppo sensibile. Forse il tuo cuore e la tua anima erano troppo grandi per questo mondo e per questo te ne sei andata. E ora vegli su tutti coloro che hai amato e ti hanno amata. Mi piace pensare che ovunque ti trovi adesso stai già conversando con fratelli e sorelle uccisi da qualche guerra disumana (perché la guerra è sempre disumana e tu ce lo insegnavi) bevendo una birra e fumando una sigaretta.
Ciao, paguro metafisico! Non ti dimenticherò mai!
Mi piace ricordarti con gli articoli del tuo blog  (a cui so che avresti voluto dedicare molto più tempo) perché penso sia uno dei segni visibili più belli che ci hai lasciato.

D. Q.

Qui di seguito gli articoli tratti dal blog di Eva Menossi:

http://silenceinchains.blogspot.it/

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