MIGRANTI ALLA DERIVA DISPERSI NEL MEDITERRANEO

Da
Mauro Biani
16 min · 

Deriva. La vignetta oggi in prima de la Repubblica

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Da
Salvamento Marítimo Humanitario
2 h · 

#Aitamari L ‘ equipaggio minimo dell’Aitamari sta curando il meglio possibile delle 43 persone salvate. Così si è svegliato oggi il Mediterraneo. Fortunatamente li abbiamo a bordo. Malta ci nega il porto sicuro o coordinare POS (porto sicuro). Noi chiediamo il rispetto della legislazione internazionale: porto sicuro ora!

#AitaMari L ‘ equipaggio minimo dell’AitaMari si sta prendendo cura delle 43 persone salvate al meglio possibile. È così che oggi il Mediterraneo è venuto. Fortunatamente li abbiamo a bordo. Malta ci nega un porto sicuro o coordinate POS (porto sicuro). Chiediamo il rispetto della legislazione internazionale: porto sicuro ora.

Da
Mediterranea Saving Humans
14 h ·

“Riteniamo che sia un obbligo assistere le persone in difficoltà e aiutarli anche se significa fare uno sforzo in questa situazione di crisi. Dobbiamo pensare alle persone più vulnerabili e a quelle più bisognose in questo momento”.

Intervista a Iñigo Mejango – presidente del Salvamento Marítimo Humanitario della #AitaMari impegnata in queste ore nel soccorso di un natante in difficoltà, realizzata da Claudia di Mediterranea Barcellona.

“We believe it is an obligation to assist people in difficulty and help them even if it means making an effort in this crisis situation. We must think about the most vulnerable and most needy people at the moment.”

Interview with Iñigo Mejango – president of the Salvamento Marítimo Humanitario of the #AitaMari engaged in these hours in the rescue of a boat in difficulty, made by Claudia of Mediterranea Barcellona.

STOP ALLE ONG DEI CIELI, L’ITALIA BLOCCA GLI AEREI CHE AVVISTANO I MIGRANTI

Stop alle ong dei cieli, l’Italia blocca gli aerei che avvistano i migranti

Stop alle ong dei cieli, l'Italia blocca gli aerei che avvistano i migranti

L’Enac nega il permesso di decollo a Moonbird e Colibrì, i due velivoli che segnalano la posizione dei gommoni ai soccorritori. “Possono essere usati solo per attività ricreative”. Ma la Sea-Watch attacca: “Non vogliono testimoni”

di MARCO MENSURATI (A BORDO DELLA MARE JONIO) E FABIO TONACCI

L’Italia tarpa le ali alle vedette volanti. Da quasi un mese, Moonbird e Colibrì, i due aerei leggeri delle ong che sorvolano il Mediterraneo per avvistare i gommoni dei migranti, non possono decollare da Lampedusa né da altri scali del nostro Paese. “Le norme nazionali impongono che quei velivoli possano essere usati solo per attività ricreative e non professionali”, sostiene infatti l’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile. Qualche sorvolo riescono ancora a farlo, ma con grande difficoltà, e partendo da aeroporti più lontani, in altri Stati. Dopo la desertificazione di un pezzo di mare davanti alla Libia a colpi di decreti sicurezza, si rischia dunque la desertificazione del cielo.

Chiunque abbia partecipato a missioni di Search and Rescue sulle navi delle ong (ieri la tedesca Lifeline ha soccorso un centinaio di migranti a 31 miglia dalla costa libica, sa  quanto sia importante avere due occhi che scrutano dall’alto. È il modo più efficace, talvolta l’unico, per individuare i gommoni e segnalarne tempestivamente la posizione ai soccorritori. Le coordinate sono trasmesse via radio dall’equipaggio di Moobird (un Cirrus Sr22 che vola per la no profit svizzera Humanitarian Pilote Initiative, in collaborazione con la ong tedesca Sea-Watch) e di Colibrì (un Mcr-4S a elica costato 130.000 euro ai francesi di Pilotes Volontaires). Secondo un’inchiesta del Giornale, dal primo gennaio agli inizi di giugno Colibrì e Moonbird hanno accumulato 78 missioni, 54 delle quali partite dallo scalo di Lampedusa. L’aeroporto a loro interdetto.

“Colibrì – sostengono i tecnici dell’Enac – non è un aeromobile certificato secondo standard di sicurezza noti ed è in possesso di un permesso di volo speciale che non gode di un riconoscimento per condurre operazioni su alto mare. È stato inoltre oggetto di modifiche significative di cui non abbiamo tracciabilità. Quelle di Search and Rescue sono operazioni professionali che richiedono un regime autorizzativo, non compatibile con gli aeromobili di costruzione amatoriale”. Moonbird presenta caratteristiche simili a quelle di Colibrì. “Ha chiesto di venire a Lampedusa, siamo in attesa di ricevere documenti e motivazioni”.

Stop alle ong dei cieli, l'Italia blocca gli aerei che avvistano i migranti

 Il velivolo Colibrì di Pilotes Volontaires

Rilievi respinti dalla Sea-Watch, forte di un parere legale di uno studio di esperti di aviazione che smonta l’approccio dell’Enac. “Ci viene da pensare che dietro a queste complicazioni burocratiche – dice Giorgia Linardi, responsabile di Sea-Watch Italia – ci sia la volontà politica di fermare le attività di ricognizione. Evidentemente dà fastidio che gli occhi della società civile siano tanto in mare quanto in aria”.

La desertificazione del cielo, in atto in queste ore, completa un processo già in corso da mesi nel Mediterraneo centrale. Ancora ieri i volontari di Mediterranea a bordo della Mare Jonio hanno potuto raccontare come nelle sole ultime 24 ore, a fronte di almeno sei casi conclamati di gommoni in distress – avaria grave – le autorità competenti, cioè la cosiddetta guardia costiera libica (coordinata come noto dalla Marina italiana), non abbiano emesso nemmeno un allarme Navtext, come invece sarebbe prassi. Una scelta perfettamente coerente con quanto da tempo fanno i comandi militari e i centri di coordinamento europei che non rilanciano le segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà, come sarebbe invece loro dovere fare, ma interloquiscono direttamente ed esclusivamente con le autorità libiche. Una collaborazione – quella tra Ue e forze di Tripoli – che viene comunque sempre smentita, anche perché i respingimenti (di questo si tratterebbe a tutti gli effetti) sono considerati una seria violazione delle norme internazionali.

Non solo. Le autorità di Tripoli sembrerebbero aver attivato attraverso l’utilizzo di droni, una sorta di schermatura magnetica – Mediterranea parla apertamente di “jamming militare” – che manda in tilt le strumentazioni di bordo appena superato il 12° parallelo, quello che segna il confine tra Tunisia e Libia. Una mossa, l’ennesima, per non avere testimoni.

 

 

Fonte:

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/08/26/news/stop_alle_ong_dei_cieli_l_italia_blocca_gli_aerei_che_avvistano_i_migranti-234418481/?fbclid=IwAR0y96dcK3vrChhYYZzfES3lDn2x5JkkQ6B3YMv-REd71Za-Cz9CB2OTP58

LA SEA WATCH ENTRA A LAMPEDUSA, MOBILITAZIONE DI SOSTEGNO IN TUTTA ITALIA

La decisione della capitana della Sea Watch di entrare nonostante i divieti e la sentenza della Corte europea nel porto di Lampedusa è un atto di disobbedienza coraggioso. Dalle città, si preparano iniziative di sostegno

«Basta, siamo entrati, ora fate scendere i migranti». Così la Sea Watch 3 annuncia l’arrivo nel porto di Lampedusa contravvenendo al divieto espresso dal governo italiano e in assenza di autorizzazione da parte delle autorità. La replica del Ministro Salvini alle parole della capitana Carola Rackete – definita come una «sbruffoncella che fa politica» – all’annuncio della nave di dirigersi verso il porto arriva nell’immediato: «l’autorizzazione allo sbarco non c’è, piuttosto schiero la forza pubblica, il diritto alla difesa dei nostri confini è sacra». E così sia: le motovedette della Guardia di Finanza si sono dirette verso la nave per ordinare l’alt all’imbarcazione, la quale, però, non si è fermata all’alt continuando la sua rotta verso Lampedusa.

La decisione della capitana della nave arriva il giorno successivo della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha rigettato il ricorso presentato dai migranti e dalla comandante della Sea Watch per ottenere l’autorizzazione allo sbarco in Italia. Secondo Alessandra Sciurba «è una sentenza alla Ponzio Pilato: non è uno schiaffo alle Ong come vorrebbe il governo, però non è coraggiosa. Pone un problema di giurisdizione, ma dice all’Italia di dare assistenza alle persone che sono a bordo della nave». Secondo la Corte infatti, il trattamento subito dai migranti ospitati dalla nave della ONG tedesca non sarebbe sufficientemente grave da giustificare l’applicazione di misure umanitarie d’urgenza.

La valutazione, oltre che essere contraddetta dall’indicazione data alle autorità italiane di offrire adeguata assistenza, stride con la reale situazione dei migranti ridotti allo stremo dal viaggio e dall’estenuante attesa in nave, e soprattutto dalla condizione subita nell’inferno libico, dal quale stavano fuggendo e nel quale paradossalmente dovrebbero essere riportati.

Ma oltre le questioni di carattere giuridico, al centro della contesa è lo scontro politico innescato dal governo italiano contro l’organizzazione della solidarietà e dei salvataggi in mare. Come ribadisce la stessa Sea Watch: «la colpa dei migranti: essere stati soccorsi da una ONG. La punizione: friggere sul ponte di una nave per settimane. Rifiutati e abbandonati dall’Europa. Intanto – continua Sea Watch –  sono più di 200 le persone nei giorni scorso a Lampedusa».

Il Governo italiano è infatti il responsabile dell’attuale situazione di blocco: l’entrata in vigore del Decreto Sicurezza Bis sta avendo i suoi primi effetti, determinando gravissime violazioni dei diritti dei naufraghi ai quali dovrebbe essere riconosciuto nel più breve tempo possibile un luogo sicuro dove sbarcare.

La coraggiosa decisione della capitana della ONG tedesca, che così facendo rischia una multa fino a 50mila euro e il sequestro della nave, sta però innescando una serie di reazioni. Nonostante la maggioranza del Pd insista nel ratificare i vecchi accordi siglati da Minniti con la Libia in merito al voto sulle missioni all’estero, alcuni parlamentari stanno accorrendo a Lampedusa per sostenere lo sbarco della nave, mentre dalle città (come Napoli e Livorno) cominciano ad arrivare indicazioni di mobilitazioni immediate.

Mediterranea lancia per questa sera stessa azioni diffuse nei sagrati delle chiese: «proponiamo a tutti e tutte, agli equipaggi di terra e di mare, di andare stasera su un sagrato di una chiesa della propria città, di portare le coperte termiche e di dire che siamo al fianco di SW, del suo carico di umanità e speranza così violentato in questi 14 giorni. Che abbracciamo la comandante Carola che ha deciso, nonostante leggi e divieti ingiusti, di rispettare i diritti umani».

La l’azione di disobbedienza della Sea Watch avrà in ogni caso la forza di rendere evidente le criminali responsabilità del ministro Salvini e la vigliacca complicità dei loro partner di governo, quanto l’ignobile immobilismo delle opposizioni e la vergognosa indifferenza dell’Europa.

Fonte:

https://www.dinamopress.it/news/la-sea-watch-entra-lampedusa-mobilitazione-sostegno-tutta-italia/

Leggi anche  https://www.dinamopress.it/news/mobilitazione-permanente-roma-aperta-porti-aperti/

LA MEGLIO GIOVENTU’ DELL’ANNO APPENA TRASCORSO

Antonio Megalizzi, Silvia Romano, Emma Gonzàles. E poi Paola Egonu, Linda Raimondo, Ana Isabel Montes Mier, Emma Gatti e Jaiteh Suruwa. Sono loro la meglio gioventù, sono loro le persone dell’anno.

  • ANTONIO MEGALIZZI Aveva 28 anni ed era a Strasburgo per seguire la seduta del Parlamento europeo per Europhonica, uno dei format di RadUni, che raggruppa le radio universitarie italiane. Amava il giornalismo e sognava un'Europa con «meno confini e più giustizia», come aveva scritto sulla sua pagina Facebook. È stato ucciso dall’attentato islamista dell’11 dicembre scorso.ANTONIO MEGALIZZI Aveva 28 anni ed era a Strasburgo per seguire la seduta del Parlamento europeo per Europhonica, uno dei format di RadUni, che raggruppa le radio universitarie italiane. Amava il giornalismo e sognava un’Europa con «meno confini e più giustizia», come aveva scritto sulla sua pagina Facebook. È stato ucciso nell’attentato islamista dell’11 dicembre scorso.
  • EMMA GONZÁLEZ Diciannove anni appena compiuti, sopravvissuta alla strage della sua scuola in Florida (17 morti) è diventata la capofila del movimento per il controllo delle armi e ha organizzato la “March for Our Lives” a WashingtonEMMA GONZÁLEZ Diciannove anni appena compiuti, sopravvissuta alla strage della sua scuola in Florida (17 morti) è diventata la capofila del movimento per il controllo delle armi e ha organizzato la “March for Our Lives” a Washington.

 

  • ANA ISABEL MONTES MIER Ha 31 anni, è spagnola ed è la capo missione della ong ProActiva sulla nave Open Arms. È indagata in Italia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver salvato naufraghi nel Mediterraneo.ANA ISABEL MONTES MIER Ha 31 anni, è spagnola ed è la capo missione della ong ProActiva sulla nave Open Arms. È indagata in Italia per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” per aver salvato naufraghi nel Mediterraneo.

  • EMMA GATTI Trentatré anni, di Opera (Milano), laurea alla Bicocca, master a Cambridge, è arrivata fino alla Nasa e al Caltech di Pasadena. Geochimica e vulcanologa, all’avanguardia nelle ricerche sul suolo di Marte.EMMA GATTI Trentatré anni, di Opera (Milano), laurea alla Bicocca, master a Cambridge, è arrivata fino alla Nasa e al Caltech di Pasadena. Geochimica e vulcanologa, all’avanguardia nelle ricerche sul suolo di Marte.

  • JAITEH SURUWA «Voglio fare cose buone». Così rispondeva agli operatori dello Sprar di Gioiosa Ionica quando gli chiedevano cosa volesse fare nella vita. È morto a 18 anni nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria)JAITEH SURUWA «Voglio fare cose buone». Così rispondeva agli operatori dello Sprar di Gioiosa Ionica quando gli chiedevano cosa volesse fare nella vita. È morto a 18 anni nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria)

  • LINDA RAIMONDO Ha 19 anni, vive in Val Susa e ha vinto il premio Space Exploration Master dell’Esa, l’agenzia spaziale europea. È stata chiamata in Alabama per contribuire alla ricerca sulle navicelle spaziali e si addestra da astronautaLINDA RAIMONDO Ha 19 anni, vive in Val Susa e ha vinto il premio Space Exploration Master dell’Esa, l’agenzia spaziale europea. È stata chiamata in Alabama per contribuire alla ricerca sulle navicelle spaziali e si addestra da astronauta.

 

PAOLA EGONU Veneta di Cittadella, 21 anni, stella della nazionale di volley, ha gestito con serena normalità ciò che serena normalità dovrebbe sempre essere: il colore della sua pelle 
e il suo orientamento sessuale.

PAOLA EGONU Veneta di Cittadella, 21 anni, stella della nazionale di volley, ha gestito con serena normalità ciò che serena normalità dovrebbe sempre essere: il colore della sua pelle e il suo orientamento sessuale.

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Fonte:

http://espresso.repubblica.it/foto/2018/12/26/galleria/i-ragazzi-e-le-ragazze-a-cui-dedicare-il-2018-1.329916#1

Leggi anche qui:

http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/12/26/news/antonio-e-i-suoi-fratelli-la-meglio-gioventu-1.329907?ref=HEF_RULLO

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I libici ci hanno picchiato, parla la donna sopravvissuta

La donna salvata e la dottoressa Giovanna Scaccabarozzi sulla Open Arms, il 17 luglio 2018. (Annalisa Camilli)

Questo articolo fa parte della serie Cronache dal Mediterraneo, il diario di Annalisa Camilli sulla nave impegnata nel soccorso dei migranti nel Mediterraneo.

Josefa ha occhi enormi, allungati e larghi. Mi guarda aprendo le palpebre lentamente. È sdraiata sul ponte della Open Arms. L’equipaggio ha messo dei giubbotti di salvataggio sotto alla sua schiena e l’ha coperta con dei teli termici che sembrano d’argento e d’oro. Il suo viso è sofferente, apre gli occhi per chiedere aiuto, li sgrana. Poi torna a chiudere le palpebre come per riposare.

“Sono del Camerun, sono scappata dal mio paese perché mio marito mi picchiava. Mi picchiava perché non potevo avere figli”, racconta Josefa (non Josephine, come si era detto inizialmente) con un filo di voce in un francese dolce. Si tocca la pancia. “Non potevo avere figli”, ripete. Ha il corpo robusto e le mani piccole ancora raggrinzite per essere stata in acqua tutta la notte.

Non riesce quasi a parlare, due occhiaie profonde le scavano gli occhi, le sue pupille sono di un nero intenso. Alza il braccio per salutarmi, poi mi stringe la mano. È ancora fredda, sembra che abbia i brividi. Giovanna Scaccabarozzi, la dottoressa italiana di Open Arms che da stamattina si sta prendendo cura di lei, dice che ora è fuori pericolo, ma è ancora sotto shock. Trema, non si riesce a tranquillizzare, sembra stanchissima.

Non si ricorda nulla di cosa è successo e ha un unico timore. Non vuole essere portata in Libia

Una flebo di soluzione fisiologica è appesa sul palo del ponte della nave: goccia a goccia entra nelle vene di Josefa per reidratarla. “Siamo stati in mare due giorni e due notti”, racconta. Non si ricorda da dove sono partiti e non sa dove sono i suoi compagni di viaggio. “Sono arrivati i poliziotti libici”, dice. “E hanno cominciato a picchiarci”.

Non si ricorda nulla di cosa è successo dopo e ha un unico timore. Non vuole essere portata in Libia. “Pas Libye, pas Libye”, ripete come in una preghiera, una litania sussurrata con un filo di voce. “Pas Libye”. Per tranquillizzarla i volontari le dicono che ora è al sicuro, che presto arriverà in Europa.

A turno vengono vicino a lei sul ponte per passarle un fazzoletto bagnato sulla fronte: ha i capelli pieni di una polvere bianca, forse un per un periodo è stata rinchiusa in un carcere senza potersi lavare. “Se avessimo tardato ancora qualche ora sarebbe morta anche lei”, afferma la dottoressa italiana originaria di Lecco che stamattina l’ha accolta sul ponte della nave spagnola e le ha diagnosticato una grave ipotermia.

“Ha una forza incredibile che l’ha fatta recuperare rapidamente”, spiega Giovanna Scaccabarozzi, che insieme a Marina Buzzetti fa parte dell’équipe medica che a bordo della Open Arms ha accudito Josefa dal primo momento. “Abbiamo fatto delle manovre di riscaldamento e la stiamo idratando”. Alle due dottoresse è toccato anche il compito di fare il referto medico sui due cadaveri recuperati. Uno è di un bambino che ha un’età stimata tra i tre e i cinque anni. “Il bambino era tutto nudo, non sappiamo se abbia un legame di parentela con le due donne”, racconta Scaccabarozzi.

Momenti decisivi
“È morto di ipotermia, poco prima che arrivassimo”, conferma il medico. Questa è la notizia più dura da accettare per tutta la squadra di volontari che da anni dedica le proprie vacanze e i momenti liberi dal lavoro per soccorrere chi rischia di perdere la vita in mezzo al mare. “Arrivare anche solo un’ora prima avrebbe potuto fare la differenza”, questa consapevolezza tormenta i volontari.

La nave Open Arms chiede di poter sbarcare Josefa e i corpi del bambino e della donna senza nome. “Abbiamo dovuto chiamare la Spagna, il nostro stato di bandiera, poi abbiamo chiamato i libici, quindi gli italiani”, spiega Marc Reig, comandante della Open Arms. Tutto è bloccato in una serie di polemiche e di rimpalli infiniti, le stesse polemiche e gli stessi ritardi che hanno decretato la morte di un bambino senza nome che ora giace in un sacco bianco a prua.

Giovanna Scaccabarozzi passa ancora una pezza bagnata sulla fronte di Josefa, che sussurra “Merci”. Grazie. Poi alza il braccio e la saluta, come una bambina al suo primo giorno di scuola. Sul braccio ha i segni di una bruciatura. Non oso chiederle chi o cosa le ha lasciato questo segno. Dice di avere dolore dappertutto.

Dall’inizio del mondo, almeno da quando si racconta la storia di Antigone e Creonte, la legge degli uomini si contrappone a quella dei potenti e sceglie il corpo e la voce di una donna per dire che il potere non potrà mai cancellare la legge naturale, quella che ha a che fare con la vita e la morte, con la malattia e la sepoltura. Josefa ha occhi grandi e una voce flebile, dalla pezza sulla fronte le spunta una ciocca di capelli ricci e bianchi. Ha quarant’anni.

Leggi anche:

FINITA L’ODISSEA DELL’ACQUARIUS

Dal profilo Facebook di don Nandino Capovilla:

“BENVENUTI IN FAMIGLIA!” Come un’eco di preghiera, arriva da Valencia alla Cita una stessa invocazione: “All I have to say, thank you God!”- hanno cantato i sopravvissuti dell’Aquarius, stremati dalle violenze prima libiche e poi italiane, compiute “non in nostro nome”, in violazione di Trattati e Convenzioni Internazionali.

CHI RENDERA’ GIUSTIZIA A MADRE AFRICA, che dopo aver partorito l’umanità, continua ad essere da noi depredata “a casa loro”? Certamente non l’egoismo di popoli che si illudono di blindarsi in un sovranismo nazionalista e antievangelico. Sarà piuttosto la testimonianza quotidiana di comunità cristiane accoglienti a rispettare “il diritto alla speranza di chi non dovrà mai più essere lasciato in balìa delle onde dopo aver lasciato la sua terra affamato di pace e giustizia”(papa Francesco)

QUATTRO FIGLI IN UMANITA’ sono stati battezzati stamattina alla Cita e l’antichissima voce dal Cielo –“Tu sei mio figlio, l’amato!”- è risuonata a conferma della vocazione di comune appartenenza all’unica famiglia umana. Per questo, oggi e sempre e nonostante tutto, canteremo con gioia “BENVENUTI IN FAMIGLIA!”

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Fonte:

https://www.facebook.com/nandinocapovilla/posts/1835329236529470

 

L’intollerabile odissea forzata della Aquarius è terminata

La nave umanitaria approda a Valencia con i 630 naufraghi dopo otto giorni di mare

La Aquarius, nave di soccorso umanitario noleggiata da SOS MEDITERRANEE e gestita in partnership con Medici senza Frontiere, è entrata nel porto di Valencia in Spagna questa mattina, in convoglio con una nave della Guarda costiera italiana e con una nave militare italiana, per lo sbarco di 630 persone, soccorse nel Mediterraneo otto giorni prima.

Questi 630 tra uomini, donne e bambini sono fuggiti da un calvario inimmaginabile in Libia più di otto giorni fa: spinti su gommoni da trafficanti spietati, hanno trascorso ore terrificanti alla deriva, ammassati su imbarcazioni precarie, prima di essere finalmente soccorsi dalla Aquarius, da navi mercantili e da unità della Guardia costiera italiana, seguendo tutte la stessa legge non negoziabile: la legge del mare che obbliga ad assistere ogni singola persona in situazione di pericolo in mare.

Otto giorni dopo essere fuggite dall’inferno libico, queste 630 persone sono finalmente salve e al sicuro a terra, in Spagna, grazie alla Aquarius e al suo team di marinai professionisti, soccorritori volontari e operatori umanitari.

Il coraggio e la resilienza di questi 630 naufraghi, la professionalità e la profonda umanità dell’equipaggio della Aquarius devono essere elogiate, come lo straordinario supporto che SOS MEDITERRANEE ha ricevuto dalla società civile in Spagna e in tutta Europa.

La nave Aquarius è diventata il simbolo concreto per coloro che in Europa mettono i valori universali di rispetto per la vita umana, dignità e solidarietà prima di ogni altra considerazione.

Detto questo, i diversi ritardi dovuti alla chiusura dei porti italiani e poi l’Odissea forzata, pericolosa e degradante della nave Aquarius nel Mediterraneo devono necessariamente suonare come un campanello d’allarme per i leader europei.

Non è tollerabile per l’Europa che possa ripetersi una situazione come questa.

L’inerzia degli Stati europei è criminale. Si è tradotta in oltre 13.000 morti nel Mediterraneo dal 2014, quando i leader europei hanno detto «mai più» dopo la tragedia di Lampedusa. L’Europa porta questi morti sulla propria coscienza.

Le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate sul rispetto delle vite umane prima di ogni altra considerazione.

SOS MEDITERRANEE esorta una volta ancora tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad assumere le proprie responsabilità e a mettere il soccorso in mare al vertice delle loro agende politiche. Gli Stati membri dell’Unione europea devono immediatamente cooperare per elaborare un modello europeo di ricerca e soccorso per il Mediterraneo:

- le operazioni di ricerca e soccorso devono essere basate innanzitutto sul rispetto delle vite umane, prima di ogni altra considerazione, in conformità con il diritto marittimo internazionale e il diritto umanitario.

- le persone soccorse devono essere trattate con dignità e umanità a bordo delle navi di soccorso e ricevere tutte le cure che il loro stato di vulnerabilità richiede, fino a quando non è raggiunto un porto sicuro.

Alle autorità marittime competenti dovrebbe essere consentito di rispettare i loro obblighi di coordinamento e di ottimizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso.

Un numero sufficiente di navi di soccorso, adeguatamente attrezzate ed equipaggiate, deve essere dispiegato nel Mediterraneo, permettendo una copertura vasta della zona di soccorso.

Lo sbarco delle persone soccorse nel porto sicuro più vicino deve essere assicurato in tutti i casi, senza nessun ritardo, in accordo con i regolamenti marittimi.

SOS MEDITERRANEE invita a una larga mobilizzazione della società civile in Europa e nel Mediterraneo, per trasmettere questo messaggio alle autorità governative.

Salvare vite in pericolo è un obbligo morale e legale. Finché ci saranno persone che rischiano la propria vita in mare, SOS MEDITERRANEE continuerà la propria missione nelle acque internazionali, alle porte dell’Europa, per ricercare, soccorrere, proteggere e testimoniare.

Rassegna stampa: 
- Valencia si prepara ad accogliere l’Aquarius respinta dall’Italia, di Annalisa Camilli, Internazionale
- Aquarius, l’esperto Fulvio Vassallo Paleologo: “Illegale il respingimento collettivo di donne incinte e bambini, l’Italia rischia”, Repubblica.it

[ 17 giugno 2018 ]
Fonte:

 

Aggiornamento sull’attentato a Barcellona: ‘Volevano distruggere Sagrada Familia’. Killer in fuga

Nuovi colpi di scena nelle indagini sulla strage della Rambla, il cui probabile autore materiale, il marocchino Younes Abuyaaqoub, dato per morto ieri è invece tuttora in fuga, inseguito dalle polizie di Spagna e Francia. Secondo indiscrezioni degli inquirenti, il ‘piano A’ dei terroristi islamici era “far saltare in aria” la Sagrada Familia, simbolo di Barcellona, con “enormi quantità di esplosivo” Tatp, quello con cui l’Isis ha firmato le sue stragi in Europa.

Si indaga su imam di Ripoll, c’è il sospetto che sia morto o scappato

Nelle indagini è inoltre entrato di prepotenza come figura centrale un nuovo indagato, sospettato di aver svolto un ruolo chiave nelle stragi. E’ Abdelbaki El Satty, l’imam di Ripoll, la tranquilla (fino a ieri) cittadina dei Pirenei di 10mila anime, al 10% di origine marocchina, da cui venivano quasi tutti i 12 presunti membri della cellula. La polizia ha perquisito per tre ore oggi il suo appartamento. E’ sparito da martedì dopo aver detto al suo coinquilino che andava in Marocco in vacanza dalla moglie e dai figli. Gli inquirenti sospettano possa essere stato lui a indottrinare e dirigere i ‘baby-terroristi’ marocchini di Ripoll e che possa essere uno dei due terroristi morti nell’esplosione del covo della banda mercoledì notte ad Alcanar.

La cellula dei terroristi ragazzini

Nella base operativa vicino a Tarragona, secondo gli investigatori, il gruppo preparava da mesi un grande attacco a Barcellona. Nell’appartamento dell’imam marocchino al 4 di Carrer Sant Pere la scientifica ha raccolto campioni biologici per compararne il Dna con quello dei resti umani trovati in mezzo alle macerie di Alcanar, accanto a tracce di Tatp ed a 106 bombole del gas con le quali i terroristi volevano rendere ancora più micidiale l’onda d’urto di tre furgoni bomba.

Il ‘piano A’ che i jihadisti di Ripoll preparavano da mesi doveva essere ancora più sanguinoso e spettacolare. Fonti dell’inchiesta hanno detto a El Confidencial che l’obiettivo del gruppo era la Sagrada Familia, il celeberrimo capolavoro di Antoni Gaudì visitato ogni giorno da migliaia di turisti. Per questo dovevano preparare “enormi quantità di esplosivo” ad Alcanar per i tre furgoni che sarebbero stati usati per “fare saltare in aria” il tempio. Un atto che avrebbe provocato una probabile ecatombe e un’onda d’emozione enorme nel mondo.

Da Barcellona a Cambrils: cosa sappiamo dell’attentato

Ora la cellula, formata si ritiene da 12 persone, è praticamente distrutta. Cinque terroristi sono stati abbattuti dalla polizia a Cambrils, due sono morti nell’esplosione del covo di Alcanar, quattro persone sono in manette. Resta in fuga solo Abouyaaqoub, 22 anni, pure di Ripoll, che la polizia ora sospetta dopo varie indicazioni contraddittorie possa essere stato il killer della Rambla. E’ attivamente ricercato in Spagna ma anche in Francia, nell’ipotesi sia riuscito a passare la frontiera dei Pirenei. Dopo averlo escluso troppo in fretta, gli inquirenti verificano ora se non possa essere stato lui, fuggendo dalla Rambla, a forzare in auto un posto di blocco sulla Meridiana giovedì sera e a fuggire di nuovo a piedi lasciando nella vettura – dopo averlo ucciso – il cadavere del proprietario.

Da Nizza a Barcellona, auto e camion contro la folla VIDEO

Mercoledì notte qualcosa è andato storto. Probabilmente il Tatp, noto per la sua alta instabilità, è stato manipolato male e il covo è esploso. La cellula ha così dovuto rinunciare “all’enorme attentato” che pianificava a Barcellona e ripiegare su soluzioni più ‘artigianali’ senza esplosivi sulla Rambla e a Cambrils, spezzando 14 vite umane e facendo 134 feriti. Tre gli italiani uccisi: oltre a Bruno Gulotta, 35 anni e Luca Russo, di 25, si è appreso oggi che anche Carmen Lopardo, 80 anni, da 60 in Argentina, è stata uccisa sulla Rambla. Il bimbo australiano di 7 anni di cui non si avevano notizie dall’attentato di Barcellona, Julian Cadman, è stato ritrovato sano e salvo. Lo riferisce El Mundo. Il piccolo è stato localizzato in un ospedale di Barcellona e il padre è in viaggio per raggiungerlo. La madre del piccolo, una filippina residente in Australia, era rimasta gravemente ferita nell’attacco sulle Rambla.

 

Sulla distruzione o meno della cellula ci sono state oggi le prime scintille fra Barcellona e Madrid dopo l’unità nazionale proclamata dopo la strage della Rambla. Il ministro degli Interni spagnolo Juan Manuel Zoido ha annunciato lo “smantellamento” del gruppo, subito pubblicamente smentito dal collega catalano Joaquim Form, un ‘falco’ secessionista. La tregua scoppiata dopo la strage fra Madrid e Barcellona nella guerra sull’indipendenza della Catalogna potrebbe avere già le ore contate.

Blitz polizia a Cambrils, uccisi 5 sospetti terroristi VIDEO

La Rambla di Barcellona non si svuota, anzi. Migliaia di persone continuano a percorrere la passeggiata che conduce al porto, teatro di un attentato islamico, con 14 morti. Sono in centinaia a fermarsi davanti ai piccoli memoriali improvvisati, poco prima della teatro dell’Opera del Liceu, e a lasciare un messaggio di solidarietà, accanto a centinaia di candele. Nonostante ciò la tensione non cala: ad un certo punto vigilantes della metro particolarmente violenti ed aggressivi cacciano in malo modo due maghrebini dalle viscere della città accusandoli di furto, e minacciano gli operatori televisivi numerosi sulla Rambla. Qui non si filma. Ma siamo in uno spazio pubblico, anche se loro sembrano dimenticarlo.

Polizia in azione tra le strade a Barcellona VIDEO

 

‘Non abbiamo paura’ – Migliaia di cittadini si sono riuniti attorno a Re Felipe VI, al premier Mariano Rajoy e al presidente catalano Carles Puigdemont in Plaza Catalunya, cuore di Barcellona, per un minuto di silenzio in omaggio alle vittime dell’attentato di ieri. Dopo il minuto di silenzio la folla si è sciolta in un lungo applauso, fra grida di “No Tengo Miedo”, “Non ho paura”. La Spagna stringe le fila davanti all’attacco del terrorismo islamico. Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha proclamato l’unità nazionale davanti alla minaccia jihadista. A Barcellona ha tenuto un vertice con il presidente catalano Carles Puigdemont. I due uomini – durissimi avversari sulla corsa della Catalogna verso l’indipendenza alla quale Puigdemont ha detto di non voler rinunciare – hanno promesso totale collaborazione sulla sicurezza e si sono stretti la mano ben tre volte, ha registrato la stampa spagnola. Domani Madrid deciderà se portare al livello 5, il più alto, l’allarme terrorismo, una misura che porterebbe anche l’esercito a difesa dei punti sensibili del Paese.

 

Rimane elevato in Italia il livello di vigilanza con misure sul territorio rafforzate: è quanto ha deciso il Viminale dopo l’attentato di Barcellona. Intanto negli Stati Uniti si diffonde l’uso degli ultimi ritrovati hi-tech che potrebbero evitare o limitare gli attentati: dispositivi a microonde e laser sviluppati dall’esercito USA che bloccano i veicoli provocando un collasso elettronico. L’Isis ha rivendicato l’attentato di Barcellona attraverso la sua ‘agenzia’ Amaq, definendo gli attentatori “soldati dello Stato islamico”. Lo riferisce il Site, il sito di monitoraggio dell’estremismo islamico sul web, pubblicando una immagine della rivendicazione in arabo.

Il video del furgone (da Twitter)


IL TRAGITTO DEL FURGONE (DA GOOGLE MAP)

VIDEO DA YOUTUBE

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Fonte:
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2017/08/17/furgone-contro-la-folla-sulla-rambla-a-barcellona_3cf57b76-ed29-42db-909a-0f60db0f1ccf.html

Strage a Barcellona

Dal profilo Facebook di Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera:

Da confermare: Moussa Oukabir sarebbe stato ucciso

Polizia cerca Moussa Oukabir, fratello di Driss. Probabile che fosse alla guida del furgone-killer. E c’è chi non esclude sia tra i morti di Cambrils. Tutto ipotetico.

Un breve aggiornamento al pezzo precedente, con news.
Prima la strage, dopo la confusione. Con cambi di versione continui. Totale. Per alcune ore la polizia catalana ha indicato come responsabile Driss Oukabir, alias “la faina”: è lui l’uomo che ha noleggiato il furgone, lo abbiamo arrestato. Storia capovolta in serata quando è stata diffusa la notizia che una persona si è presentata alle autorità ed ha raccontato: “Sono il vero Driss, qualcuno mi ha rubato i documenti”. E qu

Altro…

Polizia conferma: cinture esplosive dei 5 uccisi a Cambrils erano false

Barcellona. Confusione su news continua. Non è chiaro se terroristi uccisi a Cambrils avessero delle cinture esplosive, media dicono che forse erano false.
Driss Oukabir era noto a polizia ma per reati comuni e non terrorismo (sempre che sia questa la versione buona)

Nella notte, come saprete, nuovo episodio a Cambrils, regione di Barcellona. 5 terroristi uccisi.
Intanto qui pezzo uscito sul cartaceo del Corsera, ovviamente non contiene riferimenti a ultimi eventi e alcuni aspetti saranno superati.
Prima la strage, dopo la confusione. Con cambi di versione continui. Totale. Per alcune ore la polizia catalana ha indicato come responsabile Driss Oukabir, alias “la faina”: è lui l’uomo che ha noleggiato il furgone, lo abbiamo arrestato. Sto…

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Codice di Condotta: perché MSF non ha firmato

31 Luglio 2017

Perchè MSF non ha firmato il Codice di Condotta ONG per le operazioni di ricerca e soccorso?

Nel corso di queste ultime settimane MSF ha avuto una serie di scambi e discussioni aperte e costruttive con il Ministero dell’Interno sul Codice di Condotta. Durante questi incontri abbiamo espresso una serie di preoccupazioni sul documento, richiedendo chiarimenti su temi specifici e sollecitando sostanziali cambiamenti che ci avrebbero messo nelle condizioni di poterlo firmare.Riconosciamo che sono stati fatti sforzi significativi  per rispondere ad alcune delle osservazioni presentate da MSF e dalle altre organizzazioni, tuttavia dopo un’attenta valutazione della versione conclusiva del codice, permangono una serie di preoccupazioni e richieste lasciate inevase.

Dal nostro punto di vista, il Codice di Condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

Al contrario, riteniamo che per la formulazione ancora poco chiara di alcune parti, il Codice rischi nella sua attuazione pratica di contribuire a ridurre l’efficienza e la capacità di quel sistema. Le linee di riferimento e l’impianto generale del Codice sono rimasti sostanzialmente immutati e, per questa ragione, con enorme dispiacere  riteniamo che allo stato attuale non sussistano le condizioni perché MSF possa sottoscrivere il Codice di Condotta proposto dalle autorità italiane.

Quali sono le principali preoccupazioni di MSF riguardo al codice?

Prima di entrare nel merito delle motivazioni che sono alla base di questa decisione è importante sottolineare che le operazioni di ricerca e soccorso di MSF sono sempre state condotte nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali e sotto il coordinamento della guardia costiera italiana (MRCC di Roma).

1) Non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio di vite in mare

La responsabilità di organizzare e condurre le operazioni di ricerca e soccorso in mare risiede – come è sempre stato – negli Stati. L’impegno di MSF nelle attività di ricerca e soccorso mira a colmare un vuoto di responsabilità lasciato dai governi che auspichiamo sia solo temporaneo. Non a caso da tempo chiediamo agli stati UE di creare un meccanismo dedicato e preventivo di ricerca e soccorso che integri gli sforzi compiuti dalle autorità italiane. Dal nostro punto di vista il codice di condotta non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso.

2) Le limitazioni al trasbordo su altre navi riducono l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare

La richiesta delle autorità italiane che le navi di soccorso concludano le loro operazioni provvedendo allo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro di destinazione, invece che attraverso il loro trasbordo su altre navi, riduce l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare. In questo modo si crea un sistema di andata e ritorno di tutte le navi di soccorso verso i luoghi di sbarco, che avrà come conseguenza una minore presenza di quelle navi nella zona di ricerca e soccorso. Le stesse Linee guida per il Trattamento delle persone soccorse in mare raccomandano che le navi impegnate in operazioni SAR portino a termine il soccorso il più presto possibile, anche attraverso i trasferimenti ad altre navi se necessario.

3) Principi umanitari a rischio

Il codice inoltre non fa alcun riferimento ai principi umanitari e alla necessità di mantenere la più assoluta distinzione tra le attività di polizia e repressione delle organizzazioni criminali e l’azione umanitaria, che non può essere che autonoma e indipendente. Il rigoroso rispetto dei principi umanitari riconosciuti a livello internazionale è per noi un presupposto irrinunciabile. Essi rappresentano la sola garanzia di poter accedere alle popolazioni in stato di maggiore necessità ovunque nel mondo, assicurando allo stesso tempo ai nostri operatori un sufficiente livello di sicurezza. Ogni compromesso su questi principi è potenzialmente in grado di ridurre la percezione di MSF come organizzazione medico‐umanitaria effettivamente indipendente e imparziale.

4) L’inserimento del Codice nel contesto attuale del Mediterraneo

Le strategie messe in atto dalle autorità italiane ed europee per contenere migranti e rifugiati in Libia attraverso il supporto alla Guardia Costiera Libica sono, nelle circostanze attuali, estremamente preoccupanti. La situazione in Libia è drammatica. Le persone di cui ci prendiamo cura nei centri di detenzione intorno a Tripoli e quelle che soccorriamo in mare condividono le stesse vicende di violenza e trattamenti disumani. La Libia non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga. Una volta intercettate, saranno condotte in centri di detenzione dove, come le nostre équipe che lavorano in quei centri testimoniano ogni giorno, sono a rischio permanente di essere detenute in modo arbitrario e indefinito, trattenute in condizioni disumane e/o sottoposte a estorsioni o torture, comprese violenze sessuali. Ovviamente le attività di ricerca e soccorso non costituiscono la soluzione per affrontare i problemi causati dai viaggi sui barconi e le morti in mare, ma sono necessarie in assenza di qualunque altra alternativa sicura perché le persone possano trovare sicurezza. Contenere l’ultima e unica via di fuga dallo sfruttamento e dalla violenza non è dal nostro punto di vista accettabile. Il recente annuncio dell’operazione militare italiana nelle acque libiche proposta nel momento in cui il Codice di Condotta è stato introdotto costituisce un elemento di ulteriore preoccupazione che ci ha confermato la necessità di marcare l’assoluta indipendenza delle nostre attività di soccorso in mare dagli obiettivi militari e di sicurezza.

MSF continuerà le sue attività di ricerca e soccorso in mare?

Si, MSF continuerà a salvare vite in mare. Anche se MSF non è nelle condizioni di poter firmare il Codice di Condotta, l’organizzazione rispetta le leggi nazionali e internazionali, coopera sempre con le autorità italiane e conduce tutte le operazioni in pieno coordinamento con l’MRCC e in piena conformità alle norme vigenti. Allo stesso tempo comunichiamo la nostra intenzione di continuare a rispettare quelle disposizioni del Codice che non sono contrarie ai punti problematici per MSF, tra cui quelle relative alle capacità tecniche, alla trasparenza finanziaria, all’uso dei trasponder e dei segnali luminosi. Confermiamo inoltre l’impegno a coordinare ogni nostra iniziativa con l’MRCC e anche a garantire l’accesso a bordo di funzionari di polizia giudiziaria, secondo quanto sopra espresso, così come la collaborazione costruttiva con le autorità italiane, nel pieno rispetto degli obblighi di legge.

Leggi la lettera inviata al Ministro dell’Interno

“Morire di maggio… Ci vuole tanto… troppo coraggio”. Ciao, Eva!

Eva, mia carissima amica e sorella! Avrei voluto non ricevere mai una notizia del genere! Te ne sei andata in silenzio, senza dire una parola… In realtà di parole ne avevi dette tante e chissà quante ne avresti avute ancora da dire… Una breve ma intensa vita spesa con amore verso il genere umano e verso la scienza. Ma non solo: tu amavi anche l’arte in tutte le sue forme, la filosofia, lo sport, tutto ciò che è umano. Parafrasando Terenzio, nulla di ciò che è umano ti era estraneo. Per questo più volte ti ho ripetuto che eri una delle persone più umane che conoscessi. Amavi anche la natura e gli animali. Ma l’essere umano era il tuo grande Amore. Quel grande amore che hai cercato per tutta la vita, pochissime volte trovato e poi perso in diversi modi. Avresti potuto dare tanto al mondo con i tuoi studi di psicologia e di neuroscienze ( il tuo amato cervello!) perché sapevi ascoltare e amavi gli altri. E avresti potuto dare molto anche con i tuoi reportage con tutti i viaggi che avevi fatto intorno al mondo. Ma poi tornavi a casa con i problemi della vita quotidiana, le angosce per un passato tormentato e tutto il male che ti era toccato di subire nella tua breve vita, le difficoltà nel trovare la tua strada e l’enorme sofferenza della tua anima grande ma sempre ferita. Quando ti “invidiavo” la tua libertà e la tua vita piena di avventure mi dicevi che anche una vita come la tua non dà la felicità. Non ho mai capito che cosa più di tutto ti mancasse e me ne rammarico. Tante erano le cose che amavi da non riuscire a farle tutte. La vita quotidiana ti assorbiva. E questo da una parte era una tua caratteristica perché, per coloro che ti hanno avuto vicina, sarai stata speciale non solo in ciò che riuscivi a fare ma anche nel quotidiano. Dall’altra ti impediva forse di vivere come volevi. Tante persone avresti voluto aiutare con i tuoi studi e me lo raccontavi. Ma le difficoltà nel terminare gli studi, il dover sempre ricominciare daccapo non te lo permettevano per come volevi. Tante cose avresti voluto raccontare dei tuoi viaggi ma non avevi tempo e me lo dicevi. Forse eri troppo sensibile. Forse il tuo cuore e la tua anima erano troppo grandi per questo mondo e per questo te ne sei andata. E ora vegli su tutti coloro che hai amato e ti hanno amata. Mi piace pensare che ovunque ti trovi adesso stai già conversando con fratelli e sorelle uccisi da qualche guerra disumana (perché la guerra è sempre disumana e tu ce lo insegnavi) bevendo una birra e fumando una sigaretta.
Ciao, paguro metafisico! Non ti dimenticherò mai!
Mi piace ricordarti con gli articoli del tuo blog  (a cui so che avresti voluto dedicare molto più tempo) perché penso sia uno dei segni visibili più belli che ci hai lasciato.

D. Q.

Qui di seguito gli articoli tratti dal blog di Eva Menossi:

http://silenceinchains.blogspot.it/

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