Intervista a Diego Tigrotto

1) Ti definisci un artivista sex positive: cosa indicano queste espressioni?

Artivista è una crasi tra le parole artista e attivista perché cerco di esprimere la filosofia sex positive anche attraverso l’arte.

2) Da anni indossi quotidianamente tutine animali: perché questa scelta?

Nasce come forma radicale dell’espressione di sé, che è uno dieci principi del Burning Man. Io ho partecipato a quest’evento nel Nevada e ho visto che indossare le tutine animali mi risuonava e ho sposato questa forma di espressione. Mi piace cercare abiti non solo di animali, ma anche colorati, metto smalto, ecc. E’ anche una forma di esibizionismo, un non volersi nascondere ed un modo per filtrare le persone che sono o no attratte da questa modalità: ognuno ha il suo modo di esprimersi, di vivere la propria socialità.

3) In uno dei tuoi cortometraggi, “Ki è my Papino?”, metti in scena la fantasia di un abuso incestuoso e nei tuoi cerchi di condivisione sottolinei la necessità del non giudizio nei confronti di qualunque fantasia sessuale. Che rapporto c’è tra la liberazione delle fantasie e il consenso?

La fantasia raccontata nel corto rientra nella sfera del non consenso-consensuale, , cioè nel poter giocare con fantasie di abuso avendo concordato prima le modalità ed i limiti, in modo da viverle senza commettere degli abusi reali. Le fantasie sono centrali nella sessualità ma se ne parla poco perché a volte vengono giudicate come sporche o immorali.

4) Ci parli del progetto La Tana Libera Tutt* e degli eventi ad essa connessi?

La Tana Libera Tutt* è un progetto che ha come scopo principale quello di promuovere la filosofia sex positive e i suoi quattro pilastri: consenso, non giudizio, consapevolezza e piacere. Lo facciamo in modo pratico attraverso laboratori e workshop ma anche parlando nei cerchi di condivisione e tramite la rete dei social. E’ un progetto in divenire: ultimamente stiamo preparando un mazzo di Tarocchi Sex Positive.

Sex positive è un termine che, nonostante abbia ormai sessant’anni, è ancora poco conosciuto in Italia nella cultura attuale.

5) Partecipi a diversi Porn Film Festival indipendenti. Come definiresti l’esperienza di questi festival?

I festival sono innanzitutto un’occasione per incontrarsi con altre persone che a loro volta si occupano del porno diverso da quello mainstream, un tipo di porno che ha intenti anche politici. Quando ci vado cerco materiale d’ispirazione. Allo stesso tempo cerco di creare materiali da condividere e che possano essere stimolanti anche per le altre persone. Ultimamente ho fatto un video che è stato selezionato per il Porn Film Festival di Berlino e per il San Francisco Porn Film Festival. Questi sono i festival a cui ho già partecipato insieme al Hacker Porn Film Festival di Roma, il Vienna Porn Film Festival e quello di Atene.

6) Nel mockumentary “Sexplorer” troviamo la parodia di un documentario su riti ecosessuali. Cos’è per te l’ecosessualità?

L’ecosessualità è un movimento ideato da Annie Sprinkle e lanciato come possibilità di vivere la sessualità all’aperto, nella natura, una sessualità connessa con i sensi, con il tutto, in modo tantrico ma anche giocoso. Nel Ecosex Manifesto si parla del fare l’amore con la natura oltre che nella natura. La natura, quindi, oltre ad essere cornice, diventa anche parte integrale dell’atto sessuale, il quale non è, perciò, da intendersi necessariamente come genitale.

7) Un altro tema ricorrente nei tuoi lavori è quello dello spanking, che troviamo nel corto da te diretto “A Spanking Ode” e in una scena della pellicola “Female Touch” di Morgana Mayer. Che rapporto c’è tra parafilie, BDSM e la filosofia sex positive?

La parola parafilia è quasi medica ma nel sex positive ha una valenza diversa. Le pratiche del BDSM sono incluse nell’ambito sex positive. Lo spanking è una delle pratiche che ho potuto fare in pubblico. La sento come una pratica intima, un contatto molto sensuale ma allo stesso tempo giocoso.

8) C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?

Questo periodo è stato molto duro per il nostro progetto de La Tana Libera Tutt* per via della pandemia da Covid 19. Però sono riuscito a creare nuovi progetti: i Tarocchi, articoli pubblicati sul web, un fumetto sex positive e a produrre un altro video. L’isolamento mi ha permesso di trovare il tempo per creare progetti diversi e portare avanti il mio lavoro non solo attraverso le esperienze fisiche.

Diego Tigrotto

SexPositiveArtivist

LaTana LiberaTutt*

Intervista alla redazione di Uniporn TV

Da web ( immagine libera da diritti)

1) Il vostro sito web si apre con la dicitura “la prima piattaforma italiana dedicata al porno etico e indipendente” Cosa s’intende, dal vostro punto di vista, con l’espressione “porno etico”?

Il porno è “etico” quando risponde a una serie di requisiti. Innanzitutto, le persone che vi hanno lavorato devono averlo fatto liberamente e previo consenso, senza coinvolgimento di minori. In secondo luogo, come per ogni lavoro, deve esserci stato un giusto riconoscimento economico o la scelta consapevole di farlo in forma di attivismo. In ogni caso che il film sia realizzato in un contesto libero da sfruttamento e forme coercitive o gerarchiche. Infine, ma non meno importante, tutte le sessualità, i desideri e i corpi possono essere rappresentati.


2) Come scegliete i film che proponete?

I film vengono scelti attraverso vari canali. Dai festival allo scouting vero e proprio. Sempre più spesso però veniamo contattati noi da regist* e performers che vorrebbero condividere i loro lavori sulla nostra piattaforma.


3) Secondo voi, come è cambiata la pornografia nei suoi passaggi dal cinema alle videocassette e infine al web?

Al passaggio dal cinema “a luci rosse” alle VHS e, infine, alle piattaforme di pornografia online abbiamo dedicato uno dei nostri primi articoli sul blog di Uniporn. Volendo tracciare una breve (e un po’ parziale) storiografia, possiamo dire che il cinema in quanto luogo pubblico, implicava un certo grado di esposizione, quindi il pubblico ovviamente era prevalentemente maschile. Allo stesso tempo costituiva anche un luogo di ritualità collettiva. Con le VHS la cosa cambia radicalmente, la pornografia entra nelle case, diventa più accessibile e si è meno esposti quando la si guarda. Infine, grazie a internet, questa accessibilità diventa ancora più ampia. Da un lato sicuramente il rischio è quello dell’assenza di un filtro, soprattutto nel caso di contenuti violenti, dall’altro lato però la rete ha implicato maggiore scambio e accessibilità a contenuti non mainstream, come ad esempio il porno etico.


4) Piattaforme come la vostra nascono con l’intento di essere alternative al porno mainstream o per allargare gli orizzonti della pornografia?

Preferiamo immaginarci più come possibilità che come alternativa. Anche nel porno mainstream c’è molta professionalità e ha avuto un ruolo importantissimo creando breccia in varie battaglie attraverso alcuni suoi personaggi di spicco. Solo crediamo che non basti e che non ci rappresenti tutt*.


5) Quanto conta l’intersezionalità dei temi all’interno di una pornografia che si definisce etica?

L’intersezionalità è un po’ la chiave di lettura principale. Sia in termini di rappresentazione dei corpi, dei desideri e delle identità sessuali, sia in termini di capacità di creare una vera e propria cultura del sesso. La pornografia ha a che fare con i rapporti di potere e con l’intimità, il corpo e il desiderio sono da sempre terreno di battaglia e allo stesso tempo strumenti di resistenza e di liberazione.

6) C’è qualcosa che vorreste aggiungere?

Una cosa che non ci stancheremo mai di ripetere è che la pornografia è uno strumento di produzione culturale con una grossissima responsabilità, perché contribuisce a creare gli immaginari legati alla sessualità delle persone. Non è quindi possibile pensare di combattere la violenza di genere senza ripensare la pornografia in senso etico, a partire dal riconoscimento dei diritti delle e dei sex workers.

Intervista ad Alithia Maltese, insegnante di shibari ed educatrice di sessualità alternativa

DSC_4017-2 Credits VazkorAlithia 1

Credits Vazkor

1)      Com’è nato il tuo interesse per la sessualità alternativa e il bondage in particolare?

Da piccola amavo legare le cose. Usavo quella che doveva essere una corda per saltare: sedie, tavoli, bottiglie, niente poteva stare al suo posto. Costruivo fortini, tende, castelli. Raggiunta la maturità sessuale ho iniziato a fantasticare di legare le persone. Nel giro di poco tempo la fantasia è diventata realtà. Sentivo, però, che mancava qualcosa. Usare sciarpe e cinture non era così soddisfacente. Giocare con la cera e fare sesso estremo con le persone che frequentavo non raccontava tutto di me. Inoltre avevo bisogno di parlare con qualcuno che avesse i miei stessi istinti, avevo bisogno di confronto. Così ho chiesto consiglio a un’amica che sapevo avere i miei stessi interessi e lei mi ha suggerito di iscrivermi a FetLife, un social network dedicato al BDSM che conta quasi nove milioni di iscritti in tutto il mondo. Qui ho scoperto dell’esistenza della comunità torinese, dei party e dei corsi di bondage. Mancava ancora un evento dedicato ai più giovani e così ho deciso di impegnarmi in prima persona fondando il TNG Torino, l’aperitivo informale dedicato al BDSM per persone tra i 18 e i 35 anni. A un certo punto mi è capitato di essere invitata a eventi pubblici, come il Fish&Chips Film Festival del cinema erotico, a parlare di temi quali il consenso, la violenza, il BDSM. Sono stata chiamata in quanto organizzatrice di eventi a tema sia come persona con un bel po’ di esperienza alle spalle. Non mi andava di arrivare a questi incontri impreparata, così ho cominciato a studiare educazione sessuale e a sviluppare un metodo personale per trattare argomenti connessi alla sessualità alternativa. Così ho avviato la mia attività di insegnante di shibari. Collegata all’attività di educazione e divulgazione è venuta fuori l’esigenza di accostare alla teoria la pratica e non avrei potuto scegliere altro strumento che le corde.

2)    Essendo un’educatrice di sessualità alternativa quali sono le tematiche che tratti nei tuoi corsi?

Il tema principale è sempre la comunicazione. Che stia tenendo una conferenza sul consenso o un workshop sul bondage per l’intimità, la comunicazione col partner è alla base di tutto. La comunicazione è uno strumento potentissimo attraverso cui possiamo esercitare in modo efficace il nostro consenso e che quindi permette di condurre una sessione BDSM in modo genuinamente soddisfacente. E il dialogo con l’altro passa soprattutto attraverso il corpo, anche se non siamo abituati a farci caso. E la comunicazione passa soprattutto attraverso il corpo. Per me legare vuol dire avere un dialogo. Trasmetto il mio stato d’animo, comunico i miei desideri alla persona che sto legando e contemporaneamente mi metto in ascolto. Il corpo parla, basta saperlo osservare.

3)      Quanto è ancora forte il tabù verso le pratiche BDSM?

Dal mio punto di vista il tabù è ancora molto forte e temo che per questo si debba ringraziare per questo l’immagine mainstream del BDSM, che è fuorviante e per nulla rappresentativa del mondo che vorrebbe mostrare. Troppo spesso il cinema e la letteratura d’intrattenimento hanno dipinto chi pratica BDSM come persone violente, con traumi irrisolti. Finché questo mondo verrà guardato dal buco della serratura, parlandone con pregiudizio e senza reale interesse nel comprendere di che cosa si tratti, questa visione persisterà. A me non interessa che il BDSM venga accettato o considerato normale. Quello che mi piacerebbe è che chi vuole avvicinarsi a questo mondo possa avere la possibilità di farlo in maniera consapevole. Sarebbe preferibile che il BDSM non venisse rappresentato per nulla invece che mostrato come una patologia psichiatrica.

4)      Perché in tanti credono che il BDSM sia violenza?

Alla base di tutte le pratiche del BDSM c’è il consenso. La violenza è, per definizione, un’azione volontaria esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo ad agire contro la sua volontà. Questo rende BDSM e violenza mutualmente esclusivi.

5)      Il bondage è meramente connesso alle pratiche sessuali kinky o può essere considerato anche un’arte a sé stante?

Intanto dovremmo chiederci se tutte le pratiche kinky sono necessariamente sessuali e in che senso. Questa domanda ha molte risposte. Molti ti direbbero che non giocano con persone con cui non andrebbero a letto. Qualcuno pratica solo col proprio partner. In effetti alcune pratiche sono esplicitamente sessuali. Personalmente per me il BDSM non è per forza collegato al sesso o al mio desiderio sessuale ma senza ombra di dubbio ha a che fare con l’intimità e con la ricerca del piacere, di qualunque tipo esso sia. Il bondage è una pratica BDSM, è proprio lì, nella prima lettera dell’acronimo. Gioco spesso con alcune delle persone per me più care, mi piace condividere con loro momenti di intimità unici e irripetibili, ci piace prenderci cura gli uni degli altri anche attraverso queste pratiche, soprattutto nelle corde. Per me chi dice che il bondage è un’arte a sé mente sapendo di mentire. Probabilmente lo fa per renderlo più accettabile agli occhi della società. Il bondage, dicevo, è una pratica BDSM. Se si lega qualcosa o qualcuno per altri motivi, con altri obiettivi, artistici o promozionali per esempio, allora non rientra più nel BDSM e non è più bondage: è performance, è altro.

6)    Il termine shibari è un sinonimo o una tipologia di bondage?

Il bondage è la pratica in cui si limita o si impedisce temporaneamente la possibilità di movimento di una persona e/o la sua capacità sensoriale. Il rope bondage è il bondage fatto con le corde. Lo shibari, chiamato anche kinbaku, è il bondage giapponese: lo strumento principale sono le corde, le legature realizzate seguono la tradizione, l’estetica e la filosofia giapponese. Se mettessimo a confronto due foto, una di western bondage (rope bondage all’occidentale) e una di shibari anche chi non ha mai preso una corda in mano sarebbe in grado di capire che, pur trattandosi comunque di rope bondage, ci sono delle nette differenze tra le due pratiche, già a partire dall’estetica.

7)    Da persona facente parte di ambedue i contesti, come consideri il rapporto tra la comunità LGBTQ+ e il mondo BDSM?

Sono bisessuale, vengo dall’associazionismo LGBTQ+, non posso fare a meno di continuare a guardare a quel mondo, di cui faccio parte e con il quale collaboro. Negli anni ho riscontrato una certa resistenza da parte della comunità LGBTQ+ a interagire con la scena BDSM. Una resistenza sempre minore, per fortuna; negli ultimi anni molte persone giovani, soprattutto bisessuali, si stanno avvicinando a questa realtà. La mia percezione è che le persone LGBTQ+ talvolta pensino di trovare un ambiente non accogliente, anzi, magari anche discriminante, soprattutto per via degli stereotipi che il BDSM si porta addosso. La letteratura e la cinematografia alla quale siamo esposti sono ancora infarcite di cliché e storture: il masterone maschione seduce e sottomette la giovane e bella ragazza inesperta, la mistress in latex frusta violentemente un uomo, possibilmente di mezza età. La pornografia non ci viene in aiuto. Tutte le scene sono estremizzate, le interazioni sessualizzate in modo eteronormato o secondo il gusto eteronormato. Chiunque ci penserebbe due volte prima di rischiare di trovarsi in un ambiente composto da macchiette. La verità è che non siamo così. Certo, questi stereotipi da qualche parte sono saltati fuori, e forse dovremmo guardare più a romanzi come Histoire d’O (romanzo pubblicato nel 1954 e film realizzato nel 1975) che alle opere del Marchese de Sade o di Leopold Von Sacher-Masoch per cercare una spiegazione. La letteratura rosa, con quelle storie di procaci maschioni rapitori di svenevoli fanciulle, gli Harmony, così vicini alle casalinghe degli anni Ottanta, il successo delle 50 sfumature e il caso dei 365 giorni hanno contribuito a fare in modo che il vecchio immaginario BDSM, tanto basato sul genere e sui ruoli, si perpetrasse anche nell’epoca contemporanea. In un’intervista che mi ha rilasciato Rita Pierantozzi su scena BDSM e comunità LGBTQ+ https://www.alithiamaltese.com/scena-bdsm-e-comunita-lgbtq/, lei mi diceva che “molta della comunità GLBTQ+ è chiusa in un tentativo di normalizzazione che percorre vie eteronormate e fa fatica ad accettare realtà alternative. Si fa fatica ad accogliere bisessuali, persone trangender e non binary, figuriamoci persone kinkster. Il doppio stigma è difficile da portare”. Molto spesso persone LGBTQ+ mi chiedono: “Come posso fare ad avvicinarmi al BDSM in un ambiente queer?” In realtà il nostro aperitivo è queer. Io e Médou, che organizza con me il TNG Torino, siamo bisessuali, un altro degli organizzatori è non binary, ci sono molte persone LGBTQ+ e speriamo che, un po’ col passaparola, un po’ grazie ai miei interventi nelle associazioni LGBTQ+, ce ne siano sempre di più. È giusto che tutte e tutti abbiano uno spazio sicuro di confronto in cui poter sperimentare e conoscere persone.

8)    Secondo te quanto c’è ancora da fare per diffondere un’autentica cultura del consenso?

C’è un unico modo perché si diffonda la cultura del consenso: fare della propria vita il proprio attivismo. Non basta parlare di consenso se poi non ci impegniamo a mettere in pratica tutto quello che ci diciamo durante le dirette instagram o su twitch. La divulgazione, la diffusione della cultura del consenso è molto importante ma abbiamo bisogno di gesti concreti, quotidiani, per fare in modo che l’idea di consenso attecchisca. E poi c’è un altro aspetto che per me è strettamente legato al consenso, ovvero l’autodeterminazione. Sono convinta che nel momento in cui ci autodeterminiamo riconosciamo il nostro valore e questo riconoscimento ci rende più forti, rende più forte il nostro messaggio, rende più forti i nostri sì e i nostri no. Senza dubbio è importante continuare a lavorare sulla società ma non dobbiamo dimenticarci di lavorare prima di tutto su noi stessi.

9)    C’è qualcosa che vorresti aggiungere al termine di quest’intervista?

Sì, consigli per chi vuole avvicinarsi al BDSM.

A chi volesse saperne di più o volesse iniziare la propria esplorazione in questo mondo consiglio di informarsi sugli eventi presenti nella propria zona ed entrare in contatto con la comunità locale. Conoscere dal vivo persone già esperte o che si stanno affacciando a questo mondo permette di confrontarsi, farsi un’idea non solo sul tipo di pratiche che ci possono interessare ma anche sul tipo di rapporto che vogliamo avere con quelli che saranno i nostri compagni di viaggio. Inoltre far parte di una comunità ti dà la possibilità di avere informazioni di prima mano sulle persone con le quali ti rapporti, cosa che non sarebbe possibile con l’online dating. Questo è il motivo per cui ho fondato il TNG Torino.

Premesso che non mi interessa cercare di convincere le persone a entrare a far parte di questo mondo, ritengo che anche chi non ne ha mai sentito parlare potrebbe prendere come esempio per la propria vita personale e di coppia alcuni aspetti del BDSM, per esempio l’educazione al consenso o come esplorare più liberamente le proprie fantasie. Chi lo pratica ha come obiettivo la ricerca del piacere e durante la sessione di gioco è possibile portare avanti questa ricerca con i mezzi più disparati. All’interno della pratica possiamo esplorare i nostri desideri e condividerli con la persona con cui giochiamo. Possiamo provare vergogna, piangere, rilassarci, godere, avere paura, lasciare il controllo in totale libertà, senza preoccuparci del giudizio di chi è lì con noi in quel momento. Questo ci permette di avvicinarci, di entrare maggiormente in intimità con il/la partner. Non condivido con te solo il mio corpo ma apro una finestra sui miei segreti e ti permetto di vedere cose di me che in altre occasioni non mostro. In più, come singole e singoli, praticare il BDSM ci porta a domandarci che cosa cerchiamo in una relazione (che duri nel tempo di una sessione di gioco o che sia il rapporto con il/la partner), chi siamo, che cosa vogliamo. Insomma, dal mio punto di vista è uno strumento di autodeterminazione in piena regola.

Relazioni e intersezionalità dei diritti da un punto di vista anche psicologico: ne parlo con hello_policose (Dott.ssa Dania Piras)

Il cervello umano ha fatto il ‹del †del ‹del †con le maniDal web (immagine libera da diritti)

Donatella Quattrone: Ciao, hello_policose. Grazie per aver accettato di fare quest’intervista.
Tu sei psicologa ed attivista. Come concili le due cose?

Hello_Policose: grazie a te per avermi pensata e avermela proposta . All’inizio ho avuto mille dubbi su come fare, e ti confesso che non sono particolarmente diminuiti. Ciò che mi guida è la forte credenza che la psicologia non possa essere slegata dal tema dei diritti umani. Il mio è un lavoro di cura, di ascolto, di accoglienza, e non può prescindere dalla comprensione (e non semplice accettazione) della diversità. Ritengo necessario un approccio culturalmente umile a qualsiasi storia io incontri. Trovo questa modalità molto coerente con il mio essere attivista, dove non mi limito solo ad ascoltare, ma alzo anche la voce in difesa delle idee in cui credo. Il mio problema principale, al momento, è che su alcuni temi è faticoso mantenere un’immagine “decorosa” come viene richiesta dalla deontologia e allo stesso tempo esporsi in modo provocatorio per veicolari messaggi (ad esempio usando il corpo come territorio di protesta). Viaggio sempre sul confine e incrocio le dita.

Donatella Quattrone: Ti occupi, tra l’atro, di poliamore, tematiche Lgbtqia+, sex positivity. Quanto è difficile decostruire le convinzioni apprese per poter affrontare queste tematiche, in ambito psicologico, in una modalità il più possibile libera da pregiudizi?

Hello_Policose: Ho iniziato la mia decostruzione personale al liceo , quando ho scoperto la filosofia.
Negli anni mi sono sempre fatta domande, e grandissimi spunti sono arrivati all’università studiando sociologia e antropologia. Ho capito che il mondo che vediamo ogni giorno è solo uno dei tanti mondi che l’essere umano si è costruito nella Storia, e che ciò che crediamo vero o “normale” è assolutamente relativo alle nostre sovrastrutture culturali.
Essere nudi nel centro della foresta amazzonica non ha lo stesso significato che mostrarsi nudi in Europa. Il fatto che qui la nudità sia sessualizzata e scandalosa è una convenzione, il frutto di una serie di storie che si sono evolute e intrecciate, ma non esiste un meglio o un peggio. Lo stesso dicasi per le credenze sulla monogamia, gli orientamenti sessuali e altri concetti!
La parte più difficile della decostruzione è arrivata quando ho deciso di diventare un’attivista su Instagram, dove ho scoperto altre persone nel pieno del loro processo decostruttivo, che mi hanno insegnato tantissimo, sia come contenuti, sia come qualità delle domande che avrei potuto continuare a pormi. Il processo non è finito, ogni giorno scopro qualcosa di nuovo da riconsiderare sotto una nuova luce, e ad oggi posso dirti che è un’attività molto piacevole per me! Mi dà molta gioia. La parte complicata è riuscire a comunicare con chi questo processo non ha le forze o la voglia di iniziarlo.

Donatella Quattrone: Perché, secondo te, è importante l’intersezionalità nel femminismo?

Hello_Policose: Il femminismo è una teoria politica e filosofica complessa, composta da molte sfaccettature. Esistono vari femminismi, non ti nego che alcuni li temo un po’, come quello delle TERF. Esiste anche il femminismo liberale, che in sostanza desidera dare alle donne gli stessi privilegi degli uomini, per rompere il glass ceiling. L’errore fondamentale alla base di questo femminismo è che sembra il pianto di un bambin@ che dice “lo voglio anche io”, invece di rendersi conto che anche poter dire questa frase è un privilegio. Significa perlomeno che avresti la possibilità di ascendere nella tua posizione di classe, che puoi studiare, che sai leggere, che sei abile. Non tutte le donne del mondo hanno questa possibilità. Il femminismo intersezionale invece prende in considerazione l’intersezionalità dell’oppressione, e non si occupa solo di donne, ma vede un problema nel sistema, un sistema che opprime uomini e donne e anche persone non binarie, di qualsiasi etnia, con qualsiasi orientamento sessuale, con qualsiasi disabilità, con qualsiasi tipo di corpo.
E’ un femminismo che tende a decostruire per creare qualcosa di migliore, non per dare solo a chi riesce ad alzare meglio la voce perchè ha il megafono in mano. Oltre al fatto che essendo tutty vittime di varie oppressioni, nell’intersezionalità possiamo trovare una sorellanza e fratellanza che può veramente fare la differenza. Non è una gara a chi sta peggio.
Donatella Quattrone: Da psicologa, quanto consideri importante l’educazione affettiva e sessuale? Andrebbe affrontata nelle scuole e a partire da quale età?
Hello_Policose: Per me l’educazione sessuale e affettiva è FONDAMENTALE.
Vorrei citare un passo del Manifesto degli Esploratori Sessuali di Ayzad: “Non serve essere fini psicologi per capire che una vita sessuale irrisolta – derivante a sua volta da una cattiva o del tutto assente educazione all’affettività – sia all’origine di disagi di ogni scala, da quella individuale alla più ampia scala sociale. Coppie in difficoltà, violenze di genere, discriminazioni, soprusi, conflitti culturali, perfino intere crisi internazionali possono farsi risalire con impressionante evidenza a una grande infelicità erotica di fondo, esacerbata dall’ipersessualizzazione delle informazioni che ci bombardano costantemente.”
Credo che la gigantesca idiosincrasia di un mondo sessuofobico che ci vende persino gli yogurt alludendo al sesso sia veramente una delle cause maggiori di moltissimi problemi sociali. Per non parlare poi di tutto il tema del consenso e dell’attenzione all’Altro, che molte persone non sanno nemmeno cosa sia. Spesso i bimby vengono forzati a ricevere un bacio o un abbraccio, da un coetaneo o dalla zia di turno, e fatti sentire in colpa se rifiutano. Si comincia da qui, dalla prima infanzia, ad insegnare che il proprio corpo è un confine che può essere attraversato solo consensualmente, e che esplorarlo con curiosità, fare domande al riguardo, è assolutamente legittimo.
Ricordiamoci che se non diamo noi le risposte ai bambiny, loro le troveranno da altre parti, in altri modi, e non è detto che siano modi migliori. Per quello che riguarda gli adolescenty, senza ombra di dubbio, io ne farei una materia scolastica o perlomeno uno spazio settimanale di confronto e crescita dove parlare di emozioni, relazioni, comunicazione, sessualità, parità di genere, paure, futuro e studiare anche un minimo la storia delle relazioni nell’essere umano non sarebbe una cattiva idea. Ma io sono una sognatrice utopistica, forse.

Donatella Quattrone: Come si può imparare a riconoscere dipendenza affettiva e relazioni tossiche?
Hello_Policose: Non credo ci sia un metodo universale, ma sicuramente ci sono dei campanelli d’allarme.
Partiamo dal fatto che ognun@ di noi dovrebbe essere sufficientemente centrato e consapevole delle sue fragilità e dei suoi bisogni, ed esserne responsabile.
Ovviamente sarà difficile esserlo al 100%, ma diciamo che almeno in una buona parte… sarebbe auspicabile. Questo permetterebbe di non usare l’altra persona come oggetto con cui colmare i propri vuoti, su cui proiettare le proprie insicurezze, a cui chiedere di soddisfare i propri bisogni. L’Altro non ci appartiene, non ci deve nulla, deve poter scegliere ogni giorno di starci accanto: se resta perchè si sente in colpa, o perchè viene manipolato, o perchè viene ipercontrollato, sicuramente c’è qualcosa che non va. Lo stesso vale per noi, e sarebbe opportuno farsi sempre domande sulle nostre relazioni e sul perché vi restiamo dentro anche quando ci fanno sentire male. In particolare, nella nostra cultura c’è un alto livello di tossicità nel tema della gelosia, che normalizza il possesso e lo fa diventare una prova d’amore. Conosco molte coppie che a parole affermano di non essere possessive, ma poi nella pratica se l’altra persona non si mostra almeno un po’ gelosa, non si sentono amate. Scardinare questa normatività è un lavoro lungo e complesso.
Donatella Quattrone: Come consideri la gestione del tempo e delle energie da dedicare a se stess* e a tutt* i partner all’interno di una famiglia non-monogama?
Hello_Policose: La considero un’impresa titanica se non si impara a comunicare bene! La questione ovviamente non riguarda semplicemente il tempo e le energie, ma il significato che diamo ad esse. Se dedico più tempo a qualcun@, anche accidentalmente, sono consapevole di come potrebbero sentirsi gli altry?
Sono dispost@ a rassicurare, ascoltare, accogliere le eventuali emozioni altrui?
Sono capace di esprimere come mi sento senza essere passiv@-aggressiv@ quando mi sento trascurat@ oppure ho semplicemente un momento di insicurezza? Sono consapevole e responsabile delle mie emozioni, so darci un nome? So cosa mi triggera emotivamente, so spiegarlo?
Queste, e altre, sono le premesse fondamentali ad un buon equilibrio nella relazione, al di là del problema del tempo e delle risorse. Come noterai, non dovrebbero riguardare solo le non monogamie, ma un po’ tutti i tipi di relazione!

 
Donatella Quattrone: Che differenza c’è tra una relazione poliamorosa e una coppia aperta?

 
Hello_Policose: Appartengono entrambe al mondo delle non monogamie consensuali, ma la coppia aperta è più simile ad una coppia monogama che però non richiede esclusività sessuale. Questo può declinarsi in vari modi: si possono condividere partner sessuali oppure vivere una vita sessuale senza rendere conto all’altr@ (DADT: Don’t Ask, Don’t Tell). Resta però fondamentale l’esclusività sentimentale, quindi non si è aperti all’idea di relazioni con altre persone, nè al fatto che un@ dei due possa innamorarsi di altry.
Il poliamore invece esce un po’ da questa dinamica dell’esclusività sentimentale, ed è molto più fluido come modalità relazionale. Ci sono vari modi di “comporre” una relazione poliamorosa, per questo si parla in modo simpatico di “polecole”: sono tutte diverse l’una dall’altra e alcune sono molto complesse! E non è comunque detto che tutty debbano interagire o innamorarsi di tutty. La cosa fondamentale è comunque che si sta parlando di sentimenti, di amore, e di relazioni, e soprattutto di consenso. Si chiamano non monogamie consensuali per questo! 😉

(Non so se sono stata chiarissima in questa risposta).

 
Donatella Quattrone: Sei stata chiara. Come consideri il rapporto tra il movimento del poliamore e la comunità Lgbtqia+?

Hello_Policose: Penso sia un rapporto in evoluzione. Molte persone della comunità LGBTQIA+ sono anche parte della comunità poliamorosa, mentre molte altre no. Tra queste ultime, una parte (non so quanto significativa) ha alcune visioni un po’ radicali, ne cito un paio per capirci: 1) chi crede che la monogamia sia la norma e l’unico tipo di relazione valida (mononormatività) 2) chi non pensa che le persone poliamorose dovrebbero essere considerabili queer e, per esempio, partecipare al Pride (specialmente se sono eterosessuali!). I due punti non si escludono mutuamente, perciò qualcun@ sostiene entrambe le cose.
Fatta eccezione per queste “polemiche”, le due comunità si intersecano spesso e condividono il minority stress, ovvero il fatto di essere soggette a discriminazioni, stigma, patologizzazioni. Anche per questo sarebbe essenziale far fronte comune per la stessa causa, senza per questo smettere di legittimare le diverse identità.

Donatella Quattrone: Cosa si potrebbe fare, secondo te, per contrastare fenomeni come slutshaming e polishaming?

Hello_Policose: Oltre all’educazione affettiva e sessuale nelle scuole ed in famiglia, secondo me è necessario un movimento dal basso (che sta già avvenendo), una nuova rivoluzione sessuale che porti una narrazione diversa, incentrata sulla sex positivity, che smetta di interpretare i corpi e le libere scelte su di essi come qualcosa di giudicabile moralmente o di patologizzabile.
Una libertà consapevole, informata, dove ognun@ è soggetto e non oggetto passivo o vittima impotente. Una quotidianità dove i ruoli di genere vengono messi in discussione, dove gli stereotipi culturali perdono potere.
Per essere parte di questa rivoluzione penso che prima di tutto sia necessaria la forza di sopportare le conseguenze della ribellione… una forza che non è scontata, e averla è un privilegio, ricordiamocelo, perché questa è una battaglia contro un sistema potente, che non possiamo pensare di vincere in campo aperto. Quella che sta avvenendo attualmente è una guerriglia: sono piccoli sabotaggi, estenuanti, che molte persone stanno portando al sistema. Ad esempio, la rivendicazione della parola “puttana” come attributo positivo di una donna libera sessualmente e felice di godere è uno dei tanti modi che alcun@ attivist@ stanno usando per portare l’attenzione sullo slut shaming, sull’oggettificazione dei corpi femminili, sullo stigma che colpisce il mondo dell@ sex workers, sul problema che la società ha ancora con una persona che si dichiara libera di fare ciò che vuole con chi vuole.
Sembra una piccola cosa, ma è un ottimo innesco per aprire un discorso più ampio e complesso, e portare a farsi domande sul perchè le cose stiano come stanno.
Donatella Quattrone: C’’è qualcosa che vuoi aggiungere al termine di quest’intervista?

Hello_Policose: Ti ringrazio per le domande estremamente stimolanti. Vorrei aggiungere una riflessione sulla potenza dei social, che se usati bene portano davvero dei cambiamenti incredibili nelle vite dei singoli e anche – perché no – nella società.
La rete di attivist@ di cui ho parlato è in espansione e io non la vivo solo come una realtà virtuale. Sono persone vere, che spendono tempo (unica cosa che ci appartiene davvero, come dice Seneca) e grande energia per fare divulgazione. La maggior parte sono molto giovani e competenti, fanno letture impegnative, si mettono in gioco per dialogare e imparare da chi capita sulla loro pagina. Tutto questo mi riempie il cuore di gioia e onestamente mi dà molta fiducia nel futuro, perché prima di entrare a far parte di questa fetta di mondo mi sentivo un po’ una specie di Don Chisciotte senza speranza, oltre che priva di mezzi e incapace di sentirmi un agente efficace di cambiamento anche nel mio piccolo. Ora avverto la potenza di questo metterci la faccia, tutty insieme, e di non stare in silenzio o indifferenti di fronte alle cose ingiuste. Su di me, personalmente, tutto questo ha avuto un effetto terapeutico. Il mio augurio è che possa averlo per chiunque altr@ in questo momento si sente sol@ e scoraggiat@ come la sono stata io.

Grazie ancora per l’intervista,

Dott.ssa Dania Piras

Donatella Quattrone: grazie a te per la disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

D. Q.

Poliamore e non monogamie etiche: ne parlo con un’attivista

Io: Ciao, Car. Sono Donatella. Grazie per aver accolto la mia richiesta di un’intervista.

Car: Ciao, Donatella.

Io: Da quanto tempo sei un’attivista?

Car: Se si parla di attivismo nel senso più ampio del termine, credo di essermi resa conto di volermi unire alle voci delle persone meno privilegiate più o meno all’età di 15 anni, in quanto donna femminista e appartenente alla comunità LGBT+. All’inizio mi limitavo a condividere esperienze e parlare di femminismi e tematiche queer alle persone che mi stavano attorno. Verso i 18 anni ho cominciato a prendere parte a cortei e iniziative e una volta all’università mi sono unita prima ad associazioni e poi a collettivi politici autogestiti, percorso che seguo ancora oggi. Polycarenze nasce invece nell’aprile 2019, dalla necessità di parlare da persona giovane a* giovan* (ma non solo) della realtà poliamorosa che vivo, e in generale delle non monogamie etiche, della sessualità alternativa e delle identità sessuali non normate, considerate mostruose, fuori dai binari e di conseguenza invisibilizzate.

Io: Su Instagram ti occupi di poliamore e non monogamie etiche. I due termini sono sinonimi o la sigla NME è uno spettro in cui collocare diversi modi di vivere relazioni non monogame, fermo restando il consenso tra tutti i soggetti coinvolti?

Car: Il poliamore è solo una sfumatura delle tante non monogamie etiche che rappresentano un termine ombrello per tutti gli orientamenti relazionali che coinvolgono l’interazione emotiva tra più persone con il consenso di tutt* i/le coinvolt*. Mi identifico come persona poliamorosa per una questione principalmente politica, perché il termine poliamore è ad oggi il più conosciuto e rappresentato dai media (anche se con alcune difficoltà e criticità), ma in realtà mi sento molto vicina anche all’anarchia relazionale.

Anarchia relazionale, relazioni aperte, scambismo, sono altre forme di non monogamie etiche.

Io: In caso di relazioni miste, cioè persone non monogame che instaurano un rapporto con persone monogame, le dinamiche relazionali, secondo la tua opinione o eventuale esperienza, sono più complesse?

Car: Sono convinta che sia possibile instaurare relazioni mono-poly: la mia relazione attualmente più duratura è cominciata così. Il mio partner prima di intraprendere una relazione con me si identificava come monogamo, perché monogame erano state tutte le sue precedenti relazioni. Nonostante ciò, si è messo in ascolto e ha scelto di cominciare insieme a me questo nuovo percorso che non conosceva, perché a detta sua non aveva senso dire di no a qualcosa di nuovo senza mai averlo provato. Sicuramente ci sono delle difficoltà e spesso noto che la parte poly si ritrova un po’ a fare da “mentore”, soprattutto durante i primi tempi, e a dover gestire insicurezze e paranoie dovute alla novità e al cambio di schema relazionale che magari con una persona poly sarebbero state di minore impatto. Molto spesso le persone poliamorose rifiutano relazioni monogame perché le hanno già sperimentate e sono quindi a conoscenza del fatto che la monogamia non sia l’orientamento relazionale fatto per loro, cosa che invece non accade per la maggior parte delle persone monogame che sentono per la prima volta il termine “poliamore” e hanno idee confuse a riguardo. E’ molto facile che una persona poly desideri relazionarsi con una persona monogama, considerando il fatto che nella maggior parte delle città ancora non esistono gruppi di supporto per persone NME, quindi ci si trova per forza in questa situazione controversa e c’è bisogno di gestirla nel migliore dei modi per evitare che nessuna delle due parti si senta costretta ad intraprendere una relazione forzata. Con questo ovviamente non voglio affermare che tutte le persone monogame dovrebbero provare il poliamore prima di dire che non fa per loro: l’orientamento relazionale è simile a quello sessuale. “Se non ce n’è, non ce n’è”, e va bene così, ognun* per la propria strada.

 Io: Come consideri il rapporto tra il movimento del poliamore e la comunità Lgbtqia+?

 Car: Considero il poliamore parte della comunità LGBTQIA+ dal momento in cui rientra nelle minoranze non normate relative all’identità sessuale, quindi quella parte della nostra identità che comprende sesso biologico, identità di genere, orientamento sessuale, espressione di genere e orientamento relazionale. Ci sono scetticismi da parte di alcune persone queer perché una persona poly può essere un uomo bianco cisgender ed eterosessuale e quindi la domanda che sorge spontanea è: può far parte della comunità? O è solamente un alleato? è sicuramente un dibattito interessante, perché sicuramente un uomo cis etero e poly non subisce le discriminazioni che magari subisce una donna della stessa comunità. Si pensi solo allo slut shaming. Gli stessi miei partner uomini raccontano che spesso la prima reazione dei loro amici è una pacca sulla spalla perché “Grande, rimorchi tantissimo”. Il punto è che questa non può essere altro che, per l’appunto, una prima reazione portata avanti da persone che del poliamore hanno un’idea errata. Le non monogamie etiche sono talmente tanto marginalizzate e poco rappresentate che nel momento in cui un uomo cisgender ed etero si trova a spiegare esattamente in cosa consistono, e quindi a parlare di tutto ciò che va oltre l’aspetto sessuale, le domande e i giudizi che riceve sono tendenzialmente simili a quelli che potrebbe subire una donna, slut shaming a parte. Sebbene il patriarcato abbia un ruolo predominante per la maggior parte delle discriminazioni che le minoranze subiscono, in questo caso viene direttamente attaccata l’intera comunità. Che tu sia un uomo cis, una donna cis, una persona trans* o non binaria, sarai comunque considerata una persona poco seria, incapace di amare, facile, senza desiderio di impegnarsi.

Dato che quindi il discorso su chi può rientrare all’interno o meno della comunità sembra essere incentrato su chi è più o meno discriminat*, viste le circostanze io penso che la cosa migliore sarebbe fare rete tutt* assieme, perché la comunità LGBT+ potrebbe davvero dare una mano a quella NME e viceversa. Gira e rigira, l’oppressore è lo stesso.

Io: Cosa risponderesti a chi pensa che tutti i poliamorosi siano necessariamente bisessuali o che siano solo persone fissate col sesso e in particolare con quello di gruppo? 

Car: Ci sono alcune persone non monogame che amano fare sesso di gruppo, così come ci sono persone poliamorose e bisessuali. Il punto è che una questione non implica per forza l’altra. Posso essere appassionat* di orge ed essere monogam*, così come posso essere una persona poly ed essere asessuale e sex repulsed! Non esiste alcuna associazione tra l’essere bisessuale, l’essere poly e l’amare il sesso di gruppo. Sono stereotipi che danneggiano la comunità e la riducono ad un solo elemento, il sesso, che può esserci o può non esserci. All’interno della comunità non monogama, però, è facile trovare persone con orientamenti non monosessuali (bisessuali, pansessuali, poli e omnisessuali) come è facile trovare persone che praticano BDSM. La motivazione che mi dò rispetto a ciò, è semplicemente relativa al fatto che nel momento in cui ci si approccia ad una comunità molto “ghettizzata” come quella non monogama, che richiede comunque una buona dose di apertura ed elasticità mentale per essere compresa e accettata, alcuni schemi binari e normati tendono un po’ a cadere, e vengono sostituiti da alcuni più fluidi.

Io: Cosa ti sentiresti di dirmi su poliamore e genitorialità?

Car: Non sono genitrice, quindi non posso riportare un’esperienza diretta. Conosco però alcuni polygenitori e ho ascoltato diverse storie di persone poly con figl*. Si può fare e anche bene. Anzi, vedo solo vantaggi a riguardo: un bambin* circondato da più adult* può avere accesso a diversi punti di vista e ricevere un’educazione completa e un maggiore senso di protezione in tenera età. Per di più, sono dinamiche che già si vedono tutti i giorni: ci sono famiglie dove amici dei genitori, nonni, zii e parenti sono all’interno dello stesso nucleo familiare. A volte vivono sotto lo stesso tetto o comunque si vedono spesso, si aiutano e tutt* contribuiscono alla crescita del bambin*. Cosa ci sarebbe di tanto diverso da una triade, o da una relazione con più partner? Il figli* crescerà sin da piccolo con l’idea che non esista solo una forma d’amore e personalmente non vedo come questo potrebbe essere un problema, anzi. Dal punto di vista legale invece, siamo ancora troppo indietro per parlarne e pensare a soluzioni, perlomeno in Italia.

Io: In che modo la pratica dello scambismo ha a che fare con le non monogamie etiche?

Car: Lo scambismo fa parte delle non monogamie etiche dal momento in cui c’è un’interazione emotiva tra più partner consenzienti. Ne ho parlato recentemente sulla mia pagina, mi piacerebbe che si smettesse di associarlo alla pura trasgressione.

 

Io: E’ vero che anche le persone poliamorose possono provare gelosia all’interno delle loro relazioni, né più né meno delle persone monogame?

Car: Certo, le persone poliamorose possono provare gelosia. Siamo esseri umani e viviamo in una società figlia della cultura del possesso, e chi più chi meno, ci portiamo appresso schemi difficili da eliminare totalmente. Provare gelosia non è un problema.Trovo che diventi problematico nel momento in cui la gelosia diventa parte della propria identità personale (“Sono una persona gelosa, punto”) perché chiudersi all’interno di uno schema rigido non permette di accedervi facilmente e lavorarci sopra.  La gelosia cosiddetta “tossica” non dovrebbe appartenere ad alcun orientamento relazionale, monogamia inclusa. Ritengo che affermazioni come “Sei mia/o, sei tutta la mia vita, non vivo senza di te, nessun* ti deve guardare o apprezzare, se non è gelos* vuol dire che non ti ama” e tutto ciò che porta a considerare due persone come la metà dell’altr* siano pericolose sempre e comunque. La gelosia va bene nel momento in cui è possibile razionalizzarla, in modo da non utilizzare l’altr* come pungiball per le nostre paure e insicurezze. Dovremmo chiederci da dove proviene, perché proviene, scavarne le radici.

Io:  Mi spieghi cosa s’intende con il termine compersione?

Car: Con compersione si intende un mix di sensazioni comprendenti gioia, felicità e benessere provate nel momento in cui si vede l* propri* partner interagire ed essere  felice con un altr* partner.

Io: E con il termine anarchia relazionale?

Car: L’anarchia relazionale è una forma di non monogamia etica che consiste nel considerare le relazioni come fluide, esenti da qualsiasi schema amatonormativo (as possible and pratictable). Un classico esempio è l’uso del termine partner come termine neutro, in risposta alla microcategorizzazione delle relazioni che spesso sono poste in ordine di importanza (prima quelle romantiche, poi quelle sessuali, poi tutto il resto) e all’uso di termini come scopamic*, fidanzat*, amic* occasionale di letto, ragazz*, etc).
Io: Cosa si potrebbe fare, secondo te, per contrastare il polishaming e fare in modo che ci siano meno discriminazioni verso la comunità poli?

Car: Rete, rete, rete, informazione, informazione, informazione, divulgazione, rappresentazione sempre più frequente nei media, presa di posizione politica nelle piazze da parte delle persone poly.

Io: Mi racconti brevemente la storia della vostra bandiera? 

Car: La bandiera poliamorosa è fatta da tre strisce orizzontali dall’alto verso il basso di colore blu, rosso, nero e in mezzo un pi greco, oppure un cuore con l’infinito di colore oro.Il blu rappresenta la trasparenza e l’onestà tra tutt* i/le coinvolt*, la rossa simboleggia l’amore e la passione, la nera è per solidarietà a chi è in una relazione NME ma si trova costrett* a nascondere le proprie relazioni. Il pi greco ha diversi significati. C’è chi lo interpreta come semplice lettera iniziale della parola Poliamore. Io preferisco pensarlo come numero irrazionale, come l’amore. Il colore oro invece rappresenta l’importanza che viene data all’emotività dei rapporti.
Io: C’è qualcosa che vuoi aggiungere al termine di questa intervista e/o lanciare un appello a chi la leggerà?

Car: Sicuramente di seguire @polycarenze e sostenere il mio progetto di divulgazione, e poi di esprimere gratitudine verso le persone appartenenti alle minoranze che si mettono in gioco per fare informazione nonostante ci siano effettivamente dei rischi (soprattutto in alcune parti del mondo)e restare in ascolto se non si conosce una tematica. Abbiamo bisogno di più alleat* e meno giudizi.

Io: Ti ringrazio per la tua disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato. Buon proseguimento!

 

D. Q. 

 

Bandiera del poliamore (da https://www.wikisessualita.org/)

 

Intervista ad un’attivista aroace su asessualità e afobia

Oggi ho contattato un’attivista aroace che mi ha concesso un’intervista.
Di seguito il testo:
“Io: La pagina è gestita da un collettivo o da una persona singola?
stop.afobia_ita: La pagina è gestita solo da me (sono donna).
Io: Sei un’attivista asex, aroace? Come definisci il tuo impegno?
stop.afobia_ita: Sono un’attivista aroace (precisamente gray-A, cioè non provo né attrazione sessuale né romantica, se non in particolari e rare circostanze), gestisco due pagine: “Aroaceitalia”, che si occupa di trasmettere visibilità, consapevolezza e informazione positiva sull’asessualità e sull’aromanticismo; “L’afobia esiste”, il cui scopo è quello di sensibilizzare le persone all’esistenza dell’odio e delle discriminazioni nei confronti delle persone aro/ace.
Io: Ti va di descrivere brevemente le diverse sfumature all’interno dello spettro dell’asessualità?
stop.afobia_ita: Le sfumature dell’asessualità si dividono in due categorie: quelle per orientamento sessuale e quelle per comportamento sessuale.
Quelle per orientamento sessuale ci dicono quanto spesso l’asessuale prova attrazione sessuale o se questo accade in particolari circostanze. “Graysessualita’ “è un termine-ombrello che si utilizza per definire tutta l’area grigia dello spettro dell’asessualità, una delle cui sottocategorie è la famosa “demisessualità”, che consiste nel non provare attrazione sessuale finché non si ha un coinvolgimento emotivo con una determinata persona.
Quelle per comportamento sessuale indicano che rapporto ha l’asessuale con la sessualità: gli asessuali sex-repulsed sono totalmente repulsi dal sesso; gli asessuali sex-indifferent sono indifferenti rispetto agli atti sessuali; gli asessuali sex-favorable farebbero o avrebbero rapporti sessuali volentieri, ma comunque il sesso non è per loro un interesse primario.
C’è, inoltre, una differenziazione tra gli asessuali con una con una libido alta o bassa.
Io: Come gestisci il tuo orientamento sessuale nelle relazioni sentimentali?
stop.afobia_ita: Gestire il mio orientamento sessuale (così come quello romantico) è assai difficile, tanto da farmi preferire una vita da single.
Sono sex-favorable, a volte mi è capitato di avere delle esperienze sessuali positive, anche grazie al fatto che provavo attrazione sessuale per la persona con cui le ho intrattenute, ma si è trattato di una rarità, dell’eccezione che conferma la regola.
Io: In quali circostanze capita più spesso di subire afobia?
stop.afobia_ita: Generalmente succede dopo un coming out o quando si parla di questi argomenti dal vivo o su internet. L’asessualità e l’aromanticismo, non essendo sempre così evidenti, hanno bisogno di venire allo scoperto per essere discriminate.
Io: Gli asessuali sono ormai parte integrante della comunità Lgbtqia+, come si evincerebbe dalla stessa sigla.  E’ sempre così o c’è discriminazione e/o emarginazione anche all’interno della comunità? Se sì, quanto è frequente?
 
stop.afobia_ita: ebbene, come detto da te, ormai la maggior parte delle associazioni LGBT+ ci includa nella comunità, c’è comunque una buona parte di singole persone appartenenti alla comunità che non sono per niente favorevoli alla nostra inclusione e che ci discriminano. Ne sono un chiaro esempio attivisti come Francesco Mangiacapra (che definisce l’asessualità come un disturbo simile a pedofilia, zoofilia e necrofilia curabile con lo stupro), Giovanni Dall’Orto (che ci ritiene privilegiati per via della nostra presunta “castità”, che ci porterebbe a essere santificati dalla Chiesa; sostiene anche che l’asessualità non avrebbe senso di esistere perché è una negazione della sessualità); Iconize (che ha descritto noi asessuali come dei gay con un problema).
Ultimamente c’è anche una corrente del femminismo radicale lesbico e bisessuale che tende a escluderci e discriminarci appellandosi ai principi radicali. Questa corrente viene denominata “aerf” (aroace exclusionary radical feminism).
Io: Alcune di queste discriminazioni mi sembrano quantomeno discutibili. Come si pone il resto della comunità Lgbtqia+ in proposito?
stop.afobia_ita: La parte della comunità che ci supporta si schiera contro queste discriminazioni (per esempio, Arcigay ha inserito l’afobia nella campagna contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, parlando proprio delle posizioni prese dal sedicente attivista Francesco Mangiacapra), al contrario gli “esclusionisti” le considerano come una sciocchezza in confronto a ciò che hanno passato e passano tuttora le persone appartenenti alle prime quattro lettere della sigla. Secondo loro, non siamo abbastanza oppressi per essere parte della comunità.
Io: Che mi dici del Collettivo Asessuale Carrodibuoi? Ne esistono altri simili in Italia?
stop.afobia_ita: Il Collettivo Asessuale Carrodibuoi è l’unica associazione interamente dedicata all’asessualità esistente in Italia e si occupa, anch’essa, di trasmettere informazione sulle varie sfaccettature del tema in questione.
Io: Che tu sappia, all’estero c’e’ la stessa discriminazione nei confronti degli aroace?
stop.afobia_ita: Ovunque si parli di asessualità o aromanticismo e le persone aroace facciano coming out, purtroppo il trattamento è lo stesso. Probabilmente nelle nazioni in cui l’emancipazione della donna non è ancora arrivata ai livelli dell’Occidente la situazione potrebbe essere ben peggiore per le donne asessuali, ma anche per gli uomini, anch’essi vittime del patriarcato.
Io: Se il ddl Zan fosse approvato, secondo te, migliorerebbe la situazione di voi attivisti aroace fuori e dentro la comunità Lgbtqia+?
stop.afobia_ita: La nostra situazione potrebbe migliorare leggermente, ma non del tutto, purtroppo la strada è ancora tanta da fare. Non c’è abbastanza consapevolezza sull’asessualità e sull’aromanticismo, non vengono neanche visti come orientamenti veri e propri dalla maggior parte delle persone, quindi, secondo queste, non dovrebbero essere contemplate dal ddl Zan.
Io: In Italia ci sono associazioni di psicologi che vi sostengono?
stop.afobia_ita: No e spesso anche gli psicologi LGBT-friendly non sono informati dell’esistenza dei nostri orientamenti, molte persone aroace hanno avuto esperienze molto negative con professionisti della salute mentale che hanno patologizzato la loro asessualità e il loro aromanticismo. Tuttavia ci sono anche molti psicologi interessati a studiare questi temi e a portare un po’ di informazione, posso fare il nome della dottoressa Giulia Alleva, la quale, con il mio aiuto, ha compiuto degli studi sul tema o del dottor Antonio Prunas, che ha diffuso informazioni corrette sul tema.
Io: Quali altri tipi di attrazione esistono oltre a quella sessuale e a quella romantica che possono essere provati da una persona asex?
stop.afobia_ita: Lo SAM (Split Attraction Model) divide i tipi di attrazione in due gruppi: l’attrazione fisica e quella emotiva. Dell’attrazione fisica fanno parte:
-l’attrazione estetica, il desiderare di guardare una persona perché si trova piacevole il suo aspetto;
-l’attrazione sensoriale, il desiderare di avere un contatto non sessuale con una persona (baci, abbracci, coccole);
-l’attrazione sessuale, cioè il desiderare di avere un contatto sessuale con una persona.
Dell’attrazione emotiva fanno parte:
-l’attrazione platonica, il desiderio di instaurare una profonda amicizia con una persona;
-l’attrazione romantica, il desiderio di instaurare una relazione romantica con qualcuno;
-l’attrazione alterous, un tipo di attrazione emotiva diverso sia dall’attrazione platonica che da quella romantica.
Le persone asessuali possono sperimentare tutti i tipi di attrazione eccezion fatta per quella sessuale, lo stesso vale per gli aromantici con l’attrazione romantica.
Aggiungo che, solitamente, l’attrazione alterous è prerogativa degli aromantici.
Io: Conosci persone aroace nonbinary? Se sì, sono meno discriminate all’interno della comunità Lgbtqia+?
stop.afobia_ita: Durante il mio percorso da attivista ho avuto modo di conoscere diverse persone non-binary. Si tratta di persone doppiamente discriminate sia dentro che fuori dalla comunità LGBTQ+, poiché anche le persone enby sono molto malviste dalle prime quattro lettere. Spesso queste persone, che non rientrano nella divisione di genere binaria e che non provano né attrazione sessuale né romantica sono disumanizzate, trattate come delle piante o dei robot.
Io: Secondo te una persona aroace può essere sex positive e perché?
stop.afobia_ita: La sex-positivity consiste nell’avere un’opinione positiva della sessualità, nel vederla come un qualcosa di sano e di piacevole, se fatto tra persone consapevoli e consenzienti. Io mi ritengo sex-positive e penso che tutte le persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere, dovrebbero esserlo.
Io: Mi accenni brevemente alla storia della vostra bandiera?
stop.afobia_ita: All’inizio si utilizzava principalmente il triangolo dello spettro asessuale di AVEN (il maggior portale d’informazione internazionale sull’asessualità). Nel 2010 è stata proposta su AVEN stesso quella che è l’attuale bandiera asessuale, composta da quattro strisce orizzontali: una nera (a indicare l’asessualità), una grigia (per la graysessualità e la demisessualità), una bianca (per i partner allosessuali, cioè non-asessuali) e, infine, una viola (che sta a significare “comunità”).
 
Io: Ti ringrazio molto per per le tue risposte esaustive. Vuoi chiudere quest’intervista con un’ulteriore riflessione o appello per chi la leggerà?
stop.afobia_ita: Ringrazio te per avermi dato quest’opportunità. L’unica cosa che voglio aggiungere riguarda la petizione che ho creato alcuni mesi fa. Il suo scopo è quello di far aggiungere nella Treccani i termini “asessuale”, “aromantico” e “afobia” e le rispettive definizioni corrette. La risposta che ho ricevuto da parte dei destinatari della petizione è che, per ora, ufficializzeranno solo il primo, poiché ci sono abbastanza attestazioni nei media. È un traguardo molto importante per la comunità asessuale, finalmente esisteremo, secondo la lingua italiana. La petizione rimane aperta, per chi volesse firmarla e condividerla. Perciò, ciò che chiedo a chi leggerà, è di parlare più spesso di aromanticismo e di afobia soprattutto su internet: se in futuro ci saranno maggiori riconoscimenti per questi termini, potrebbero venire inseriti anch’essi nella Treccani.
Io: Ancora grazie per tutte le informazioni. Buon attivismo!
stop.afobia_ita: Grazie a te e buon lavoro!”
D. Q.
Qui la petizione citata nell’articolo:
Bandiera asessuale
La bandiera asessuale (dal sito https://www.carrodibuoi.it/)
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Una città del Massachusetts ha riconosciuto le unioni poliamorose

A Somerville, Massachusetts, il consiglio comunale ha approvato all’unanimità il riconoscimento del poliamore come forma di convivenza. Con poliamore si indica una relazione di tipo amoroso dove la consensualità tra i partner permette di avere contemporaneamente più rapporti di tipo affettivo-intimo-erotico e sessuale, in armonia e rispetto reciproco.

Come osservato dal presidente del consiglio cittadino l’emergenza Coronavirus ha indotto a ripensare il concetto di “domestic partnership”, che negli Stati Uniti indica la convivenza tra persone non sposate alle quali vengono riconosciuti alcuni benefici come ad esempio il diritto di visita in ospedale e di assicurazione sanitaria.

Inizialmente elaborata in termini di relazione tra due persone è stata ampliata il più possibile proprio per renderla maggiormente inclusiva. Si ritiene che la città sia la prima negli Stati Uniti a riconoscere le relazioni in cui siano coinvolte più di due persone.

Come accennato, tale riconoscimento è stato necessario per consentire a tutte le persone coinvolte in una relazione diversa dal matrimonio di poter usufruire dell’associazione sanità del proprio partner, in un periodo di emergenza quale quello che stiamo vivendo. Com’è ovvio la decisione ha incontrato la resistenza dei conservatori ma anche delle stesse compagnie assicurative che molto probabilmente faranno ostruzionismo a tale riconoscimento.

 

Fonte:

https://www.neg.zone/2020/07/03/massachusetts-poliamore/

 

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Amnesty International lancia la campagna #IOLOCHIEDO “Il sesso senza consenso è stupro”

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