Altro aggiornamento sulla strage a Barcellona: il killer è stato ucciso. 15 i morti nell’attentato

Barcellona, il killer è stato ucciso. 15 i morti nell’attentato, tutti identificati

Alle indagini collabora uno dei terroristi fermati ad Alcanar

Il killer di Barcellona Younes Abouyaaqoub è stato abbattuto dalla polizia catalana a Subirats: dopo le indiscrezioni della tv pubblica Rtve, la conferma arriva dall’agenzia spagnola Efe che cita fonti dell’antiterrorismo. Younes Abouyaaqoub indossava una finta cintura esplosiva. Lo riferisce la Efe che cita fonti della polizia catalana.

Il ministero degli Interni catalano ha confermato che l’uomo abbattuto a Subirats è il ricercato Younes Abouyaaqoub, il killer che ha guidato il furgone della morte sulla Rambla, riferisce El Periodico online.

Il bilancio ufficiale delle vittime degli attentati jihadisti di Barcellona e Cambrils la settimana scorsa è di 15 morti. Lo ha detto il ministro degli Interni catalano, Joaquim Font. La polizia ha infatti stabilito che Pau Perez, il giovane trovato morto all’interno di un’auto che aveva forzato un posto di blocco sulla Meridiana poco dopo la strage della Rambla, è stato ucciso dal terrorista Younes Abouyaaqoub, in fuga dopo l’attentato. Tutte le 15 vittime degli attentati di Barcellona e Cambrils sono state identificate ufficialmente. Sono sette donne e otto uomini. Sei morti sono cittadini spagnoli, tre italiani, due portoghesi, uno belga, uno statunitense, uno canadese e uno con doppia nazionalità australiana e britannica, il piccolo Julian Cadman.

Sono state pubblicate stamane dai media spagnoli le prime immagini del terrorista marocchino Younes Abouyaaqoub in fuga dopo la strage sulla Rambla. El Pais online (LEGGI L’ARTICOLO)  pubblica tre foto del jihadista mentre si allontana dal luogo dell’attentato a piedi, con indosso gli occhiali da sole, attraverso il mercato de La Boqueria, vicino al punto dove il furgone della strage si è schiantato contro un’edicola dopo avere travolto la folla.

L’Audi A3 utilizzata per l’attacco terroristico a Cambrils era stata fotografata da un autovelox, nella regione parigina dell’Ile-de-France, circa una settimana prima degli attentati. Lo rende noto Le Parisien, sottolineando che “secondo fonti concordanti, al momento le indagini non hanno stabilito nessun legame operativo con la Francia”. “Potrebbe trattarsi di un semplice transito su un tragitto più lungo” scrive il quotidiano. L’informazione proviene dalla cooperazione tra forze dell’ordine organizzata “a livello europeo per identificare eventuali complici” afferma il giornale parigino. Bfmtv ha affermato che la macchina è immatricolata in Spagna e non risulta essere stata affittata o rubata.

Uno degli arrestati della cellula jihadista che ha colpito Barcellona sta collaborando con gli inquirenti fornendo nomi e movimenti del commando e sul ruolo chiave dell’imam Abdel Baki Essati. E’ quanto rivela stamane Repubblica. “L’uomo – scrive il quotidiano – si chiama Mohamed Houli Chemlal, ha 21 anni, è originario di Melilla ed è l’unico sopravvissuto all’esplosione del covo della cellula ad Alcanar”. Secondo quanto riferisce Repubblica, “solo Mohamed sapeva chi e quanti uomini fossero all’interno di quella casa al momento dell’esplosione. Solo lui era in grado di ricordare che fossero tre, oltre a lui. Al punto da indirizzare il lavoro della Scientifica tra cumuli di macerie e lamiere di bombole divelte (ne erano state ammassate 120) alla ricerca di ciò che restava di brandelli carbonizzati appartenenti, appunto, a tre corpi diversi. Di cui Mohamed ricorda bene l’identità, tanto da far dire ufficialmente alla Polizia catalana che già ora, nonostante non siano stati ancora completati gli esami del Dna, almeno due dei tre uomini attualmente ricercati, sono sicuramente ciò che resta dei resti umani trovati ad Alcanar”. “Per tre giorni – prosegue ancora il quotidiano che cita una qualificata fonte di Intelligence – la collaborazione di Chemlal è stato uno dei segreti meglio custoditi dall’indagine. Al punto che, per oltre 36 ore, nonostante figurasse tra gli arrestati, non era stata rivelata neppure la sua identità. Ora, quel segreto cade e, domani, martedì, comparirà a Madrid di fronte ai giudici istruttori antiterrorismo dell’Audienca Nacional assieme agli altri arrestati perché i suoi verbali di polizia entrino formalmente nel fascicolo dell’indagine sulla strage della Rambla”.

Sta per partire da Roma, dall’aeroporto di Pratica di Mare, l’aereo militare predisposto dall’Unità di Crisi della Farnesina che porterà in Italia le salme di due delle tre vittime italiane dell’attentato a Barcellona: Luca Russo e Bruno Gulotta. Lo si apprende da fonti della Farnesina. Le procedure di rientro, sottolineano le stesse fonti, hanno avuto un’accelerazione anche grazie alla missione del ministro degli Esteri Angelino Alfano ieri a Barcellona. Durante la missione, il ministro ha incontrato, oltre al suo omologo – il ministro spagnolo Dastis – le famiglie delle vittime e ha fatto visita alla connazionale ferita, Marta Scomazzon. Il Boeing dell’Aeronautica militare, secondo quanto si è appreso, dovrebbe decollare da Pratica di Mare poco dopo le 18.30 per rientrare a Roma, a Ciampino (e non a Pratica, come si era appreso in un primo momento) intorno alle 23.30. Poi le salme verranno trasferite al policlinico Gemelli per l’esame disposto dalla procura. Quindi nuovo trasferimento a Ciampino e partenza per Verona

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Gabriele Del Grande è libero, festa in Toscana. “Darà ancora voce agli ultimi”

La Turchia rilascia il giornalista e blogger. Che ha raggiunto l’Italia atterrando a Bologna

Ultimo aggiornamento:

La felicità di Gabriele Del Grande al suo arrivo a Bologna

Gabriele Del Grande al suo arrivo a Bologna (LaPresse)

Panicagliora (Pistoia), 24 aprile 20137 – Gabriele Del Grande è libero e la Toscana tira un sospiro di sollievo. Il blogger e giornalista, che era stato arrestato in Turchia nei giorni scorsi, è stato liberato e nella mattinata di luned’ì 24 aprile ha potuto raggiungere l’Italia, con un volo atterrato a Bologna. Una notizia che ha fatto rapidamente il giro di Panicagliora, il paese in provincia di Pistoia dove risiedono i genitori di Gabriele, originari di Lucca. Che proprio nella prima mattinata di lunedì sono partiti per l’aeroporto di Bologna, per andare ad abbracciare il figlio.

Scene di gioia nella zona degli arrivi dello scalo bolognese quando Gabriele è spuntato dalla porta. Un abbraccio con i genitori e con la compagna, Alessandra D’Onofrio. Il ristorante di famiglia è rimasto chiuso tutta la mattina. Un cartello dava la notizia della liberazione di Gabriele e del viaggio a Bologna dei proprietari, i genitori appunto. Che sono rientrati a Panicagliora nel pomeriggio.

«Il ferro si tempra nella fucina, nel fuoco, nella sofferenza. Gabriele è tosto. Se prima aveva voce, adesso ne ha più di prima, e ha più voglia di dar voce a chi non ha voce. È il Gabriele di sempre, ora forte più che mai», dicono gli stessi genitori. E aggiunge la madre che Gabriele ripartirà. «Certo è libero, può fare quello che ritiene», ha detto, confermando così che la famiglia ha sempre appoggiato le attività del blogger toscano e continuerà a farlo «anche dopo questo momento altamente emotivo».

«Ci stavamo dando da fare – dicono i genitori riferendosi ai cupi momenti della prigionia – non lo avremmo lasciato lì. Ci hanno fatto un bel regalo», dicendo poi: «Purtroppo ci sono troppi giornalisti fermi là nelle carceri, non ci si dimentica degli altri». In aeroporto «il primo abbraccio è stato per la moglie, le prime parole per i figli». «Era il Gabriele di sempre, ha scherzato sul fermo». Gabriele Del Grande non ha raggiunto Panicagliora. Terrà infatti una conferenza stampa, nella giornata di mercoledì 25 aprile a Roma, alla sede della Stampa Estera. Ma intanto può rilassarsi e lasciare alle spalle giorni molto duri. La prima cosa che si è concesso, un pranzo tipicamente italiano con la famiglia, tra antipasti toscani e pasta.

“Abbiamo riportato a casa Gabriele – ha detto intanto il ministro Alfano -. Missione compiuta, ringrazio il governo turco perche’ anche nei momenti di massima tensione non abbiamo mai perso il contatto. Ci hanno segnalato che dovevano fare degli accertamenti e li hanno fatti”.

Gabriele Del Grande all'aeroporto di Bologna

Gabriele Del Grande all’aeroporto di BolognA

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http://www.lanazione.it/cronaca/gabriele-del-grande-libero-1.3063291

Aggiornamenti sulla strage di capodanno a Istanbul

Turchia: strage in night club a Istanbul, 39 morti e 69 feriti. Tra le vittime 24 stranieri

Terrorista in fuga, ombra dell’Isis

Il terrorismo colpisce la Turchia nella notte di Capodanno: è di almeno 39 morti e 69 feriti l’ultimo bilancio ufficiale di un attacco avvenuto in una famosa e affollatissima discoteca di Istanbul, non ancora rivendicato ma le cui caratteristiche fanno pensare a un attentato a firma Isis. IL VIDEO, TERRORISTA RIPRESO DURANTE L’ATTACCO

L’attentatore del nightclub Reina di Istanbul non indossava il costume di Babbo Natale, come riferito finora da alcune testimonianze, e ha lasciato la pistola prima di fuggire. Lo ha detto il premier turco, Binali Yildirim.

E nel pomeriggio un uomo armato ha sparato davanti ad una moschea di Istanbul ferendo almeno due persone prima di fuggire. Lo riferiscono i media locali. La sparatoria è avvenuta nel quartiere di Sariyer.

C’era anche un gruppo di giovani italiani nel nightclub, secondo quanto riporta la tv locale modenese Trc-Telemodena. Per la tv, la compagnia italiana, che stava festeggiando il Capodanno, è riuscita a scampare alla strage gettandosi a terra quando i primi spari nel locale hanno fatto scattare il panico. Alcuni di loro, avrebbero riportato solo lievi escoriazioni nella calca. Si tratterebbe di tre modenesi e altri amici di Brescia e Palermo, in Turchia per lavoro.

 La polizia di Istanbul ha diffuso le foto del presunto killer che ha sparato e ucciso 39 persone nel ‘Reina’ nightclub. Dalle foto, riprese dal video di sorveglianza, risulta essere un giovane con barba e capelli neri. Dopo la strage, l’attentatore è fuggito e una caccia all’uomo è in corso in tutta la Turchia.

LA STRAGE – L’attacco non è stato ancora rivendicato ma l’attentatore, secondo le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti, avrebbe urlato ‘Allah Akbar’ mentre apriva il fuoco dentro il locale. Secondo un deputato dell’opposizione, che ha visitato ospedali e obitorio, 24 vittime sono straniere: sette sono saudite, tre irachene, tre giordane, due libanesi, due tunisine, due indiane, una da Kuwait, Siria e Israele, un belga di origine turca ed un canadese-iracheno. Tra le vittime turche, c’è anche una guardia di sicurezza che era sopravissuta il 10 dicembre scorso al duplice attentato dinamitardo al vicino stadio di calcio del Besiktas. Anche tra i feriti ci sono diversi stranieri. 

 

Per il resto, sono ancora molti i punti da chiarire sulla dinamica dell’attacco. Non si sa con certezza se il terrorista abbia agito effettivamente da solo. Di lui si sa che è entrato vestito di nero e incappucciato con un fucile automatico in braccio con cui ha sparato ad un agente di guardia al locale, che all’interno era vestito di bianco con un cappello a pon-pon bianco, che si è cambiato dopo aver massacrato le persone all’interno del locale, “sparando ovunque, come un pazzo”, ed è riuscito a fuggire nella notte, scatenando stamani una gigantesca caccia all’uomo estesa a tutta la Turchia ala quale partecipano almeno 17.000 agenti. Le poche certezze sono quelle suggerite dalle immagini catturate dalle telecamere di sicurezza, ma alcuni testimoni sopravissuti alla strage hanno raccontato di aver sentito sparare più di una persona, forse due o tre terroristi.

L’unico uomo armato immortalato dalle telecamere è entrato in azione intorno all’1.30 locale (le 23.30 in Italia), mentre nel locale si trovavano circa 700 persone. Ha ucciso l’agente all’ingresso prima di entrare e iniziare a sparare sui clienti. Per sfuggire alla strage, alcuni dei clienti si sono lanciati nelle acque gelide del Bosforo e sono poi stati tratti in salvo, anche se non c’è certezza che tutti siano stati salvati. I testimoni sopravissuti sono concordi su una cosa: i terroristi “sparavano a casaccio”, sparavano su tutti, sulla folla. “Sparavano ovunque, come dei pazzi”, ha raccontato alla Cnn turca una donna, ferita a una gamba da un proiettile. Un altro testimone afferma che le forze speciali sono intervenute portando via i sopravissuti. “Ero di spalle e mio marito ha urlato: ‘Buttati giù!’. Eravamo vicino a una finestra e ho sentito due o tre persone che sparavano. Poi sono svenuta”, ha raccontato una donna.

“Stanno cercando di creare caos, demoralizzare il nostro popolo, destabilizzare il nostro Paese con attacchi abominevoli che prendono di mira i civili – ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan -. Ma manterremo il sangue freddo come nazione e resteremo più uniti che mai e non cederemo mai a questi sporchi giochi”. Durante la notte c’è stata la condanna della Casa Bianca, che per bocca del portavoce Eric Schultz ha parlato di “attacco terroristico orribile” e ha offerto aiuto ad Ankara. Il Dipartimento di Stato ha quindi aggiunto che gli Usa sono “solidali con il loro alleato Nato, la Turchia, nella lotta contro la costante minaccia del terrorismo”. L’ambasciata americana ad Ankara ha però negato le notizie comparse su alcuni social media secondo cui l’intelligence Usa sapeva in anticipo che un nightclub di Istanbul era a rischio di attentato terroristico. “Il nostro dovere comune è combattere il terrorismo”, ha scritto il presidente russo Vladimir Putin al presidente turco. “La tragedia di Istanbul ci ricorda che la lotta contro il terrore non conosce pause né feste o Paesi o continenti. Serve unità. Ad ogni costo”, ha twittato Alfano.

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Aggiornamenti sull’attentato a Berlino, 12 morti

Attentato a Berlino, 12 morti. È successo a Breitscheidplatz, nel quartiere di Charlottenburg, vicino alla chiesa Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche. Nella zona si stava svolgendo un mercatino natalizio. La polizia segue la pista del terrorismo.

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VENTIMIGLIA, IL SINDACO ORDINA LO SGOMBERO DEI MIGRANTI

Sabato 28 Maggio 2016 13:25

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Sgombero imminente per i migranti in transito a Ventimiglia? Nella giornata di ieri è stato notificato un ultimatum alle persone bloccate nella cittadina ligure dalla polizia che impedisce loro di arrivare in Francia. L’ordinanza intima di lasciare l’accampamento di fortuna che si è creato qualche settimana fa sul fiume Roja.

Mentre centinaia di uomini, donne e bambini muoiono annegati alle porte dell’Europa, il sindaco Enrico Ioculano, giovane promessa del Partito democratico, continua la sua guerra ai migranti palesando una volta di più quali sono le priorità politiche delle amministrazioni di centro-sinistra. C’è poco da stupirsi, per rendersi conto del livello di questo piccolo uomo, Loculano era già saltato agli onori delle cronache qualche mesa fa per aver emanato un’ordinanza che vietava ai cittadini di Ventimiglia di offrire cibo ai migranti. Ordinanza ritirata pochi giorni fa grazie alla determinazione degli attivisti noborder che hanno continuato ad organizzare pubblicamente pasti di solidarietà con i tanti che chiedono semplicemente di poter lasciare l’Italia e proseguire il proprio viaggio.

Ieri le forze dell’ordine hanno quindi comunicato alle persone presenti all’accampamento di Via tenda di lasciare i propri ripari avanzando motivazioni di carattere igienico-sanitario descrivendo il campo come insalubre. Una scusa pretestuosa che fa ancora più rabbia visto che la situazione difficile del campo è stata scientemente voluta da un amministrazione che vuole creare “emergenza” per poi gridare al degrado e giustificare gli sgomberi. Già nei mesi scorsi a Ventimiglia è stato smantellato il campo della croce rossa rendendone di fatto impraticabile l’accesso senza dover lasciare le proprie impronte digitali, cosa che giustamente i migranti vogliono evitare perché ciò renderebbe loro ancora più difficile uscire dall’Italia. L’amministrazione comunale, dopo aver costretto i migranti in campi di fortuna, ha fatto inoltre di tutto per rendere la vita impossibile a solidali e volontari che provano ad organizzare con i migranti dei livelli minimi di servizi per garantire a chi è in transito una vita quotidiana decente. Una strategia infame, pensata per mettere contro residenti e migranti impedendo alle persone in transito di lavarsi, dormire e mangiare, creando “marginalità” e malessere per rendere Ventimiglia meno “attrattiva” per chi è in viaggio ignorando senza vergogna la geografia quanto la storia della città. Al di là della pagliacciata inscenata ieri da Ioculano, che si è dimesso dal PD per protesta contro l’operato del governo, lo spirito che anima il sindaco è lo stesso del piano Alfano. Annunciato il 7 maggio scorso dal ministro dell’interno, il piano prevede controlli capillari su treni e mezzi di trasporto con la ridicola pretesa d’impedire ai migranti di arrivare alla frontiera di Ventimiglia. Un’idea velleitaria che ha avuto come solo effetto quello di moltiplicare le torture della polizia italiana e francese sui migranti. Nei giorni scorsi le persone in transito hanno denunciato nell’indifferenza generale le minacce, le percosse, le pinze sui genitali per ottenere le impronte digitali e pochi giorni fa un ragazzo è rimasto quasi sordo per le botte ricevute dalle forze dell’ordine.
Aprire le frontiere e permettere a chi vuole di lasciare il nostro paese è la sola soluzione possibile, ma l’Italia continua ad essere schiva delle direttive UE accollandosi l’onere di fare il gendarme dell’Europa.

Ascolta l’aggiornamento registrato ieri con una compagna di No Border Ventimiglia

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/migranti/item/17146-ventimiglia-il-sindaco-ordina-lo-sgombero-dei-migranti

CARCERE PER I MANIFESTANTI A VOLTO COPERTO. NO AI CODICI IDENTIFICATIVI PER GLI AGENTI. IL NUOVO DDL “SICUREZZA”

 

milanocariche

 

Sicurezza. Il ddl del ministro che scarica sui sindaci: carcere ai manifestanti col volto travisato. 5 anni a chi usa caschi nei cortei, anche senza reato. Identificabili solo i reparti di ordine pubblico. Ma a protestare è la polizia.

Arresto differito e fino a cinque anni di carcere per chi partecipa a cortei e manifestazioni facendo “uso di caschi protettivi ovvero di ogni altro mezzo atto a rendere impossibile o difficoltoso il suo riconoscimento”. Anche senza aver partecipato ad alcuna violenza di piazza. E nessun identificativo per polizia e carabinieri, solo un “codice” per identificare i reparti in servizio di ordine pubblico.

E ancora: da 2 a 5 anni di pena e una multa da mille a 5 mila euro per chi lancia o utilizza tra l’altro “razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, bastoni, mazze, scudi, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti”; Daspo agli spacciatori, anche minorenni, con il divieto di accedere a discoteche e locali pubblici; aumento di pena per furti, scippi e rapine; rafforzamento delle misure di contrasto a quelle condotte considerate lesive del decoro urbano, come “l’accattonaggio invasivo nei luoghi pubblici”.

Il ministro degli Interni Angelino Alfano ha trovata la soluzione ai problemi “più scottanti” della sicurezza urbana, passando alcune delle patate più bollenti del suo paniere direttamente nelle mani dei sindaci delle città metropolitane che, riuniti ieri nella sede dell’Anci di Roma, chiedevano strumenti e risorse per poter dare risposte alle paure dei cittadini.

Così le proposte sono finite in una bozza di disegno di legge messo a punto dal titolare del Viminale che “prevede – come spiega il primo cittadino di Milano, Giuliano Pisapia – un’estensione dei poteri dei sindaci per la tutela della sicurezza dei cittadini e nel contrasto al degrado, fermo restando la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine e sicurezza pubblica”. La proposta è stata presentata ieri al vertice – Alfano assente, il relatore del testo è stato il coordinatore delle Città metropolitane e sindaco di Firenze, Dario Nardella – a cui hanno partecipato, oltre ai su citati, il presidente dell’Anci e sindaco di Torino, Fassino, e i sindaci metropolitani Bianco (Catania), Brugnaro (Venezia), Decaro (Bari), De Magistris (Napoli), Marino (Roma), Orlando (Palermo), Zedda (Cagliari), Falcomatà (R. Calabria) e Accorinti (Messina).

Subito dopo, la riunione è proseguita al Viminale, dove Alfano ha presieduto il tavolo con Nardella, Fassino, una delegazione dei sindaci metropolitani, il sottosegretario dell’Interno Bocci, il capo Gabinetto Lamorgese e il capo della Polizia Pansa. I sindaci ora hanno una settimana di tempo per presentare le loro osservazioni al testo e le loro proposte di modifica, anche se c’è già qualcuno che inizia a sentire puzza di bruciato, motivo per il quale oltre a responsabilità e poteri, i partecipanti al vertice hanno chiesto “un tavolo permanente per quanto riguarda le risorse necessarie in questo settore”. Pisapia invece non mostra molti dubbi e giudica “positivamente” la proposta di Alfano.

Malgrado all’articolo 21 del ddl governativo sia prevista l’introduzione non di un codice alfanumerico identificativo del singolo agente o militare, ma di uno che identifichi il “reparto degli operatori in servizio di ordine pubblico” che “gli operatori devono esporre” durante le operazioni di piazza. Per l’obbligo però bisognerà in ogni caso attendere ancora, al contrario di tutte le altre disposizioni contenute nel testo ministeriale e in barba alle richieste del Parlamento europeo. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, infatti, un decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Cdm, determinerà “i criteri generali concernenti l’obbligo di utilizzo e le modalità d’uso del codice, prevedendo specificatamente che l’attribuzione del suddetto codice identificativo di reparto avvenga secondo criteri di rotazione per ciascun servizio”. Altre disposizioni contenute nel ddl, suddiviso in tre parti e 22 articoli, prevedono anche il divieto per il personale in servizio di ordine pubblico di indossare “caschi e uniformi assegnati ad operatori al altro reparto”, pena una “sanzione amministrativa pecuniaria di 5 mila euro nonché la sanzione disciplinare prevista dall’ordinamento di appartenenza”.

I sindacati di polizia di questo Paese, ancora una volta, plaudono a tutte le proposte tranne all’introduzione del codice identificativo, anche se potrebbe al massimo servire per capire a quale contingente appartengano i tutori dell’ordine pubblico.

Eleonora Martini da il manifesto

 

Il commento di Italo Sabato, Osservatorio sulla Repressione rilasciato a Radio Onda d’Urto

 

 

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.info/carcere-per-i-manifestanti-a-volto-coperto-no-ai-codici-identificativi-per-gli-agenti-il-nuovo-ddl-sicurezza/

Ponte sullo Stretto torna nell’agenda del governo. Una storia di annunci, penali e appetiti mafiosi

Fabio Bonasera

Cronaca – Doveva essere il ponte sospeso dei record per un costo di 4 miliardi di euro. Finora lo Stato ha pagato 300 milioni per la mancata costruzione. Sempre sostenuto da Berlusconi, a fasi alterne da Prodi. Affossato dal governo Monti e dall’Ue. Nel 2005 la Dia aveva illustrato in Parlamento il rischio di infiltrazioni di Cosa nostra.

L’intenzione sarebbe di riesumare il sogno che non fu solo di Silvio Berlusconi. Il ddl annunciato da Angelino Alfano pare sia in fase di stesura e potrebbe essere pronto a giorni. Sarebbe stato il ponte dei record, quello sullo Stretto di Messina, secondo il progetto dell’associazione temporanea di imprese Eurolink. Il collegamento stabile tra Cannitello, in provincia di Reggio Calabria, e Ganzirri, villaggio del capoluogo peloritano, prevedeva un ponte sospeso, lungo tre chilometri e 666 metri, con due corsie stradali e due binari ferroviari. Alti 382,60 metri sul livello del mare, i due piloni chiamati a reggerlo. Costo dell’appalto, circa quattro miliardi di euro. Tempi stimati per la realizzazione, cinque anni e dieci mesi.

Un’opera imponente, tramontata il 15 aprile 2013, quando la Stretto di Messina Spa, concessionaria costituita nel 1981 per la sua progettazione, la realizzazione e l’esercizio, viene liquidata con decreto del presidente del consiglio dei ministri, all’epoca Mario Monti. Che, già l’anno prima, aveva fatto stanziare 300 milioni per le penali da pagare per la mancata costruzione.

Di Ponte sullo Stretto si parla da decenni. Significativa, nel 1981, la costituzione della Stretto di Messina, partecipata da Italstat e Iri, con il 51 per cento, e da Ferrovie dello Stato, Anas, Regioni Sicilia e Calabria. Dal primo ottobre 2007, Anas assume il controllo con l’81,848 per cento. Ormai surreali, nel 1985, le dichiarazioni di Bettino Craxi, per il quale il Ponte si sarebbe realizzato a breve. L’anno dopo, l’allora presidente dell’Iri, Romano Prodi afferma che il ponte è una priorità e che i lavori verranno ultimati nel 1996. Lo stesso Prodi, quando torna a Palazzo Chigi nel 2006, deciso ad affossare il progetto per evitare infiltrazioni mafiose, i cui rischi erano stati esposti al Parlamento appena un anno prima dalla Direzione investigativa antimafia, trasferisce buona parte delle risorse alla Salerno-Reggio Calabria.

Eppure, l’infrastruttura, nel 2001, è presente nei programmi elettorali dei due candidati premier di centrodestra e centrosinistra, Berlusconi e Francesco Rutelli. Vince il fondatore di Forza Italia e, nell’ottobre 2005, l’Ati Eurolink Scpa, guidata da Impregilo Spa, si aggiudica la gara come contraente generale per la sua costruzione, con un’offerta di tre miliardi 880 milioni di euro. Nascono in quel periodo le spinte nopontiste che, nel gennaio 2006, a Messina, danno vita a un corteo di protesta di 15-20mila persone. Alla guida, l’attuale sindaco della città dello Stretto, Renato Accorinti, accolto con i manifestanti, nella piazza del municipio, dal primo cittadino di allora, Francantonio Genovese, azionista della Caronte & Tourist e successivamente deputato del Pd, attualmente agli arresti e sotto processo nell’ambito dell’inchiesta Corsi d’oro sulla formazione professionale.

Il 27 marzo 2006, Impregilo firma il contratto per la progettazione finale e la realizzazione dell’opera. Dopo le resistenze di Prodi, Berlusconi riprende le fila del discorso, una volta tornato alla guida del governo, nel 2008. Il 2 ottobre 2009, la Stretto di Messina impartisce al contraente generale l’ordine di inizio della progettazione definitiva ed esecutiva. Secondo gli impegni del presidente del consiglio, i lavori dovranno iniziare nel 2010 per finire nel 2016. I primi cantieri, riguardanti opere propedeutiche, prendono il via a dicembre, a Cannitello, con la variante ferroviaria poi ultimata nel 2012.

Il secondo fendente al Ponte lo infligge, nell’ottobre 2011, l’Unione Europea,escludendolo dai finanziamenti comunitari, seppur confermando il corridoio 1 Berlino-Palermo. Infine, il colpo di grazia di Monti. Dei soldi stanziati, pare siano stati spesi in tutto 300 milioni per saggi, carotaggi, simulazioni e quant’altro. Ora non resta che attendere il disegno di legge annunciato dal ministro dell’Interno per capire da dove si vorrà ripartire.

 

 

Fonte:

http://meridionews.it/articolo/36558/ponte-sullo-stretto-torna-nellagenda-del-governo-una-storia-di-annunci-penali-e-appetiti-mafiosi/

L’accoglienza diventa detenzione arbitraria per eseguire il rilievo delle impronte digitali. E centri di detenzione (CIE) vengono trasformati in centri di accoglienza, succede a Milano.

giovedì 16 ottobre 2014

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A Pozzallo sono in corso identificazioni violente dei profughi siriani forzati a rilasciare le impronte digitali. Sembra che almeno duecento profughi siano entrati in sciopero della fame all’interno del CPSA ubicato dentro il porto.
Si teme anche che siano in corso iniziative di identificazione nei confronti di cittadini solidali che si sono recati nei pressi del centro per verificare di persona cosa stava accadendo. Vedremo domani con quali risultati.
Intanto di risultati delle attività di polizia sono ben visibili questi, impressi sulla schiena di un profugo. Qualcuno avrebbe detto : “Con le buone o con le cattive prenderemo le vostre impronte”

https://www.facebook.com/video.php?v=877363518970667&set=vb.100000910804762&type=2&theater

Prima e dopo l’operazione congiunta di polizia “Mos maiorum”, che alla fine servirà probabilmente solo a qualche stratega della sicurezza per aggiornare le statistiche e dimostrare quanto sono efficienti gli apparati di contrasto di quella che definiscono “immigrazione illegale”, una trasformazione strutturale sta interessando i centri di accoglienza ed i centri di detenzione (CIE) in Italia.

Da tempo del resto, anche i CIE erano “centri di accoglienza” ed i migranti trattenuti, meglio sarebbe dire internati, ma si dovevano chiamare “ospiti”, parola del ministero dell’interno… Adesso succede con i profughi.

http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/immigrazione/sottotema006.html

Mentre  a sud, in particolare in Calabria ed in Sicilia non si sta assistendo a grandi retate, come nelle città del nord,  nelle regioni meridionali si verifica una trasformazione dei luoghi di accoglienza, variamente denominati, CSPA, centri di soccorso e prima accoglienza, come quelli di Pozzallo e di Lampedusa ( ormai riaperto), centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) come il centro S.Anna di Crotone-Isola capo Rizzuto. Cambiano natura anche i luoghi di detenzione amministrativa, come il CIE Corelli di Milano che starebbe per essere trasformato in un centro di accoglienza. Ed a Messina hanno riattivato una caserma dismessa, ma con una recinzione militare, per “accogliere” profughi e talvolta anche minori. Pratiche di confinamento e di esclusione che a Messina hanno trovato da mesi un primo terreno di sperimentazione nella tendopoli, aperta estate ed inverno, nel campo sportivo a ridosso del Palaspedini.

http://www.lurlo.info/index.php/rubriche/inchieste/item/896-l-affare-cara-20-000-euro-per-l-assistenza-ai-migranti-al-palaspedini

http://www.messinaoggi.it/News/Messina/Cronaca/2014/08/27/Nuovo-sbarco-aperta-lex-caserma-Bisconte-16691.html

Di fronte alla conclamata ingestibilità del sistema dei CIE, per i quali si è comunque prevista la riduzione del trattenimento amministrativo da 18 a 2 mesi, si sta organizzando un sistema di prima accoglienza e di seconda accoglienza con tutte le caratteristiche strutturali dei luoghi di detenzione, anche perchè i profughi siriani, somali, eritrei e di altre nazionalità, dopo lo sbarco, possono essere trattenuti arbitrariamente per giorni e giorni senza alcun provvedimento amministrativo, senza convalida del magistrato, senza garanzie di difesa se vengono sottoposti ad attività di indagine, senza mediatori linguistico-culturali indipendenti, senza informazione legale e senza assistenza psicosociale. Di fatto queste persone vengono sequestrate, o allo scopo di portare avanti le indagini per rintracciare gli scafisti, oppure più di recente, per costringerli con la violenza psicologica, se non con la violenza fisica al rilascio delle impronte digitali.

Si espongono dunque molti profughi,  tutti quelli che fuggono dalla Libia in guerra oggi lo sono, che in passato erano sottoposti soltanto alla formalità del fotosegnalamento subito dopo lo sbarco, al rischio di una vera e propria schedatura che ne compromette il successivo passaggio in un altro paese europeo per chiedere asilo.
Ricordiamo che quasi la metà dei circa 140.000 migranti che sono entrati quest’anno in Italia, la quasi totalità dei siriani, moltissimi eritrei, hanno lasciato l’Italia per un paese dove al riconoscimento dello status di protezione seguissero concrete possibilità di inserimento sociale.

Si diffondono quindi i comportamenti violenti delle forze di polizia, con un avvitamento delle pratiche di identificazione forzata che, nei giorni dell’operazione congiunta di polizia “Mos maiorum”,  corrisponde all’ordine lanciato da Alfano qualche giorno fa di “serrare i bulloni”. Cosa abbia significato questo vero e proprio atto di indirizzo del Viminale lo provano le fotografie riprese oggi che circolano in rete, di persone che già traumatizzate dalle violenze subite in patria e durante il viaggio, hanno trovato al loro arrivo in Italia altre percosse, al solo scopo di ottenere da loro, con la violenza, il rilascio delle impronte digitali.

La mutata destinazione del CIE di Milano a centro di accoglienza per richiedenti asilo se è da salutare come un successo, perchè significa la chiusura di uno dei peggiori centri di identificazione ed espulsione in Italia, potrebbe però corrispondere ad un progetto di trattenimento informale dei richiedenti asilo, come si è già verificato nei giorni scorsi nel CARA di Crotone, quando dopo le denunce degli abusi di polizia sugli ultimi arrivati dalla Siria, a tutti gli “ospiti” è stato impedito di uscire quotidianamente, dalle 8 alle 20, come invece facevano in passato. Si è voluto forse evitare che qualcuno testimoniasse sulle condizioni della struttura e sul trattamento subito dai siriani.

A Milano si sta pensando forse anche alla elevata probabilità che, dopo la fine dell’operazione Mos maiorum, una operazione congiunta di polizia che si sta svolgendo in molti paesi europei contemporaneamente, ci possa essere un forte aumento dei rinvii Dublino verso l’Italia. Il Cie Corelli di Milano, trasformato in centro di accoglienza, potrebbe essere il luogo migliore per “accogliere” queste persone e costringerle di fatto ad una segregazione informale, a tempo indeterminato, senza le pur deboli garanzie formali che ci possono essere nei centri di detenzione ( avvocati e comvalida giurisdizionale)

http://www.meltingpot.org/Milano-Il-CIE-di-via-Corelli-diventa-un-centro-di.html#.VD771kYcRsc

Questa è la ragione per cui le campagne, le commissioni di inchiesta e le visite parlamentari o di altre organizzazioni che difendono i diritti umani, che finora hanno chiesto di entrare nei CIE devono rivolgere le loro attività di indagine verso i centri di accoglienza, in molti dei quali, senza una particolare autorizzazione del ministero dell’interno, non è neppure possibile entrare, esattamente come succedeva, fino a qualche anno fa nei Centri di identificazione ed espulsione.

Ormai è possibile parlare di accoglienza/detenzione, come lo scorso anno si verificava anche a Lampedusa dopo la tragedia del 3 ottobre, su tutto il territorio nazionale, e sarà necessario rivolgersi agli organi della giustizia internazionale perchè l’Italia non adotti sistematicamente, magari con la scusa del prelievo delle impronte digitali, misure limitative della libertà personale, o peggio di respingimento, nei confronti di profughi e di veri e propri sfollati di guerra.

Fonte:
http://dirittiefrontiere.blogspot.it/2014/10/laccoglienza-diventa-detenzione.html

MOS MAIORUM + TRITON, DOPO IL 3 OTTOBRE I MIGRANTI TORNANO NEMICI

Imminente maxi operazione di polizia guidata dall’Italia contro l’immigrazione irregolare in tutta Europa

Scatterà a breve in tutta Europa una gigantesca operazione di polizia volta a fermare, controllare e identificare tutti i migranti che verranno intercettati sul territorio continentale. Tantissime associazioni e reti che tutelano i diritti dei migranti stanno lanciando l’allarme, invitando alla massima allerta quella moltitudine di individui che approdati in Europa stanno cercando di realizzare un loro nuovo progetto di vita, lontano da guerre, miseria e persecuzioni.

Dal 16 al 23 ottobre l’Italia guiderà l’operazione di polizia europea Mos Maiorum, un intervento coordinato dalla Direzione Centrale per l’Immigrazione e la Polizia di Frontiera del Ministero dell’Interno italiano in collaborazione con l’Agenzia Frontex volto a perseguire l’ “attraversamento illegale dei confini”. Dalla nota prodotta dal Consiglio Europeo si apprende che la finalità dell’operazione è “indebolire la capacità organizzativa del crimine organizzato nel favoreggiamento dell’immigrazione illegale”, attraverso una serie di azioni coordinate che punteranno a identificare e arrestare i migranti irregolari, per la raccolta di informazioni ai fini di attività investigativa e di intelligence, a consolidare prassi comuni di intervento per aumentare l’incisività delle misure di controllo e repressione dell’immigrazione illegale. Tradotto, una settimana di persecuzione e guerra dichiarata a tutti i migranti, con 18mila agenti di polizia sguinzagliati in stazioni, treni, porti, aeroporti per identificare e possibilmente arrestare il maggior numero di persone dall’apparenza straniera. Si tratta di una pratica già sperimentata durante le precedenti missioni denominate Aerodromos, Afrodite, Perkunas rispettivamente condotte durante la presidenza europea di Grecia, Cipro e Lituania, che sembrerebbero programmate per due settimane all’anno, al cambio dei semestri di presidenza europea.
Operazioni guidate dalla presunzione di colpevolezza, indirizzate più che altro a dimostrare la pericolosità della circolazione dei migranti, i cui comportamenti vengono aprioristicamente definiti come illegali, e a legittimare investimenti di risorse e procedure normative per le misure di controllo, repressione e detenzione. Basta leggere alcune righe della relazione finale della missione Perkunas condotta nel settembre 2013: “Considerato che la maggioranza dei migranti irregolari (72,94%) ha fatto richiesta di protezione internazionale dopo essere stata intercettata, ciò può essere assunto come una indicazione quantitativa dell’abuso nelle procedure di asilo”.

Ecco come si concretizza il potenziamento di Frontex, non certo nella direzione di una migliore accoglienza ma in gigantesche operazioni poliziesche che hanno l’unico scopo di rafforzare l’immagine del migrante come nemico pubblico e la necessità di operazioni per espulsioni e detenzioni di massa. Se qualcuno aveva ingenuamente creduto alla favola di Frontex Plus – Triton è annunciata per novembre – come un potenziamento di Mare Nostrum (non stiamo qui a ripetere tutte le criticità di questa missione), può rendersi conto che la direzione in materia di politiche migratorie comunitarie intrapresa oggi, proprio durante la presidenza italiana dell’Unione Europea, è quella della proclamata tolleranza zero verso i movimenti migratori, nuovamente affrontati come tema connesso alla sicurezza e alla lotta alla criminalità organizzata anziché a quello degli effetti delle guerre e dei conflitti che circondano l’Europa. Dopo la parentesi umanitaria di Mare Nostrum e del Piano Nazionale Accoglienza, è proprio attraverso il ritorno del noto discorso pubblico sulla minaccia terroristica che chi tenta di scampare all’inasprirsi dei conflitti in Siria, Iraq, Palestina, Corno d’Africa e non solo, viene trasformato in soggetto indesiderato e pericoloso, che ben merita la nuova stretta anti-immigrazione. Da profughi a terroristi, detta in termini spiccioli.

L’imminente Mos Maiorum, la nuova missione Triton nell’ambito di Frontex, le identificazioni forzate di tutti i richiedenti asilo impartite dal Ministero dell’Interno (su pressione dell’UE) e la crudele rigidità del Regolamento di Dublino aprono a una nuova narrazione dei movimenti migratori e della loro gestione: archiviato l’anniversario del 3 ottobre e la retorica che lo celebrerà proprio dal palcoscenico di Lampedusa, dall’indomani è tutto pronto perché rifugiati e migranti tornino a diventare bersaglio di misure di controllo e repressione.
Come ha dichiarato il Ministro Alfano, “sulla frontiera si gioca tutto”.

Neva Cocchi, Danilo Burattini

[ 3 ottobre 2014 ]
Fonte:

 

MILANO. SABATO 21 GIUGNO – LA NOSTRA EUROPA NON HA CONFINI: UN TRENO PER VIOLARE LE FRONTIERE EUROPEE

Milano. Sabato 21 giugno - La nostra Europa non ha confini: un treno per violare le frontiere europee

No borders train. Ore 14.00. Da ogni parte d’Italia verso la Stazione Centrale di Milano e poi oltre i confini europei.

Questa ennesima “emergenza immigrazione”, con migliaia di persone in fuga da guerre e violenze in approdo sulle coste italiane, porta con sé, come sempre, tutto il suo corollario di violazioni, prassi illegittime, deroghe ai diritti, ipocrisie e speculazioni. Accade nel mare del sud, dove ancora si muore, alla faccia di Mare Nostrum, così come alle frontiere interne dell’Europa che ingabbiano migliaia di persone nel primo paese d’approdo, passando per il “piano di accoglienza straordinaria” del governo, una nuova occasione per fare affari sulla pelle dei migranti. Si tratta di uno scenario che il risultato delle recenti elezioni europee rischia solo di aggravare trasformando l’Europa in un vero e proprio campo di battaglia in cui i confini giocano un ruolo determinante.

Chi arriva sulle coste italiane oggi fugge da violenze e persecuzioni. Per questo rivendichiamo la necessità di mettere in campo l’unica soluzione possibile per evitare le morti in mare e la speculazione dei trafficanti: la costruzione di percorsi di arrivo autorizzati e sicuri in Europa. Di fronte a questo le istituzioni europee e quelle nazionali tacciono.

Ma il viaggio in mare non è l’unica occasione in cui i migranti sono costretti a sfidare i confini europei. Perché un’altra odissea inizia una volta raggiunta l’Europa. Per chi rimane, il dispositivo dell’accoglienza messo in campo dal governo non è in grado di garantire null’altro se non mesi di attesa e assistenzialismo speculativo, aggravato dal fatto che ancora una volta sono stati aggirati i circuiti ufficiali dello SPRAR procedendo alla “distribuzione” dei profughi al miglior offerente.

Non è un caso che migliaia di rifugiati abbandonati dalle istituzioni di questo paese siano costretti ad occupare casa come unica possibilità di assicurarsi un tetto, mente il governo, con il decreto Lupi, vorrebbe sottrargli anche il diritto alla residenza ed alle utenze.
Per questo, per costruire e conquistare dal basso i diritti che altri continuano a negare, proponiamo a tutti di dar vita ad una rete di supporto. Una mappa di luoghi e contatti a disposizione di chi si muove per raggiungere altri Stati e di chi rimane e rischia di veder negata la sua domanda d’asilo, o vive in condizioni di accoglienza indegne in attesa di sapere cosa sarà del suo futuro dopo il 30 giugno, data di scadenza delle convenzioni del Ministero con i centri.

Ma oggi la questione dell’asilo e delle migrazioni interroga nell’immediato, come non mai, anche l’Europa, le sue geometrie, gli egoismi degli stati, la nostra possibilità di costruire uno spazio europeo che non sia dominato da austerity, precarietà e esclusioni. Nulla a che vedere con gli schiamazzi del Ministro Alfano che, mentre invoca la revisione di Dublino, continua a respingere verso la Grecia i rifugiati ai porti dell’Adriatico.

Gran parte dei migranti che arrivano in Italia mirano ad andarsene per raggiungere altri paesi. Ma mentre nel Vecchio Continente merci e finanze circolano liberamente, i confini bloccano e dividono, selezionano le persone rivelando tutta la loro ipocrisia.
Così migliaia di “profughi” sono privati del loro diritto di scelta, costretti a rimanere ingabbiati in Italia oppure a pagare profumatamente gli sciacalli che sulle regole dell’Europa stanno facendo fortune.

Il 26 e 27 giugno prossimi il Consiglio europeo si riunirà a Bruxelless per discutere di frontiere, pattugliamenti e nuove regole operative. Negli stessi giorni arriverà nella capitale belga la “Marcia dei rifugiati” a cui parteciperemo insieme a centinaia di migranti ed attivisti da tutta Europa. Poco dopo, l’11 luglio, a Torino, i leader dei paesi europei si ritroveranno a discutere invece di (dis)occupazione giovanile.

Questa agenda ufficiale è anche l’occasione per i movimenti (tutti) di costruire insieme un’ agenda programmatica di lotte e conflitti, di battaglie e percorsi di condivisione, per continuare a tessere le fila di un movimento europeo di trasformazione.

Per questo invitiamo tutti a sfidare i confini dell’Europa insieme ai migranti ed ai rifugiati ingabbiati in questo Paese. Perché quello che sta avvenendo intorno alle frontiere che dividono l’Italia dalla Francia, la Svizzera e l’Austria ha bisogno di una risposta immediata.
Per mettere fine alla violenza ed all’ipocrisia del confine, per sostenere la marcia dei rifugiati, per dare concretezza a quanto affermato nella Carta di Lampedusa, perché le frontiere dell’Europa sono un pezzo della nostra precarietà, tanto più oggi, quando la libertà di movimento è messa in discussione anche per gli stessi cittadini degli Stati membri.

Sosteniamo il no borders train. Per fermare l’ingiustizia dei confini europei

Invitiamo tutti a raggiungere la Stazione Centrale di Milano, il prossimo sabato 21 giugno, alle ore 14.00, con carovane grandi e piccole, per poi partire in treno verso le frontiere europee, e violarle collettivamente, alla luce del sole, in tanti, rivendicando, insieme ai migranti, la nostra EUROPA senza confini.

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Fonte:
http://www.meltingpot.org/Milano-Sabato-21-giugno-La-nostra-Europa-non-ha-confini-un.html?debut_signatures=160#pagination_signatures