#Not_in_our_name: le guerre e il terrorismo stanno uccidendo il dialogo


Prendo il seguente appello di Asmae Dachan dal suo blog http://diariodisiria.wordpress.com:

Di Asmae Dachan:


1397298_611763265539907_779226832_oDi fronte al clima di odio, terrore, paura che stiamo vivendo in questi giorni diventa imperativo fermarsi e ristabilire alcuni concetti fondamentali, per evitare di farsi trascinare dal vortice del caos mediatico e politico.

Le notizie che giungono dalla Siria e dall’Iraq, sulle persecuzioni delle minoranze cristiane e yazidi, da parte di Isis stanno scuotendo l’opinione pubblica mondiale. Non è accettabile, né moralmente, né civilmente, né religiosamente, che una persona o un gruppo di persone vengano minacciate e subiscano violenza per la loro appartenenza etnica e/o religiosa e ogni atto che sia contrario al principio universale dell’uguaglianza tra esseri umani è da condannare senza riserva alcuna.

Il rispetto della sacralità della vita umana è alla base di ogni società civile e deve essere il presupposto su cui fondare ogni ragionamento e ogni azione.

Oggi il dialogo, la fratellanza, la solidarietà, l’umana vicinanza vengono fortemente minacciati. Si rischia di veder bruciati, insieme a case, luoghi di culto, monumenti e libri, anche secoli di convivenza, rispetto e confronto. La Siria e l’Iraq sono infatti la culla delle religioni monoteiste e della civiltà e sono da sempre un esempio di tolleranza, fratellanza e apertura all’altro, con tutte le difficoltà che si sono presentate nel tempo. Ed è proprio da questo punto che bisogna partire: i drammatici accadimenti di questi giorni non devono farci dimenticare che la convivenza serena e fraterna tra cristiani e musulmani in questi due paesi dura da secoli, da quando, cioè, sono nate e si sono sviluppate queste due grandi civiltà. È un errore storico attribuire il merito della pacifica e costruttiva convivenza ai regimi che governano questi due paesi. Tutt’altro: le loro politiche hanno comportato l’inasprimento dei rapporti tra le diverse comunità che compongono le rispettive società civili, creando un clima di tensione che è l’avamposto del settarismo.

La situazione in Iraq e Siria negli ultimi anni è diventata quantomeno drammatica: la guerra scatenata contro l’Iraq nel 2003 e di fatto mai finita (quella che è stata venduta al mondo come guerra per esportare la democrazia) e la repressione del regime di Damasco contro quello che dovrebbe essere il suo stesso popolo, iniziata nel 2011 dopo quarant’anni di dominio della dinastia degli Assad , hanno provocato centinaia di migliaia di morti. Son due situazioni diverse, ma le conseguenze sulla popolazione e sugli equilibri sociali sono tristemente simili. Di fatto la guerra, i bombardamenti, gli stupri, i sequestri, la tortura, le violenze sono l’humus in cui nascono e crescono i germogli malefici del terrorismo. Sono in molti ad approfittare della situazione di generale caos per condurre guerre parallele e fare i propri interessi e gli interessi dei loro mandanti. Il caso di Daesh/Isis, il famigerato Stato islamico di Siria e Levante, ne è una prova. Orde di barbari mercenari si sono infiltrati nei due paesi, armati e formati da potenze straniere e di fatto sostenuti e lasciati liberi dai governi dei due paesi e approfittando della situazione di totale anarchia, sono diventati una potenza. Da più di un anno i siriani gridano che Isis non è contro Assad, ma contrasta, stupra e uccide i suoi oppositori e soprattutto bestemmia e calunnia l’islam dicendo che opera in nome della fede. Nessuno ha dato ascolto ai siriani, anzi, parte della politica e della stampa ha continuato a etichettare Isis come ribelli anti-Assad, cosa del tutto falsa perché In Siria Isis si muove e opera solo dove le truppe governative si sono ritirate e apre il fuoco, perseguita e massacra i civili e gli oppositori al regime.

Oggi Isis è una potenza militare che spaventa e di fronte all’escalation della sua violenza, che ha portato in Iraq all’avvicinamento a zone dove sorgono giacimenti petroliferi, sembra che il mondo si stia svegliando. Nessuno ha mosso un dito per i civili siriani (+ dell’80 per cento musulmani), uccisi da questi barbari, arrivando persino a negare il massacro, ma oggi che si grida alla persecuzione delle minoranze, in Siria come in Iraq, scatta l’allarme. Passerebbe quindi il messaggio che se a morire è la maggioranza musulmana poco importa, ma guai a toccare gli altri. Così facendo si fa solo il gioco di Isis che vuole creare tensione e fomentare l’odio settario. In questo quadro i regimi cantano vittoria, spacciandosi come tutori delle minoranze e la già inaccettabile morte di innocenti viene persino strumentalizzata.

È necessario, quindi, fermarsi e fare chiarezza:

1- In Siria la principale causa di morte sono i bombardamenti aerei operati dal regime siriano, che colpiscono in maniera scellerata e indiscriminata tutta la popolazione, distruggendo e uccidendo a prescindere dalla fede e dall’etnia; ad oggi si contano oltre 200 mila vittime in 41 mesi, di cui oltre 18 mila sono bambini sotto i 16 anni. In Siria muoiono musulmani, cristiani, laici, atei, curdi e armeni da oltre 3 anni. E’ un genocidio che colpisce l’intera popolazione.

2- In Iraq persino l’Onu ha smesso di contare i morti, ma ormai più fonti affermano che sarebbero circa un milione; i cristiani sono tra il 5 e l’8% della popolazione, hanno subito e subiscono le sofferenze e le atrocità che subiscono tutte le altre componenti sociali. Con l’avanzata di Isis la loro situazione è persino peggiorata e sono iniziate le minacce, le persecuzioni casa per casa con tanto di marchiatura in stile nazista. Alle persecuzioni contro gli yazidi si sta dando una valenza religiosa, ma in realtà Isis è interessata ad occupare le loro terre per mettere mani sui giacimenti petroliferi.

3- Isis non rappresenta il sentimento, i valori, i principi dell’islam, tutt’altro: Isis va definito per quello che è, ovvero un gruppo (anche se si definisce Stato) di terroristi mercenari il cui operato è contrario alla fede islamica. Isis sta uccidendo i musulmani in Siria e in Iraq e sta uccidendo con loro le altre componenti etniche e religiose. Isis strumentalizza, mortifica e bestemmia il nome di Dio. L’unica divinità a cui risponde Isis è il denaro. Isis non rappresenta i siriani, non rappresenta gli iracheni, non rappresenta l’islam.

4-Isis è formata da mercenari stranieri che non hanno nulla a che spartire con la causa del popolo siriano che si è opposto a quasi mezzo secolo di tirannia, né con la causa del popolo iracheno che ormai lotta per la sua sopravvivenza dopo anni di genocidio. Isis è una creatura dei servizi segreti internazionali che trova sostegno in diverse monarchie e stati stati finalizzata a “creare scompiglio”, a condurre guerre per procura. Per approfondire di leggano questi articoli: http://www.sirialibano.com/tag/isis, http://www.pagina99.it/news/mondo/6681/Che-succede-in-Iraq.html, http://popoffquotidiano.it/2014/08/11/hillary-clinton-lisil-e-roba-nostra-ma-ci-e-sfuggito-di-mano/, http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=107832&typeb=0.

5 – La strategia della falsa informazione sta mietendo tante vittime: foto spacciate per quello che non sono (seguirà un mio articolo sulla bufala della decapitazione dei bambini cristiani) stanno provocando reazioni anche dall’alto, tra i potenti del mondo. Basterebbe un minimo di attenzione e professionalità per verificare l’origine e la matrice di una foto e di una notizia, ma quella mediatica è una guerra che i regimi e i terroristi combattono senza esclusione di colpi e la stampa disattenta e persino complice ne diventa un amplificatore.

Per chi ha fede, per chi crede, per chiunque abbia una coscienza e un minimo di onestà intellettuale sembra persino scontato dover ribadire che non esiste una guerra in nome di Dio, che nulla e nessuno può giustificare la persecuzione, la minaccia, l’offesa e l’uccisione di un innocente. Non cadiamo nel tranello dell’odio settario, non smettiamo di dialogare, non lasciamo che i seminatori di conflitto prevalgano sui costruttori di ponti. Ci vuole tanta determinazione e tanto coraggio, soprattutto ora, ma è proprio di fronte a queste difficoltà che il mondo dei credenti delle diverse religioni e la società civile tutta, laica, atea, debbono stringersi le mani e far sentire che la vera forza è il dialogo e l’impegno per la pace. Non si tratta di buonismo, anzi: è molto più impegnativo ribadire le ragioni del dialogo e tendere verso l’altro che ergere muri e chiudersi nell’inferno dell’odio.

Volendo immaginare un manifesto dei siriani, degli iracheni, dei musulmani che in questo momento vengono associati erroneamente e ingiustamente al terrorismo bisogna ripetere all’infinito: “no, non in nostro nome”. I cristiani sono nostri fratelli, gli esseri umani di ogni religione ed etnia sono nostri fratelli.

Come autrice di questo blog, come siriana, come musulmana lo ripeto anche io e propongo la campagna: “Not_in_our_name”, per dire no alle persecuzioni, alle false notizie, ai seminatori di odio.

 

 

Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/08/12/not_in_our_name-le-guerre-e-il-terrorismo-stanno-uccidendo-il-dialogo/

24 pensieri su “#Not_in_our_name: le guerre e il terrorismo stanno uccidendo il dialogo

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    ETNIE, Gianni Sartori’s Latest Posts

    I curdi, da Ocalan ai peshmerga
    By Gianni Sartori del 22/09/2014

    Venticinque anni di ricerche, interviste, analisi geopolitiche e testimonianze dirette: un saggio fondamentale per capire le vicende di questo popolo leggendario

  12. Anche se risale a qualche anno fa, invio questo contributo per ricordare quali siano le responsabilità statunitensi nell’aver provocato l’attuale situazione in Iraq e dintorni …e quali e quante siano state le violazioni dei Diritti umani operate da questi difensore della (loro!) democrazia…
    ciao, GS
    L’IRAQ NON E’ IL VIETNAM. E’ PEGGIO!
    Gianni Sartori (2006)
    Alla fine di ottobre 2005 l’aviazione statunitense informava di aver effettuato “bombardamenti di precisione contro postazioni di terroristi stranieri” sul villaggio di Betha, nel nord dell’Iraq. Quasi immediata la smentita dei medici dell’ospedale di Qaim che parlavano di circa quaranta morti civili tra cui alcune donne e dodici bambini: un massacro. E intanto i superstiti scavavano con le mani tra le macerie alla ricerca di altri corpi.
    Episodi del genere si contano ormai a centinaia nell’Iraq “liberato”.
    Confermando una tendenza in atto da tempo, nelle guerre sono soprattutto i civili ad essere vittime indifese di eserciti e milizie. In Iraq in particolare sono sempre più ostaggio delle truppe di occupazione e di quei gruppi (resistenti, guerriglieri, terroristi…o come si voglia chiamarli) che non fanno distinzione tra obiettivi militari e popolazione civile.
    Proprio nel giorno dei bombardamenti di Betha (31 ottobre 2005) il Pentagono, su richiesta del parlamento statunitense, rendeva pubblico un rapporto che calcolava in 26.000 gli iracheni uccisi o feriti dalla guerriglia dal marzo 2003. Ma aveva l’accortezza di non fare distinzioni tra civili ed esponenti delle forze di sicurezza. Soprattutto non forniva alcuna indicazione sulle vittime imputabili alle truppe di occupazione. Secondo l’organizzazione “Iraq body count” il numero dei civili uccisi sarebbe compreso tra 27mila e 30mila, il 37% dovuto al fuoco americano o inglese. Usa e Gran Bretagna sarebbero inoltre responsabili del ferimento di più di 40mila persone.
    E’ opinione di molti osservatori che queste cifre rappresentino solo una parte del massacro in atto contro la popolazione irachena. Per ammissione dello stesso Pentagono “il dipartimento della difesa non mantiene un conteggio preciso delle vittime irachene”. L’ex sergente dei marines Jimmy Massey (dopo aver raccontato di aver preso parte alla sistematica uccisione di civili ai posti di blocco) ipotizzava addirittura che il totale dei morti potesse arrivare a centomila. “Ma – aggiungeva – molto probabilmente non lo sapremo mai con certezza” , perché rimane incalcolabile il numero dei corpi abbandonati lungo le strade o frettolosamente sepolti in fosse comuni.
    Ovviamente sono più precisi i dati in merito ai caduti americani che da tempo hanno superato la soglia di duemila. Anche se l’amministrazione Usa continua a rassicurare i suoi cittadini insistendo sul fatto che il numero dei caduti (americani beninteso) è inferiore a quello del Vietnam, bisognerebbe calcolare anche le conseguenze future, traumi e malattie che perseguiteranno a lungo i reduci. Nella prima guerra del Golfo i caduti statunitensi furono poche centinaia, ma l’associazione dei reduci ha già denunciato più di ottomila decessi di ex militari che parteciparono alla “Tempesta”. E sono decine di migliaia coloro che in questi anni hanno accusato patologie dovute alle armi e munizioni in dotazione. Resta ora da vedere quali saranno gli effetti di uranio impoverito e fosforo bianco sui soldati inviati in Mesopotamia dal 2003. Per le popolazioni civili gli effetti sono invece già molto evidenti. A distanza di un anno è tornato prepotentemente d’attualità uno degli avvenimenti più orrendi di questa guerra: l’attacco contro Falluja (la “città delle cento moschee” diventata la “Guernica irachena”) del novembre 2004, operazione denominata al Fajr (l’alba).
    Nel suo libro “Fuoco amico” Giuliana Sgrena denunciava l’uso di Mk77 (in pratica napalm) e del fosforo bianco, citando proprio un’intervista al marine Jimmy Massey. Riportava anche il racconto di alcuni sopravvissuti che, tornati alle loro case (tra le poche rimaste in piedi), avevano trovato le stanze ricoperte da una polverina bianca. Molti si sentirono male e alcuni cominciarono a sanguinare appena iniziarono a pulire. E adesso ai racconti degli scampati si aggiungono le immagini atroci di quei corpi mummificati (ma con gli abiti intatti), di quei volti straziati dalla sofferenza. Proprio queste immagini hanno rilanciato con forza il dibattito sull’uso da parte dell’esercito americano di armi chimiche, in particolare del fosforo bianco.
    Quest’ultimo era già tristemente noto per essere stato usato dagli Italiani in Etiopia, dai nazisti alleati di Franco nel bombardamento della città basca di Guernica (aprile 1937), dalla Raf su Amburgo nel 1943, dagli Alleati su Dresda nel 1945, dagli Usa in Vietnam e da Saddam contro i Curdi negli anni ottanta. Alle testimonianze di alcuni ex militari come Jeff Garret (“Ho sentito via radio l’ordine di usare il Willy Pete, nome del fosforo bianco”) si è aggiunto un documento del governo inglese in cui si afferma chiaramente che gli americani “almeno in alcuni casi hanno usato armi chimiche”.
    Il direttore del centro studi per i diritti umani di Falluja, il biologo Mohamad Tareq al-Deraji, lo aveva già denunciato in giugno al Parlamento di Strasburgo. Aveva detto:” Una pioggia di fuoco è scesa sulla città, la gente colpita da queste sostanze ha cominciato a bruciare; abbiamo trovato gente morta con strane ferite, i corpi bruciati e i vestiti intatti”. Successivamente, dopo le smentite dell’ambasciata americana che protestava per la trasmissione di “Rai News 24” (“Falluja, la strage nascosta”), altre prove si sono aggiunte.
    Tre ufficiali statunitensi (un capitano, un sergente maggiore, un tenente) che avevano preso parte alla battaglia dell’8-20 novembre 2004, avevano inviato un memorandum agli Alti Comandi. Il testo venne poi pubblicato da Field Artillery (rivista dell’Artiglieria da campagna dell’esercito Usa) nel marzo 2005. Nel rapporto viene descritto l’uso del fosforo bianco contro obiettivi umani, per stanare gli insorti da trincee e cunicoli. Le azioni venivano denominate shake and bake (scuoti e cuoci). Il rapporto si conclude sottolineando come l’uso del fosforo bianco abbia avuto “effetti fisicamente e psicologicamente devastanti sugli insorti”. Anche un’altra rivista militare americana, Infantry Magazine, aveva riportato notizie in merito all’uso del fosforo bianco durante la battaglia di Erbil, nell’aprile del 2003.
    Il fosforo bianco usato in grandi quantità andrebbe considerato “un’arma di distruzione di massa di tipo non convenzionale” secondo Domenico Leggiero, ex ispettore internazionale al controllo degli armamenti. E aggiunge:” Il residuato dell’esplosione di fosforo bianco è un pulviscolo impercettibile che si posa ovunque, entra nelle stanze…reagisce con l’ossigeno, attacca in modo violento soprattutto mucose, bocca e apparato respiratorio. Funziona come una bomba neutronica, uccide ciò che è vivo”.
    Risale al 1980 la “Convenzione sulla limitazione e divieto delle bombe incendiarie” delle Nazioni Unite e al 1997 un nuovo documento sulla “proibizione di sviluppo, produzione, stoccaggio e uso di armi chimiche e sulla loro distruzione”. Documenti che, ironia della Storia, fornirono agli Usa la giustificazione per invadere l’Iraq.
    Gianni Sartori (2006)

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