L’assassinio di monsignor Oscar Romero, la “voce dei senza voce”

19 marzo 2015

Il 24 marzo del 1980 il vescovo Oscar Arnulfo Romero sta celebrando messa in una chiesa di San Salvador.
Alle 18.26 – mentre eleva il calice per la Consacrazione – un’auto si ferma davanti all’ingresso spalancato, scende un uomo, prende la mira, e da dove si trova, spara. Un solo colpo alla testa, la morte è immediata.

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Erano gli anni della Guerra Fredda. Il Comunismo era il nemico. Gli Stati Uniti non volevano comunisti nel loro “cortile”, che questo era per loro l’America Latina a quel tempo. Il sostegno alle dittature militari, i complotti e i colpi di stato non miravano soltanto a contenere il pericolo della diffusione dell’ideologia marxista, si estendevano a tutti coloro che agivano per il riscatto dei poveri, degli emarginati e sfruttati. Oscar Romero era uno di loro. Gli Squadroni della Morte decisero di farlo tacere.

Dal 1977, con la pubblicazione del libro di Gustavo Gutierrez, era entrata nell’uso comune l’espressione Teologia della Liberazione. Essa definiva una corrente cattolica dell’America del Sud schierata dalla parte dei più poveri – alcuni sacerdoti arrivarono a negare il sacramento della Comunione ai ricchi – con analisi della società talvolta prossime ai temi marxisti. Un sacerdote del Nicaragua, che dopo la rivoluzione entrò a far parte del governo sandinista, disse che prima di diventare cristiani bisognava essere marxisti-leninisti.

Romero non era sostenitore di queste posizioni, condannò la guerriglia di sinistra nel Salvador, non giustificò in nessun caso la violenza, vide nel materialismo marxista una negazione della spiritualità cattolica. Tuttavia stava dalla parte degli ultimi e con maggior evidenza  dopo l’assassinio del sacerdote suo amico Rutilio Grande.

«Quando guardai Rutilio che giaceva morto davanti a me pensai: “Se lo hanno ucciso per ciò che faceva, allora io devo seguire il suo stesso sentiero”».

Romero aveva scritto al presidente Jimmy Carter  e gli aveva chiesto di interrompere gli aiuti al governo dei militari. La notorietà e l’influenza crescevano di pari passo con le ostilità procuratagli dalle sue omelie. Dal pulpito leggeva ai fedeli  gli elenchi delle sparizioni, degli assassini e delle torture degli oppositori politici al regime. Essere  “voce dei senza voce”, degli operai e dei campesinos, come delle vittime degli Squadroni della Morte, era la missione che aveva scelto.

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Alvaro Savaria, condannato per l’omicidio di Romero, è stato amnistiato nel 1993, insieme ad altri colpevoli di crimini politici in violazione dei diritti umani. Da anni viveva negli Stati Uniti.

Fonte:

https://mcc43.wordpress.com/2015/03/19/assassinio-monsignor-oscar-romero-voce-dei-senza-voce/