JENIN, JENIN

 

 

04/gen/2011

Nell’aprile del 2002, a Jenin, Israele lanciò l’operazione “scudo di difesa” in risposta ad attentati suicidi, essendo alcuni dei kamikaze stati reclutati proprio lì, tra i disperati.

Il campo ospitava circa 14 mila palestinesi in pochi chilometri quadrati. Sarà un massacro senza precedenti, che colpirà anche civili indifesi: donne, vecchi e bambini. Più di un quarto dei profughi, che già vivevano in condizioni pessime, si troveranno le case distrutte o inagibili, perché colpite dall’artiglieria dei tank o degli elicotteri o abbattute dai bulldozer blindati.

Tahar Ben Jelloun, il famoso scrittore marocchino, scriverà: “Il crimine è lì, anche se ricoperto da tonnellate di macerie e di silenzio” (Jenin -un campo palestinese- Bompiani-)

Perché è stato censurato questo documentario ed il suo regista dovrà subire due processi, in Israele, dove vige la cosiddetta “libertà d’espressione”… ?

Jenin Jenin è un grido di dolore, di angosce inenarrabili, di rabbia e di desiderio di vendetta, di umanità. Bakri sparisce come presenza fisica o come voce fuori campo, non ricostruisce, neppure informa. Sono soltanto i volti e le parole dei profughi che informano, accusano, mostrano, processano, maledicono, resistono. Sono corpi e volti che sono colpiti alle radici della loro vita, della loro identità, delle loro storia. Ed alcuni di questi volti sono indimenticabili: un muto che mima efficacemente gli eventi a cui ha assistito; l’uomo che mostra la casa distrutta, elencando le tracce ridotte in macerie (il letto dove è morto suo padre, il fico di 52 anni, le pietre di cui essa era costituita); il giovane combattente lucido e sarcastico, che alla fine non trattiene una lacrima parlando della sua impotenza in quei giorni; un venditore di mercato che fa del gustosissimo teatro di strada fingendo di telefonare a Bush; e sopratutto la straordinaria ragazzina (avrà avuto allora 11-12 anni) lucida nel flusso ininterrotto di parole, di amore e di odio, poetica nelle sue metafore, determinatissima.

A ciò è da aggiungere il montaggio, che spezza le interviste per associazioni con altre, ricomponendole secondo una scansione narrativa fluida e corale, che testimonia con orgoglio l’indomita resistenza di un popolo; e inoltre l’uso limitato ma efficace di canti, musica e rumori, che si aprono come raccordo tra una sequenza e l’altra o per dare respiro grande alla tragedia che le parole e i volti esprimono.

Il regista Mohammad Bakri è un attore che ha lavorato con grandi autori palestinesi ed israeliani e noi lo conosciamo soprattutto per l’interpretazione di uno dei più bei film italiani di questo inizio secolo, Private di Saverio Costanzo, per cui è stato premiato come miglior attore protagonista al festival di Locarno del 2004.

In Italia il film è presentato dall’associazione Mediazione, un gruppo di singole persone, che ha dato vita a dei “progetti per il diritto all’informazione”. “Mediazione” nasce a Siena, per mostrare le realtà oltre i media. Nasce non per prendere partito, ma per pretendere che l’informazione non abbia partito.

 

Fonte:

https://www.youtube.com/watch?v=9xTqqqZg01I