ARTE PER JINWAR, SOSTENIAMO L’ECOVILLAGGIO DELLE DONNE, DOVE LA VITA È RIVOLUZIONE

Abbiamo dato il via a una campagna di raccolta fondi della durata di sette mesi, supportata con entusiasmo già da una trentina di artist*, che punta a raccogliere 30.000€ e andrà a sostenere le spese per l’acquisto di un’ambulanza per Jinwar.

Avere una possibilità di sottrarsi alle imposizioni del sistema di vita patriarcale e di creare qualcosa di diverso: una vita piena, vissuta comunitariamente. Questo hanno fatto decine di donne a Jinwar nel Nord Est della Siria, dove, dal novembre 2018, esiste un villaggio di sole donne, costruito con materiali naturali ed ecosostenibili, puntando alla completa autosufficienza, grazie alle energie rinnovabili e alla produzione agricola. Ci sono il forno, l’accademia, la scuola ed ora anche un centro di salute e cura: Şifa Jin, che come Rete Jin e Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) intendiamo sostenere con il crowdfunding “Arte per Jinwar. Sosteniamo l’ecovillaggio delle donne, dove la vita è rivoluzione”. Una campagna di raccolta fondi della durata di sette mesi, supportata con entusiasmo già da una trentina di artist* che hanno donato al progetto opere grafiche, pittoriche e fotografiche e la loro forza creativa.

Jinwar ha vissuto momenti drammatici negli ultimi mesi. Il villaggio ha rischiato di essere evacuato dopo che la Turchia, nell’ottobre del 2019, ha invaso il Nord Est della Siria. Da subito però le abitanti hanno deciso di difendere il proprio progetto e la propria autodeterminazione, nonostante gli attacchi che da più parti sta subendo l’intera regione.

L’invasione della Turchia ha comportato saccheggi (anche in un ospedale, a Serakanye) in una regione in cui l’embargo dura già dal 2012. Nel cantone di Afrin, occupato nel gennaio 2018, tra rapimenti e violenze di mercenari jihadisti ed esercito turco, continua la resistenza guidata dalle donne. L’esercito turco prosegue la sua sporca guerra, incendiando campi agricoli e abitazioni nelle zone di confine, come in prossimità di Til Tamer, bloccando, in piena pandemia, l’acquedotto di Alouk, e privando delle risorse idriche milioni di persone nella provincia di Heseke. L’invasione turca ha inoltre rinvigorito l’ideologia jihadista, favorendo l’aumento di attentati.

In questo scenario, le donne di Jinwar stanno costruendo un’alternativa pratica e concreta. E lo stanno facendo con amore e bellezza, curando la vita giorno per giorno. L’arte, espressione della creatività, non può che affiancare il percorso di questa preziosa comunità. Anche noi, a distanza, speriamo che la bellezza trasmessa dalle persone creative coinvolte nel nostro crowdfunding ne generi altrettanta con un aiuto concreto al villaggio.

Ringraziamo Cisda per il supporto, chi ha messo a disposizione la propria arte e coloro che vorranno sostenere il crowdfunding, visitando la pagina:

https://www.produzionidalbasso.com/project/arte-per-jinwar-sosteniamo-l-ecovillaggio-delle-donne-dove-la-vita-e-rivoluzione/

Per info: [email protected]

JIN JIYAN AZADI

Rete Jin
Giugno 2020

Fonte:

https://retejin.org/arte-per-jinwar-sosteniamo-lecovillaggio-delle-donne-dove-la-vita-e-rivoluzione/

Talmente presi dal Coronavirus, non ci stiamo preoccupando di queste terribili notizie (per noi e per il Pianeta)

Talmente presi dal Coronavirus, non ci stiamo preoccupando di queste terribili notizie (per noi e per il Pianeta)

Il Coronavirus è, inevitabilmente, l’argomento sulla bocca di tutti in questi giorni. Una situazione che si sta cercando di gestire, ma che di fatto ci sta facendo sottovalutare altri problemi molto seri che, una volta conclusa l’emergenza virus, ci troveremo comunque a dover affrontare.

Smettiamo per un attimo di pensare al Coronavirus, ai contagiati, a chi si trova in quarantena, ai supermercati svuotati e alle tante conseguenze di questa emergenza che sta vivendo il nostro paese. Prima o poi, tutto questo finirà ma, nel frattempo, l’attenzione verso altri gravi questioni che riguardano il nostro pianeta e tutti noi è un po’ troppo calata.

Mentre cerchiamo di isolare questo nuovo virus, cosa accade (di altro) nel mondo? La crisi climatica e sociale che stiamo vivendo è la più grande sfida che abbiamo mai affrontato. La vita sulla Terra è a rischio. Ma tutto questo non fa rumore. Il Coranavirus ci spaventa perché si amplificata in men che non si dica la percezione del rischio.

Per queste drammatiche situazioni, però, di cui siamo in gran parte a conoscenza da tempo, dalla guerra in Siria allo scioglimento dei ghiacci, dall’invasione di cavallette alla deforestazione selvaggia, non c’è (e non c’è stata) nessuna corsa verso possibili soluzioni reali.

Ma solo negazione, indifferenza. O, peggio, rassegnazione.

Invasione di cavallette

Invasione locuste Africa

©FAO

In varie zone del mondo, dall’Africa all’Asia, è in corso una vera e propria invasione di cavallette, una situazione senza precedenti che, ovviamente, sta creando gravi danni. Questi insetti, infatti, stanno devastando i raccolti e di conseguenza creando danni economici oltre che mettendo seriamente a rischio l’approvvigionamento alimentare di zone del pianeta già a rischio fame.

L’Antartide si scioglie

antartide senza neve

L’Antartide si sta sciogliendo di fronte agli occhi di tutto il mondo. Vi abbiamo mostrato le immagini incredibili di quanto sta accadendo nella terra dei ghiacci, riprese sia dai satelliti che dai ricercatori sulla terraferma. Lo scioglimento rapido dei ghiacciai è causato da temperature ben al di sopra dello zero, un fenomeno che l’Antartide fino a poco tempo fa non conosceva ma che ora, purtroppo, è sempre più comune.

L’ultimo record è stato di ben 20 gradi, con i i ricercatori della base del professor Escudero, dell’Istituto cileno antartico, che hanno filmato uno spettrale e preoccupante paesaggio senza neve.

Leggi anche:

L’Artico si scioglie

artico buchi permafrost

© Miriam Jones, U.S. Geological Survey

Anche l’Artico è ormai irriconoscibile, il permafrost si sta sciogliendo a causa del riscaldamento globale ma siamo alle prese anche con un altro problema: la possibilità che il metano intrappolato sotto i ghiacci, con la sua mole 25 volte più dannosa della CO2, possa fuoriuscire a breve.

Caldo record

Ce ne siamo accorti tutti, fa tanto, troppo caldo, per essere ancora inverno. E i dati parlano chiaro: gennaio è stato il più caldo di sempre e anche febbraio non è da meno. Sembra che a breve torneranno freddo e neve, ma nel frattempo si sono verificati diversi problemi: le api sono state scombussolate da questo clima pazzo, le processionarie sono tornate a farsi vive in anticipo e anche le colture sono a rischio. Una situazione generale decisamente preoccupante. Senza contare che nei prossimi giorni le temperature subiranno un brusco calo e si attendono pioggia e neve.

Alberi abbattuti e disboscamento

Deforestazione Amazzonia

Continua indisturbata la strage di alberi in tutto il mondo. Anche nelle nostre città vengono abbattuti come se niente fosse, per fare spazio a nuove costruzioni e infrastrutture, senza considerare i danni ambientali e che il disboscamento è un problema da prendere seriamente in considerazione dato che iniziano a scarseggiare, o ad essere sempre più “poveri”, i polmoni verdi in diverse parti del pianeta.

Inquinamento

Smog infelicità

E’ calata l’attenzione anche verso un problema diffuso un po’ ovunque, Italia compresa, quello dell’inquinamento. Le centraline continuano a segnalare qualità dell’aria pessima in diverse città e, nel frattempo, in zone rosse come Taranto e la terra dei Fuochi si continua a morire per gli effetti di una situazione di inquinamento insostenibile e trascurata per anni.

I bambini siriani muoiono sotto le bombe o di freddo

papa siria 3

Le immagini e le notizie che provengono dalla Siria sono devastanti: i bambini muoiono sotto le bombe anche quando sono a scuola, altri invece li porta via il freddo mentre sono tra le braccia dei propri genitori all’interno dei campi per rifugiati. Vi abbiamo parlato anche di quel papà che si è inventato un gioco per far ridere la sua bambina mentre scoppiano le bombe.

Massacro di delfini

delfini baia taiji

©RicO’Barry’sDolphinProject/Facebook

Continua proprio in questi giorni il crudele massacro di delfini nella Baia di Taiji. Si parla, solo nelle ultime ore, di 55 delfini massacrati, compreso un cucciolo strappato alla sua mamma. Una situazione terribile e una tradizione dura a morire che da anni gli animalisti cercano di fermare ma senza successo.

Leggi anche:

Il coronavirus ha drasticamente ridotto le emissioni inquinanti della Cina

 

Fonte:

https://www.greenme.it/informarsi/ambiente/terribili-notizie-ambiente/?fbclid=IwAR0GGBhNH9Q4mHVo5CPRDRG3XIqSmkpIwkbWH1qjqxXj6Ke7NnbbaEcdeNA

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SIRIA: IDLIB, UCCISI PIU’ BAMBINI NELL’ULTIMO MESE CHE NEL 2018

Dalla pagina Facebook di 
Alberto Savioli

#Siria A #Idlib sono stati trucidati più bambini in un mese che nel 2018. Ci sono immagini che diventano delle icone della brutalità e dell’orrore. Sono immagini e vite ignorate da chi si riempie la bocca con parole come pace “pace” o “fine della guerra”, svuotate del loro significato perché hanno lo scopo di riabilitare #Assad. Quanti preti e suore si contano tra questi ignavi che postano sulle loro bacheche la lettera di Papa Francesco ad Assad, ignorando e distorcendo il suo contenuto!

Informazioni su questo sito web
INDEPENDENT.CO.UK
Charity says more children were killed in Idlib last month than in whole of 2018
Fonte:

Video: “Un edificio, una bomba: così Assad ha gasato il suo popolo”

Fonte:

PARLIAMO DI ARMI CHIMICHE IN SIRIA

Parliamo di armi chimiche in Siria

E’ uscito un rapporto Opcw che non piacerà ai complottisti

14 Giugno 2018 alle 21:21

La Via del sarin

I resti di un razzo sparato dalle forze del regime nella città di Douma, nella regione di Ghouta. Foto LaPresse

Due giorni fa l’Opcw, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha pubblicato il suo ultimo rapporto sull’uso di armi chimiche in Siria. C’è scritto che nel marzo 2017 ci furono un attacco con l’agente nervino e uno con il cloro contro due villaggi nel centro del paese, vicino Hama. Pochi giorni dopo, il 4 aprile, ci fu l’attacco con una bomba al sarin contro il villaggio di Khan Shaykhun, vicino Idlib, che fece cento morti. I primi due passarono inosservati perché provocarono molti meno morti e meno documentati, il terzo causò una strage. Lo scriviamo per quei testoni che ancora credono che gli attacchi con le armi chimiche in Siria siano stati soltanto tre in otto anni di guerra civile, quelli coperti dalla grancassa dei media mondiali. Sono stati decine. Se si è parlato molto soltanto di quei tre attacchi è perché hanno colpito concentrazioni di esseri umani più dense e hanno fatto molte vittime, ma erano un fatto molto più comune di quanto si crede. E invece dopo ogni strage con le armi chimiche abbastanza grave da finire sui telegiornali ci tocca ascoltare qualche teoria del complotto che comincia con la domanda carica di insinuazioni: “Perché proprio adesso?”. Perché non vi siete accorti degli altri attacchi, quelli minori, eravate troppo distratti a seguire altro.

 

Questo rapporto è stato scritto dalla missione così detta Fact Finding dell’Opcw, che non ha il compito di attribuire una responsabilità (anche se le bombe furono sganciate da elicotteri, che soltanto il regime ha). La missione successiva dell’Opcw per capire chi è stato è stata bloccata da un veto della Russia al Consiglio di sicurezza. Chissà perché.

 

Fonte:

https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/06/14/news/parliamo-di-armi-chimiche-in-siria-200600/?paywall_canRead=true

SIRIA: LA FUGA DEI CIVILI DA HAMOURIA, NELLA GHOUTA ORIENTALE, NELLA FOTO-SIMBOLO DEL BIMBO NELLA VALIGIA

La fuga dei civili da Hamouria nella foto-simbolo del bimbo nella valigia

Questo bambino assonnato, la cui testolina spunta dalla valigia dove i suoi genitori l’hanno infilato come una racchetta da tennis o un paio di scarpe, è l’ennesimo simbolo dell’atrocità della guerra siriana. Di lui si sa poco, se non che era uno dei 40mila disgraziati costretti a scappare ieri – 15 marzo – da una cittadina di Hamouria, nella Ghouta orientale, l’area a est di Damasco nelle mani della rivolta, per via di un violentissimo bombardamento delle forze lealiste. L’esodo verso la capitale, attraverso i corridoi umanitari controllati dal regime, è massicciamente ripreso stamattina. E soltanto oggi, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, l’attendibile ong anti-Assad con sede a Londra, sono state uccise 64 persone dagli attacchi delle forze governative appoggiate dai caccia di Mosca, i quali hanno martellato la cittadina di Kafr Batna.
Dal 18 febbraio scorso, l’inizio dell’ultima, pesantissima offensiva dell’esercito del presidente Bashar al Assad per riprendere l’enclave ribelle, sono state massacrate 800 persone, la maggior parte delle quali civili. E ciò nonostante le ripetute richieste di cessate-il-fuoco lanciate dalla comunità internazionale. In sette anni di guerra, di cui due giorni fa era il triste anniversario del suo inizio, quasi 12 milioni di siriani sono stati costretti a lasciare la loro casa. Il piccolo di Hamouria è uno di questi.
di PIETRO DEL RE

Fonte:

SIRIA: LA COALIZIONE A GUIDA USA HA USATO FOSFORO BIANCO

Siria: la coalizione a guida Usa ha usato fosforo bianco

16 giugno 2017

Siria, Amnesty International conferma: la coalizione a guida usa ha usato fosforo bianco. Possibile crimine di guerra

Amnesty International ha confermato che l’impiego, da parte della coalizione a guida statunitense, di munizioni al fosforo bianco nella zona di al-Raqqa, in Siria, è stato illegale e può costituire crimine di guerra.

L’organizzazione per i diritti umani ha esaminato cinque video, pubblicati in rete l’8 e il 9 giugno, in cui si vede l’artiglieria della coalizione lanciare munizioni al fosforo bianco contro le zone di Jezra ed el-Sebahiya.

Il fosforo bianco è prevalentemente usato per creare una densa cortina fumogena per rendere invisibili al nemico i movimenti delle truppe e per indicare gli obiettivi dei successivi attacchi. In casi del genere, il suo uso non è vietato anche se è richiesta estrema cautela, mentre è assolutamente vietato nelle vicinanze di insediamenti di civili.

L’uso di munizioni al fosforo bianco da parte della coalizione a guida Usa mette gravemente in pericolo la vita di migliaia di civili intrappolati ad al-Raqqa e nei dintorni della città e può costituire un crimine di guerra. Può provocare terribili ferite bruciando la pelle e le ossa e può riattivarsi riprendendo fuoco a distanza di settimane“, ha dichiarato Samah Hadid, direttrice delle campagne sul Medio Oriente di Amnesty International.

Le forze sotto il comando degli Usa devono immediatamente indagare sugli attacchi contro Jezra ed el-Sebahiya e prendere tutte le misure possibili per proteggere i civili. L’uso di fosforo bianco in zone densamente abitate determina un rischio inaccettabilmente alto per i civili e quasi sempre rappresenta un attacco indiscriminato“, ha continuato Hadid.

Amnesty International ha verificato, anche attraverso riscontri incrociati, cinque video pubblicati in rete l’8 e il 9 giugno 2017. Le immagini mostrano chiaramente, da diverse angolature, il lancio di munizioni al fosforo bianco e la loro caduta incendiaria sugli edifici. Il ripetuto impiego del fosforo bianco in circostanze in cui è probabile che le parti incendiarie vengano a contatto con i civili viola il diritto internazionale umanitario.

Secondo l’analisi di Amnesty International, le munizioni al fosforo bianco dovrebbero con ogni probabilità essere degli M825A1 da 155 millimetri di fabbricazione statunitense.

Secondo il gruppo locale di monitoraggio “Raqqa viene massacrata nel silenzio” e altre fonti locali, in uno degli attacchi sono stati uccisi almeno 14 civili. Nelle zone oggetto dell’attacco erano presenti anche molti profughi provenienti dai quartieri occidentali di al-Raqqa. I combattimenti si sono intensificati con l’inizio dell’offensiva delle Forze democratiche siriane, sostenute dalla coalizione a guida Usa, destinata a strappare la città allo Stato islamico. I civili intrappolati in città e nei suoi dintorni sono centinaia di migliaia.

Amnesty International sta monitorando la condotta di tutte le parti coinvolte nel conflitto di al-Raqqa, le quali hanno l’obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario e le norme applicabili in quel contesto del diritto internazionale dei diritti umani.

La protezione delle forze militari non può prendere il sopravvento sulla protezione dei civili. La coalizione a guida Usa e le Forze democratiche siriane devono evitare l’uso di armi esplosive di grande impatto e di armi imprecise contro le zone popolate e devono assumere tutte le misure possibili per proteggere la popolazione civile”, ha sottolineato Hadid.

Fosforo bianco usato anche a Mosul

Anche se non si è ancora espressa su al-Raqqa, la coalizione a guida Usa ha confermato il recente uso di fosforo bianco a Mosul, a suo dire per creare una cortina fumogena che favorisse la fuga dei civili dalle aree ancora sotto il controllo dello Stato islamico.

 

Fonte:

https://www.amnesty.it/siria-amnesty-international-conferma-la-coalizione-guida-usa-usato-fosforo-bianco-possibile-crimine-guerra/

SIRIA, L’ACCUSA DEGLI USA A ASSAD: “50 IMPICCAGIONI AL GIORNO E FORNI CREMATORI NEL CARCERE DI SEDNAYA”

Siria, l’accusa degli Usa ad Assad:
«50 impiccagioni al giorno e forni crematori nel carcere di Sednaya»

Il Dipartimento di Stato Usa mostra una serie di immagini satellitari che provano la costruzione di una struttura per bruciare i corpi degli oppositori detenuti e uccisi nella prigione militare. La Casa Bianca: «Siria non sicura fino a quando ci sarà Assad»

Una delle immagini diffuse dal Dipartimento di Stato che mostra a destra la costruzione adibita a forno crematorio Una delle immagini diffuse dal Dipartimento di Stato che mostra a destra la costruzione adibita a forno crematorio

«Assad sta impiccando cinquanta persone ogni giorno e usa i forni crematori per sbarazzarsi dei corpi degli oppositori uccisi». L’accusa, pesantissima, arriva dagli Stati Uniti. Il responsabile del Dipartimento di Stato per il Medio Oriente Stuart Jones, durante una conferenza stampa che si è tenuta a Washington, ha spiegato di avere prove dell’esistenza di una fornace, vicino al carcere di Sednaya, la prigione militare a nord di Damasco, i cui orrori sono già stati denunciati, tra gli altri da Amnesty International il febbraio scorso in un dettagliato rapporto. E la Casa Bianca torna a lanciare un ultimatum al regime: «La Siria non sarà sicura e stabile finché Assad sarà al potere», ha detto il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer.

Secondo il Dipartimento di Stato il forno sarebbe stato utilizzato per sbarazzarsi dei corpi dei prigionieri morti. Gli americani sono in possesso di diverse immagini satellitari, presentate alla stampa, da cui si desume che una struttura all’interno della prigione militare è stata modificata trasformandola in un crematorio. Sempre secondo l’intelligence qui vengono impiccati almeno 50 detenuti ogni giorno un dato che coincide con quanto riportato da Amnesty International che parlava nel suo rapporto di 13 mila morti in 6 anni. Nella prigione si trovano migliaia di persone, detenute dal regime in sei anni di guerra civile. Il mondo, ha detto Stuart Jones, assistente segretario per gli Affari esteri del Vicino Oriente, è di fronte a «nuovi livelli di depravazione raggiunti» dal regime di Bashar Assad.

Amnesty International e molti oppositori hanno denunciato in passato gli orrori del carcere militare fatto costruire dagli Assad negli anni ‘80 e da sempre utilizzato per far sparire i dissidenti. «Quando ci dissero che saremmo andati a Sednaya cominciammo a piangere. E non smettemmo per tutto il tragitto», ha raccontato al Corriere della Sera uno dei sopravvissuti. Appena arrivati lui e i suoi compagni sono fatti denudare e picchiati duramente. Dopodiché sono loro spiegate le poche semplici regole della prigione. «Primo non puoi alzare la testa e guardare i secondini in faccia. Pena la morte. Ho visto molta gente essere uccisa così», ha aggiunto l’uomo. L´altra regola è quella del silenzio: i prigionieri non possono parlare tra loro, nemmeno sussurrare. Dopo questo «benvenuto» il testimone ha raccontato al Corriere di essere stato rinchiuso in una cella sotterranea da nove persone, grande circa due metri quadrati. Uno dormiva, e gli altri stavano in piedi. «Tutti completamente nudi uno attaccato all’altro».

Secondo quanto si legge nel rapporto di Amnesty le esecuzioni avvenivano di notte, ogni lunedì o martedì, quando nella prigione regnava il silenzio, gruppi di 50 detenuti venivano impiccati due o tre volte a settimana. Una pratica tenuta segreta e praticata tra settembre 2011 e dicembre 2015 ma che potrebbe essere tuttora in vigore. Molti prigionieri, spiegava ancora la ong, sono morti anche per le «politiche di sterminio» delle autorità, che comprendono torture ripetute, privazione del cibo, dell’acqua e delle medicine. Secondo Amnesty le esecuzioni erano state autorizzate dal governo siriano ai più alti livelli.

La rivelazione americana arriva alla vigilia della nuova tornata di colloqui negoziali sulla Siria previsti per martedì a Ginevra e che – ha detto l’inviato dell’Onu in Siria, Staffan De Mistura – procedono «in tandem» con i negoziati di Astana. Per De Mistura i colloqui di Ginevra servono a «battere il ferro finché è caldo» e a disegnare, a partire dagli accordi di Astana, un «orizzonte politico» per il paese mediorientale devastato dal conflitto civile.

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Fonte:
http://www.corriere.it/esteri/17_maggio_15/siria-l-accusa-usa-ad-assad-50-impiccagioni-giorno-forni-crematori-carcere-sednaya-59c90362-398c-11e7-8def-9f1d8d7aa055.shtml

Attacco Usa in Siria, Trump sconfessa la sua linea. Ma l’avvertimento preventivo alla Russia conferma l’intesa con Mosca

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Attacco Usa in Siria, Trump sconfessa la sua linea. Ma l’avvertimento preventivo alla Russia conferma l’intesa con Mosca
Mondo
Il bombardamento della base aerea di Shayrat non rappresenta in sé un’escalation nella crisi siriana. Altrimenti metterebbe a rischio le intese che Mosca, Washington e Ankara hanno raggiunto per stabilire sul Paese, ormai in macerie, la loro personale area d’influenza. Se Russia e Cina sono state davvero informate dell’attacco, il bombardamento Usa alla base di Shayrat ha scopo puramente dimostrativo
“Quello che sto dicendo è rimanete fuori dalla Siria!”. Lo scriveva Donald Trump su twitter il 4 settembre del 2013, pochi giorni dopo l’attacco con armi chimiche nella zona di Ghouta, a Damasco, dove circa 1400 persone vennero uccise. Allora, per il presidente Barack Obama, era stata superata la linea rossa tracciata dall’ex segretario di Stato John Kerry. A quel tempo l’intervento americano non ci fu. Perché grazie alla mediazione russa si trovò un accordo per chiedere a Damasco di consegnare, sotto la supervisione di osservatori dell’Opac – l’organizzazione mondiale per la proibizione delle armi chimiche -, tutti i quantitativi di sarin stoccati nei magazzini. Quell’intesa segnò una nuova pagina per la crisi siriana che condusse l’amministrazione Obama verso un ruolo più defilato, in favore di una Russia maggiormente attiva nel contesto siriano.Con l’amministrazione Trump, che aveva criticato l’approccio di Obama nella questione mediorientale, è parso subito chiaro che gli Usa sposassero una linea non interventista, cercando con la Russia un’intesa per un coordinamento nella lotta al terrorismo. Una visione che aveva avuto risvolti politici, almeno a parole.

La settimana scorsa Nikki Haley, ambasciatrice Usa presso le Nazioni Unite, aveva affermato che “per gli Usa la rimozione di Assad non era più la priorità”. A fare da eco alle sue parole ci aveva pensato anche Rex Tillerson, segretario di Stato Usa che, durante una visita ad Ankara il 30 marzo scorso, aveva detto che “il destino di Assad sarebbe stato scelto dai siriani”.

Dichiarazioni in linea con la posizione del Cremlino che ha sempre ribadito il suo appoggio al governo di Damasco. Ed emergeva così il raggiungimento di una visione comune o almeno un cambio di rotta.

Non a caso il 7 marzo scorso ad Antalya, in Turchia, i tre capi di Stato maggiore di Usa, Turchia e Russia si erano riuniti per discutere della situazione intorno a Munbij, città siriana nel nord della Siria, dove le forze armate sostenute da questi tre paesi si erano scontrate. “C’è la volontà di creare un coordinamento efficace negli sforzi per eliminare ogni gruppo terroristico dalla Siria”, aveva dichiarato il primo ministro turco, Binali Hildirim.

Ma secondo molti analisti questo coordinamento aveva come scopo quello di creare per ogni potenza aree d’influenza sotto l’ombrello della lotta al terrorismo. Solo due giorni dopo, il 9 marzo, centinaia di marines sono entrati in Siria per combattere contro lo Stato Islamico a fianco delle ‘Forze democratiche siriane’, una formazione predominata dai curdi e sostenuta da Washington. Mentre la Turchia, in quegli stessi giorni, intensificava la sua operazione “scudo dell’Eufrate” per creare una zona cuscinetto nel nord della Siria.

Ma dopo l’attacco chimico a Khain Sheikhun il 4 aprile scorso, l’approccio americano in Siria sembra cambiare drasticamente. “Quello che ho visto ieri su bambini e neonati ha avuto un grande impatto su di me. Quello che è successo ieri è inaccettabile. Su Assad ho cambiato idea”, ha detto Trump il giorno dopo in conferenza stampa con re Abdullah II di Giordania.

Dopo l’attacco con 59 missili che ha colpito la base di Shayrat, il portavoce del Pentagono ha riferito che “i russi erano stati informati dei piani Usa per minimizzare i rischi per il personale russo e siriano presente nella base aerea”. Mentre il presidente cinese Xi Jinping, scrive la stampa, è avvisato personalmente da Trump durante il meeting in Florida.

Se Russia e Cina sono state davvero informate dell’attacco, allora il bombardamentoUsa alla base di Shayrat ha scopo puramente dimostrativo. Motivato dal desiderio di riaffermare il ruolo di Washington sullo scacchiere internazionale. Per la Cina rappresenta invece un segnale di imprevedibilità di Trump che continua a alzare i toni contro la Nord Corea, sostenuta da Pechino. Quindi Pyongyang potrebbe non essere più immune a rappresaglie Usa. Ma la cosa più importante dell’avvertimento preventivo a Cina e Russia è che l’attacco della notte scorsa non rappresenta un’escalation della crisi siriana. Perché in quel caso a rimetterci sarebbero le varie potenze che hanno raggiunto alcune intese per stabilire sul Paese, ormai in macerie, la loro personale area d’influenza.

Fonte:

ATTACCO CHIMICO IN SIRIA: IL DIARIO DI MEDICI SENZA FRONTIERE E UNA PETIZIONE

Attacco chimico in Siria, il diario
di Medici senza Frontiere:
«Portate l’atropina, serve aiuto»

Minuto per minuto così le squadre della ong hanno soccorso i feriti dopo il raid di martedì. Il racconto del capo missione italiano

(Foto Ap)(Foto Ap)

«Sono in Siria da un anno e tre mesi. E un attacco di quest’entità io non l’ho mai visto». Massimiliano Rebaudengo, 43 anni, è capo missione di Medici Senza Frontiere in Siria. Parla al telefono. Racconta una giornata — martedì 4 aprile 2017 — in cui sono morte 75 persone a Khan Sheikhoun, nel nord della Siria. Nomi e date che chi ha visto non dimenticherà mai. «Un attacco chimico di cui va attribuita la responsabilità» per le Nazioni Unite. «Una strage di bambini» per politici e giornali. Ma nel racconto dei dottori non c’è spazio per la retorica del dolore o per il linguaggio diplomatico. In guerra a parlare per prime sono le cifre. Numeri che vanno a braccetto con i nomi dei gas usati per sterminare i civili: sarin, agenti neurotossici, cloro, ammoniaca. «Quando nei nostri ospedali arrivano dieci feriti parliamo di mass casualty (afflusso massiccio di vittime, ndr). Martedì è stato diverso. Solo il nostro staff medico ha visto 92 pazienti». Si parte da qui. Poi, Rebaudengo inizia la cronaca.

Ore 8:30

I dottori di Msf dell’ospedale di Athmeh sono stati avvertiti via telefono che c’è stato un attacco. Nella conversazione, le fonti avvertono che molto probabilmente sono state usate armi chimiche contro i civili. Non è la prima volta che accade. Lo staff di Msf che si trova sul campo— «tutti uomini, tutti siriani» — ha già visto e trattato pazienti intossicati dai gas delle armi chimiche. Solo una settimana prima, un ortopedico è morto durante il trasporto dopo essersi intossicato curando un paziente a Latamneh colpita da un raid con gli elicotteri. Passano pochi minuti e lo staff capisce che questa volta è diverso. O, meglio, non è diverso. «È più grave». Da Gaziantep, al confine tra Siria e Turchia, viene coordinata la missione. In meno di due ore dall’attacco — che è iniziato alle 6:50 — cinque medici e tre équipe si mettono in movimento per raggiungere gli ospedali nella zona dell’attacco. Si deve decidere in fretta, non c’è spazio per le incertezze. Chi va dove? «Tre medici partono per l’ospedale più grande al confine con la Turchia, quello di Bab el Hawa, una squadra viene inviata all’Atmeh Charity dove si trova tutt’ora e un terzo team va all’ospedale di Hass, più piccolo degli altri». Il protocollo è sempre il solito, anche in un contesto del genere. Si viaggia sulle ambulanze e sui minivan, mantenendo costantemente il contatto radio con chi coordina la missione. Prima di partire si forniscono le coordinate dell’itinerario. Ma al di là delle regole e delle procedure, chi sale in auto sa molto bene che rischia di morire in qualsiasi momento. «In questa guerra che dura da sei anni, i nostri medici, le nostre ambulanze, i nostri convogli umanitari e i nostri ospedali sono diventati un target militare come un altro».

Tra le 10:30 e le 11:30 secondo le località

Lo staff raggiunge gli ospedali. Altro protocollo da seguire. «Si indossano le tute integrali, le maschere e i guanti rinforzati e solo allora si possono iniziare a visitare i pazienti che vanno prima spogliati e poi lavati». Il rischio contaminazione è altissimo. Basta un errore e il medico si trasforma in paziente. L’elenco dei feriti che arrivano da Khan Sheikhoun e visitati da Msf si allunga con il passare delle ore: «Diciassette a Bab el Hawa,8 ad Hass, 35 ad Atmeh». Lo screening dei sintomi è lungo. «Le pupille ristrette, gli occhi infiammati, l’incoscienza e l’incontinenza lasciano presupporre l’uso di un agente neurotossico che potrebbe essere Sarin». Bambini, donne, vecchi. I pazienti sono di tutte le età, nessuno viene risparmiato. «Mancanza di respiro, cianosi e odore di candeggina sulla pelle indicano l’uso di un agente soffocante come il gas clorino», è il primo report stilato dallo staff. Iniziano anche i primi decessi: «Quattro morti ad Hass, molti di più a Bab el Hawa, di Atmeh non si conoscono ancora le cifre». I sopravvissuti lottano per respirare, non riescono a raccontare nulla. I bambini che ce l’hanno fatta sono in stato di choc. Due infermieri di Bab el Hawa si contaminano. «In tutte le strutture mancano i farmaci, serve atropina, idrocortisone». Msf dona i medicinali che ha portato.

Ore 21:30

I medici sul campo riferiscono via telefono al team di Gaziantep le prime diagnosi. «I sintomi sono coerenti con l’esposizione ad agenti neurotossici come il sarin e ad agenti soffocanti come il gas cloro». Sono parole pesate con cura, che l’indomani verranno trasmesse nei comunicati stampa della ong. Ma non c’è tempo di fermarsi. La squadra all’Atmeh Charity rimane sul campo. Sono appena arrivati altri 35 pazienti, tutti in condizione critiche. Il lavoro da fare è appena iniziato. Intanto, sui telegiornali della sera passano le immagini dei piccoli corpi cianotici. Qualcuno si ferma a guardare. Qualcuno tira dritto o cambia canale. La Siria è lontana. O, almeno, così pare.

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Fonte:

http://www.corriere.it/esteri/17_aprile_06/attacco-chimico-diario-un-medico-c387cde0-1a3f-11e7-988d-d7c20f1197f1.shtml

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Il popolo siriano e l’Umanità hanno il medesimo destino!

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:

A girl waves an opposition flag during an anti-government protest inside a 2nd century Roman amphitheater in the historic Syrian southern town of Bosra al-Sham, in Deraa

Abbiamo appena assistito in diretta all’ennesimo infame crimine di guerra del regime di Asad in Siria! E’ stato documentato e ha già fatto il giro del mondo; è chiaramente una  violazione delle norme internazionali: perciò è tempo di farla finita!

Le istituzioni internazionali si dimostrino finalmente garanti dei trattati internazionali di cui le Nazioni Unite sono depositarie!

L’attacco chimico avvenuto a Khan Sheikhun, in provincia di Idlib oggi 4 aprile 2017, è una ennesima provocazione del regime a tutta la Comunità delle Nazioni che si rifanno ai diritti dell’Uomo e della Donna e alle Convenzioni di Ginevra – firmate dopo la sconfitta del nazi-fascismo. Si tratta di un evidente crimine contro l’Umanità in cui sono stati uccisi decine e decine di civili innocenti e inermi, compresi tantissimi minori.

Come sempre il regime scommette sulla propria impunità. Damasco cerca di provocare maggiore sangue e più spirito di vendetta nella popolazione civile siriana, che ha già subito 6 anni di massacri indiscriminati.

Il ciclo macabro che Bashar al-Asad ha innescato nel 2011 doveva portare il suo regime a vincere la competizione dell’orrore, che lui stesso ha unilateralmente decretato. La popolazione civile con le sue proteste pacifiche e il suo spirito allegro ha invece scelto di percorrere il binario opposto, quello del riscatto sociale e culturale, prima che politico e militare. Questa riconquista della propria dignità di popolo è ciò  che ha spinto  tutti noi dal primo giorno a sostenere le istanze e lo spirito di rinnovamento profondo in Siria – voluto da tutti i settori oppressi della popolazione – e a scendere in piazza insieme ai siriani che stavano riconquistando la propria Libertà.

Dopo l’attentato alla metropolitana di San-Pietroburgo di ieri 5 aprile, in cui sono morti altri civili innocenti, il regime di Asad ha voluto nuovamente imporsi sulla scena come il dittatore capo. Fino a quando non verrà rimosso dal suo incarico il popolo siriano non avrà Pace, né ci sarà pace in Medio-Oriente.

Perciò noi firmatarie e firmatari pretendiamo dal governo italiano e dall’Unione Europea:

– la messa al bando di tutti i funzionari del regime siriano che lavorano ancora all’interno delle istituzioni internazionali;

– la presa di distanza tra le istituzioni internazionali e gli apparati di Stato in Siria in modo che gli aiuti umanitari possano essere distribuiti senza il ricatto delle milizie lealiste;

– la convocazione immediata di una Conferenza Siriana Permanente sotto l’egida ONU che lavori a una formula costituzionale per il Paese e che lo allontani definitivamente dalla dittatura mettendo al bando gli apparati di repressione.

Noi crediamo che il regime siriano cadrà da solo, senza necessità di un intervento militare straniero, dal momento in cui verrà messo al bando.

Nessuna interlocuzione d’ ora in poi! Diciamo al regime la verità: non sei gradito!

E’ finita ora.

Aderisci anche tu: scrivi con il nome esatto che vuoi che figuri a:

libertainsiria@yahoo.it 

oppure indicalo in commento al post:     sulla pagina fb:

Salomo Kilpatrick

Primi firmatari (in ordine alfabetico)

Yasmine Accardo, Italia
Martina Acone
Daniela Alberghini, Bologna
Amina S. Ali, New York, NY
Amer Al Rassas, Lebanon
Abdulhadi Altaleb
Wael Ammar, Italy
Filomena Annunziata, italia
Ruthanne Ashkar, Manchester, Michigan, USA
Nafeez Aurangzeb, Edmonton, Canada
Alice Azzalin
Marianna Barberio
Mariano Manuel Bartiromo
Farouk Belal, Washingon DC
Maria Bell, New Jersey, USA
Veronica Bellintani, Italy
Andy Berman Minnesota Chapter 27 Veterans for Peace
Pierluigi Blasioli
Alessia Borzacchiello
Sheryl Amal Brill, Canada
Toni Brodelle, House of Lords task group (Syria/refugees)
Anca Budeanu
Terry Burke, Minnesota, CISPOS
Michele Calenzo
Andrea Castelli
Marina Centonze, Italy
Chiara Cetrulo, Italy
Valentina Chiocchi
Giulia Cocca, Italy
Gizele Alves Costa, Brasile
Albina Bianca Maria Cotza
Sasha Crow, Founder (retired) Collateral Repair Project, Jordan
Amina Dachan, Italy
Asmae Dachan, Italy
Michelle Dean, Bristol
Maria De Chiara, Italia
Lorenzo Declich, Italy
Mauro Destefano
Camilla Dixon, Skellefteå, Sweden
Nurah El Assouad
Ofelia Epifanio
Beatrice Esposito, Italy
Ann Eveleth, Anti-War Committees in Solidarity w/ the Struggles for Self-Determination
Loretta Facchinetti, Italy
Samantha Falciatori, Italy
Darren Fenwick, Human Rights Activist, Lawyer
Roberta Ferrullo, Italy
Marinella Fiaschi
Tullio Florio, Napoli, Italy
Simona Fontana
Caricchia Francesca, Italy
Ghiloni Francesca
Raffaella Francesca, Italy
Sandra Friel, UK Ireland
Giuseppe Fuccella
Simone Galanti, Brasile
Cristina Gemmino
Francesca Ghiloni, Italia
Greta Giberti, Italy
Sheena Gleeson, Hackney, London
Deborah Green, Australia
Margaret Green, Newcastle, UK
Bronwen Griffiths, UK
Sami Haddad
Ina Hartgers, Almere, the Netherlands
Zubêr Hatia, Hampshire, UK
Daniel Hayeem, London
Jon Hillström, the Netherlands
Mikael Jungqvist, Sweden
Rami Kamal, USA
Michael Karadjis, Australia
Deidre Kellogg, Human2Human Compassion
Jim Kubik, Chicago suburbs, Illinois, USA
Alessandro Liberatoscioli
Sara Loudayi
Lodi Maria, Los Angeles
Noemi Martinelli
Rachida Mazarie, France
David McDonald, USA
Roberta Milani Italia
Silvia Moroni
Angela Musa, Sardegna
Fiammetta Mura, Italy
Ida Orlando, Italia
Leila Nachawati Rego, professor at Carlos III University
Siria Niviano
Giulia Njem
Rima Njem
Christa Rihani Ooms, the Netherlands
Valentina Pansanella
Giulia Paoli, Italy
Alfredo Pastore, Sesto Fiorentino
Genevieve Penny, Los Angeles, CA
Andrea Pettersson, Malmö Sweden
Eugenio Piccilli, Italy
Laura Piras
Donatella Quattrone
Regiana Queiroz
Claire Richards-Eljadi, Bristol, UK
Therese Rickman-Bull
Mary Rizzo, blogger “We Write What We Like”, Italy
Fouad Roueiha, Italy
Fabio Ruggiero,
Mobin Safi
Alex Salamone, Roehampton, London, UK
Fiorella Sarti, Italy
Alberto Savioli
Cheryl Seelhoff, Seattle, Washington, USA
Noemi Sirignano
Rosanna Sirignano, Italy\Germany
Lindsey Smith
Irene Tavani
David Turpin Jr., Antiwar Committees in Solidarity with Struggles for Self Determination
Ina Varfaj
Elisabetta Vespa
Johannes Waardenburg, the Netherlands
Kelly Warren, Oregon, USA
Joshka Wessels, Sweden
Sina Zekavat, New York, USA
Chiara Zimbili

Sigle/associazioni:

Comitato permanente per la Rivoluzione siriana

Rose di Damasco

Studenti Unior pro Rivoluzione siriana

Syria Solidarity International

IN INGLESE

The Syrian people and humanity have the same fate!

We have just witnessed live the umpteenth heinous war crime of the Assad regime in Syria! It has been documented and has already made news around the world; and it is clearly in violation of international humanitarian laws: the time has come for it to stop!

International institutions must finally demonstrate that they are guarantors of international treaties to which they are United Nations signatories!

The chemical attack in Khan Sheikun, in the province of Idlib today, 4 April 2017, is yet another provocation by the regime to the entire Community of Nations that declare the primacy of observance of human rights and are signatories of the Geneva Conventions – signed after the defeat of Nazism and Fascism. It is a clear crime against humanity in which scores of innocent and unarmed civilians, including many children, have been slaughtered.

As always, the regime is counting on their impunity. Damascus seeks to provoke more blood and the spirit of revenge in the Syrian civilian population, which has already undergone six years of indiscriminate massacres.

The macabre cycle that Bashar has triggered in 2011 was to bring his regime to win the competition of horror that he has unilaterally decreed. The civilian population with its peaceful protests, and its cheerful spirit instead chose to take the opposite track, that of social redemption and cultural renewal before political and military interests. This regaining of their dignity as a people, this is what has brought all of us from day one to support the demands and spirit of profound renewal in Syria – so ardently yearned for by all oppressed sectors of the population – and brought us to the streets along with Syrians who were reconquering their Liberty.

After yesterday’s attack on the subway in St. Petersburg , which killed more innocent civilians, the Assad regime sought to re-establish itself on the scene as the chief dictator. Until the moment he is removed from office, the Syrian people will not have peace, nor will there be peace in the Middle East.

Therefore we signatories demand from the Italian government and the European Union:

– the expulsion of all officials of the Syrian regime still working within international institutions;

– the distancing from the international institutions and state apparatuses in Syria so that humanitarian aid can be delivered without the blackmail of the loyalist militias;

– the immediate convocation of a Syrian Permanent Conference under the aegis of the UN that works to develop a constitutional formula for the country and that definitively will distance it from the dictatorship by dismantling the repressive apparatus.

We believe that the Syrian regime will fall by itself, without the need for a foreign military intervention, in the very same moment that it is rejected by the world.

No more dialogue from now on! Let us say the truth to the regime to its face: You are NOT welcome! Your time is up.

 

 

Fonte:

https://levocidellaliberta.com/2017/04/04/il-popolo-siriano-e-lumanita-hanno-il-medesimo-destino/