Agitu e il prezzo dell’essere donna

Si rincorrono in queste ore le immagini di un sogno infranto e di un sorriso spezzato dall’ennesimo femminicidio. Agitu Ideo Gudeta, pastora di origine etiope era emigrata nel Trentino dove, recuperando  terreni abbandonati e razze rustiche autoctone, aveva dato vita all’Azienda Agricola Biologica ‘La Capra Felice’. Ieri è stata trovata uccisa nel suo appartamento. Reo confesso un suo dipendente, Adams Suleimani, ghanese, il quale ha raccontato di aver ucciso la donna a martellate per il mancato pagamento di una mensilità. Agitu è stata anche violentata mentre era agonizzante (fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/omicidio-di-agitu-ideo-gudeta-arrestato-un-dipendente-ghanese-ha-confessato_it_5fec2d4dc5b66809cb356f15 ).

Agitu Ideo

(Immagine tratta dall’articolo sopra)

Non possiamo parlare di un omicidio qualsiasi. L’uccisione di Agitu è un femminicidio. Agitu era una donna nera migrante che c’è l’aveva fatta: aveva coronato il suo sogno di diventare un’imprenditrice. Era sfuggita a diversi mostri: la guerra, la povertà, il razzismo. Ma non aveva fatto i conti con un altro mostro atavico che è il patriarcato. Perché se è vero che la fame può portare un uomo ad uccidere, per arrivare a commettere un delitto in modo così violento, il movente economico non può essere tutto. E poco importa se non è stato razzismo perché sia la vittima che il carnefice erano migranti stranieri. In realtà il razzismo ha diverse forme e non riguarda solo le etnie. Esistono il patriarcato e il sessismo secondo i quali una donna non può avere più successo o fortuna di un uomo, neanche a pari condizioni di partenza. Agitu Ideo Gudeta era una donna nera migrante ed Adams Suleimani è un uomo nero migrante. Ma la prima era un’imprenditrice e il secondo un dipendente. E’ questo il vero prezzo di questo delitto ed è questo ad aver fatto sì che la vita di questa donna, agli occhi dell’uomo, valesse quanto il suo stipendio, ovvero quanto la percepita distanza fra i due. Distanza che l’uomo ha voluto cancellare a suo modo, accanendosi contro la donna e violentandola nell’essenza stessa della sua femminilità mentre era ancora in vita. Non più una datrice di lavoro e un dipendente, non più quindi due esseri umani in una legittima relazione economica, ma solo una donna ed un uomo con l’illegittimo potere di quest’ultimo di disporre del corpo e della vita della prima. Agitu ha pagato con la sua vita il prezzo dell’essere una donna. Spero che la sua tragica e violenta morte faccia riflettere chi dice che non ha senso parlare di femminicidio, di violenza di genere, di patriarcato, di femminismo.

 

D. Q. 

 

Elisa e la colpa di essere donna (e lesbica)

Ci colpisce tutte e tutti l’ennesimo caso di femminicidio ai danni della giovane Elisa Pomarelli, la ragazza piacentina uccisa da quello che credeva un amico (http://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2019/09/07/scomparsi-piacenza-catturato-sebastiani_0d3acac5-5037-407f-b83c-548e1806f8fd.html).

Colpisce noi donne in quanto donne, non solo per i numeri elevati dei casi di violenza ma per la stessa discriminazione di genere perpetuata in tutti i campi, persino quello dell’autodeterminazione personale. Ogni volta che una donna è uccisa da un uomo si parla di raptus, di gelosia, di amore non corrisposto, quasi a voler giustificare in qualche modo l’assassino. Come se, in una società ancora troppo patriarcale, noi donne dovessimo essere in qualche maniera sottomesse agli uomini in tutte le nostre scelte: che lavoro fare, come vestirci, se e quando avere figli, perfino chi e come amare. Se pensiamo questo capiamo il senso del termine femminicidio.

Colpisce – questa vicenda – la comunità lgbt+: un’amica di Elisa e del suo assassino, Massimo Sebastiani, ha raccontato che Elisa amava le donne e lo aveva detto  all’amico ossessionato da lei (https://www.lagazzettadilucca.it/rubriche/2019/09/lamica-di-elisa-pomarelli-e-massimo-sebastiani-rivela-elisa-amava-le-donne/). Data l’ossessione di Sebastiani,  Elisa sarebbe stata uccisa anche se fosse stata eterosessuale; tuttavia il fatto che lui, pur sapendo dell’orientamento sessuale di lei, non abbia desistito dai suoi desideri  malati denota una componente lesbofobica in questo femminicidio. Sebastiani non poteva accettare non solo che Elisa non lo corrispondesse ma anche che non fosse attratta dagli uomini; etero o omo lui la voleva per sé e basta, incurante dei sentimenti di lei.

Colpisce – questa e simili vicende – tutti gli uomini che rispettano le donne e tutte le persone di buon senso che, giustamente, anche di fronte al cattivo gusto – per usare un eufemismo –    di come certa stampa ha raccontato questa tragica storia, (http://www.gaypost.it/elisa-gigante-buono-il-giornale-titolo-vergogna?fbclid=IwAR0N3KD1mTa3V4h54HYAwTtOnJ18bhOqkdvJSfp8lYa534TdUjKc4rpeWLw) si sono indignate/i.

A tutte le Elise, uccise da un uomo solo per aver cercato di essere se stesse, va il mio pensiero.

 

D. Q.

What do you want to do ?

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Femministe in piazza per la piccola Yuliana

Colombia. Proteste contro i femminicidi

Il logo delle donne contro i femminicidi

Femministe di nuovo in piazza, in Colombia, contro la violenza sulle donne. Centinaia di persone si sono raccolte nel parco di Lourdes, a Bogotà, intorno alla foto della piccola Yuliana Samboni, una bambina di 7 anni violentata, torturata e uccisa probabilmente da un uomo di 38 anni, che è stato arrestato. L’avvocata Monica Roa ha accusato la società colombiana di essere «il brodo di coltura per i violentatori che uccidono. Quello di Yuliana – ha ricordato – non è un caso isolato, 21 bambine tra i 10 e i 14 anni vengono violentate ogni giorno».

Il presunto assassino ha rapito la bambina dal quartiere povero in cui viveva per portarla nel lussuoso appartamento di proprietà della famiglia, nel Chapinero. La famiglia della piccola aveva lasciato il dipartimento del Cauca – dove i contadini sono spesso espulsi dalla violenza delle bande paramilitari -, in cerca di migliori condizioni nella capitale.
Il 6 novembre era stata violentata, torturata e impalata in Colombia, una donna di 44 anni, Dora Lilia Galvez, che morì dopo 22 giorni di agonia. Nel 2016, sono state uccise 125 donne. Secondo l’uffficio dell’Onu-Mujer, nel paese ogni giorno e mezzo una donna viene ammazzata dal compagno o dall’ex. Anche dal Cile, ieri le femministe hanno denunciato un femminicidio con stupro e torture a una giovane che sarebbe stata impalata e a cui avrebbero tagliato i seni.

In questi giorni, le donne che hanno partecipato all’incontro continentale dei Movimenti dell’Alba hanno ricordato le cifre dei femminicidi commessi in Colombia, e la violenza di cui sono state vittime le donne durante il conflitto armato ad opera di polizia e paramilitari; e hanno ribadito la necessità di arrivare a un processo di pace con giustizia sociale. Ma, mentre è iniziata la smobilitazione della guerriglia dopo la firma degli accordi, ratificata dal Parlamento, la Camera tarda ad avviare il percorso di amnistia per gli ex guerriglieri, che ne consentirebbe il rientro nella vita politica.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/femministe-in-piazza-per-la-piccola-yuliana/

#Nonunadimeno. Quando una manifestazione di 200mila persone non fa notizia

nonunadimeno

Sabato 26 novembre a Roma c’è stata una bellissima manifestazione: 200mila persone hanno sfilato per la capitale per dire no alla violenza di genere. Tante, tantissime donne, di tutte le età. Tanti uomini, tanti bambini, tante persone queer (in barba alle posizioni incomprensibili di certe femministe). Insomma, tanta bella gente. Eppure, telegiornali e stampa hanno quasi del tutto ignorato quello che è successo.

Il TgUno, che appena il 25 novembre condannava la violenza sulle donne, ieri sera ha intervistato solo la Ministra Boschi e poi, come per caso, è stata data la notizia che migliaia di donne avevano sfilato a Roma per dire no alla violenza. RaiDue ha mostrato un papà con un bambino sullo sfondo del Colosseo e della manifestazione, sembrava una festa per famiglie. La7 non si è accorta di niente. – Dal sito Non una di meno.

Certo, sabato è morto Fidel Castro. Certo, siamo nel pieno della campagna referendaria, ed è meglio dare spazio alla manifestazione a Roma dei 5Stelle (ovviamente Virginia Raggi ha preferito essere insieme al suo partito), è meglio dare voce alle esternazioni della Ministro Boschi, che dedicare un servizio alla manifestazione. Ma perché?

Quando una donna viene uccisa dal compagno, “meglio” se fra le vittime ci sono anche i figli o se viene compiuto un atto efferato (tipo bruciarla in macchina), i tg ne parlano a gran voce. I programmi del pomeriggio si riempiono di opinionisti, più o meno qualificati, che cercano di “spiegare” il perché di certi orribili fatti di cronaca. Ma quando le donne, insieme agli uomini, alzano la testa e dicono no, beh, allora nemmeno una parola.

C’è qualcosa di profondamente perverso in questo meccanismo. Lo stesso che ha portato i signori (e le signore) della televisione di Stato a realizzare l’orrido spot contro la violenza di genere. Non c’è scampo, a noi donne è concesso solo un ineluttabile destino: essere vittime. In effetti, un omicidio efferato è una notizia di cronaca che fa indignare le persone, genera una curiosità spesso morbosa. Una manifestazione che vuole risolvere le cose, invece, non è mediaticamente “interessante”. Non porta spettatori, lettori, utenti. La si può tranquillamente ignorare.

Ed ecco che si genera il circolo vizioso. La retorica da una parte, l’indifferenza dall’altra, avallano l’idea che alla violenza non si possa reagire, che l’unico spazio concesso alle donne sia quello dell’umiliazione, delle vessazioni, del capo chinato. Non è così. E non lo dimostra solo la manifestazione di sabato. Ma lo dimostrano tutte le donne che hanno saputo dire no, tutte le donne che si sono ribellate. Donne delle quali quasi mai nessuno parla. Perché fa più “gola” un cadavere, o un viso sfregiato, che una donna libera.

 

 

Fonte:

http://www.lezpop.it/non-una-di-meno-quando-una-manifestazione-di-200mila-persone-non-fa-notizia/

Catania, un medico obiettore ha ucciso una donna?

 

«Finché è vivo io non intervengo», così un medico obiettore avrebbe lasciato crerpare una donna ricoverata a Catania. E’ femminicidio, in nome di un dio crudele. Il 26 novembre la marcia delle donne a Roma

di Ercole Olmi

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Si sarebbe rifiutato di estrarre il feto che aveva gravi difficoltà respiratorie fino a quando fosse rimasto vivo perché obiettore di coscienza. Lo dichiara uno dei medici che, a Catania, ha assistito la 32enne morta in un’ospedale, assieme ai due gemelli che aspettava, secondo quanto ricostruito dai familiari della donna e contenuto nella denuncia presentata alla Procura dal loro legale, l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo. «La signora al quinto mese di gravidanza – sostiene il penalista – era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione dell’utero anticipata. Per 15 giorni va tutto bene. Dal 15 ottobre mattina la situazione precipita. Ha la febbre alta che è curata con antipiretico. Ha dei collassi e dolori lancinanti. Lei ha la temperatura corporea a 34 gradi e la pressione arteriosa bassa. Dai controlli emerge che uno dei feti respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno, mi dicono i familiari presenti, si sarebbe rifiutato perché obiettore: “fino a che è vivo io non intervengo”, avrebbe detto loro». E’ un caso di femminicidio, di uomini che odiano le donne in un Paese talmente deteriorato che, oltre a inventarsi il fertility day, smantella il welfare, chiude i centri antiviolenza e intasa il servizio sanitario nazionale di medici obiettori che mettono a rischio la vita delle donne oltre a compromettere il diritto alla salute e all’autodeterminazione. Gli obiettori sono dei serial killer invasati? Certo che è un curioso e grottesco rispetto della vita che li fa agire.

Tutto ciò in una giornata già insanguinata dall’uccisione a Napoli di Stefania Formicola, 28 anni, madre di due bimbi di 4 e un anno e mezzo.  Un colpo al petto, in automobile. Sparato da Carmine D’Aponte, 33 anni, marito che non sopportava la separazione. Marito violento. Stefania non aveva mai denunciato queste violenze, «perché aveva paura che succedesse quanto successo, aveva paura che lui diventasse ancora più violento», dice la madre. Una denuncia, agli atti, c’è, confermano i carabinieri di Giugliano che indagano: a presentarla è stata l’omicida a carico del suocero con l’accusa di essere lui vittima di minacce.
Dall’inizio dell’anno sono oltre settanta le donne uccise in Italia dal partner o ex partner, 157 da gennaio 2015, 1742 negli ultimi dieci anni, stando ai dati del Telefono Rosa. Ma mentre in Italia aumenta tragicamente il numero dei femminicidi, mentre il senatore Grasso, la ministra Boschi e tutte le istituzioni nazionali e locali s’indignano, diversi centri antiviolenza sono stati chiusi e molti altri sono a rischio chiusura per mancanza di fondi.
Per dare voce alle donne vittime di femminicidio e a tutte le altre calcolate in 9 milioni che subiscono violenza tra le mura domestiche, la rete romana IoDecido, l’UDI, e l’associazione Donne in Rete contro la Violenza (DIRE) che rappresenta 75 centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale, hanno lanciato un appello che segna la mappa di un percorso che dovrebbe portare ad una manifestazione nazionale a Roma il prossimo 26 novembre e il giorno dopo a un convengo sul tema della violenza di genere, perché la giornata internazionale contro la violenza alle donne non resti solo una mera celebrazione sulla Carta dell’ONU.
“Ni una menos! Non una di meno”, inizia così l’appello che riprende lo slogan delle battaglie delle donne latinoamericane, perché se la violenza di genere non ha confini anche la guerra contro deve internazionalizzarsi. Il 26 novembre un corteo attraverserà le strade della capitale e il giorno dopo sarà dedicato “all’approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti a politiche più efficaci e alla revisione del Piano straordinario nazionale antiviolenza”. Per info e adesioni: [email protected] Testo integrale dell’appello sulla pagina Fb “Io Decido”

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2016/10/19/catania-un-medico-obiettore-ha-ucciso-una-donna/

 

Qui i link  con le notizie sulle vicende sopra riportate:

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2016/10/19/news/catania_donna_incinta_muore_con_i_due_gemellini_procura_apre_inchiesta-150113267/

http://www.napolitoday.it/cronaca/omicidio-stefania-formicola-madre-commento.html

 

Cantiamo della libertà delle donne, non della loro morte

Wed, 19/10/2016 – 17:11
di

Femminist* di Ri-Make

Eri stata avvertita ricordi quegli scleri / Io te lo avevo detto avevo dei problemi seri / E ora hai paura perché tutti quei brutti pensieri / Da qualche giorno hanno iniziato a diventare veri / E adesso guido verso casa tua che vivi a Monza / Pieno di cattive idee dettate da un sbronza / Volevo abbassare le armi ora dovrò spararti / Non mi dire di calmarmi è tardi stronza / Fanculo il senso di colpa non ci saranno sbocchi / Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi / Io c’ho provato e tu mi hai detto no / E ora con quella tua testa ti ci strozzerò

Queste sono le parole con cui si conclude il brano Tre messaggi in segreteria di Emis Killa, presente all’interno dell’album che verrà presentato oggi, 19 ottobre, a San Babila, Milano.
Il rapper ha affermato di aver scritto questo brano con lo scopo di sollevare l’attenzione pubblica sul tema della violenza sulle donne. Tuttavia ci preoccupano le modalità con cui ha scelto di parlare di un argomento tanto delicato.

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa e nell’ottanta per cento dei casi il colpevole del femminicidio è il suo partner. In Italia sono 6milioni e 788mila le donne che, nell’arco della loro vita, subiscono un abuso fisico e\o sessuale, il che significa una donna su tre. I dati Istat del 2015 non possono invece rilevare gli abusi non dichiarati, le violenze di genere non denunciate, e tutte quelle situazioni terrificanti che rimangono dietro la porta di casa. Non possono inoltre rivelare gli innumerevoli casi di donne maltrattate, abusate, violentate che faticano più d’altre a intraprendere un percorso di uscita dalla violenza.

L’argomento va toccato, va analizzato. In Italia – come ovunque – è necessario parlare di violenza sulle donne proprio per trovare meccanismi in grado di smontarla, di decostruirla e proprio per trovare strumenti con cui educare alla sua prevenzione. Quello che assolutamente non va, nel testo di Emis Killa, non è tanto la volontà di parlare di un argomento così rilevante, ma senz’altro il modo in cui il cantante ha scelto di farlo.

Perché parlarne in prima persona e soprattutto assumendo il punto di vista del femminicida?
Perché non ribaltare la narrazione suggerendo alle ascoltatrici e alle fan che dalla violenza si può uscire?

Immaginate per un attimo lo sgomento che si sarebbe generato se Emis Killa avesse invece voluto parlare non di violenza sulle donne ma di pedofilia: ve la immaginate una canzone in cui parla in prima persona del desiderio di abusare di un\una bambino/a? E vi immaginate invece se avesse scelto di parlare in prima persona della volontà di massacrare di botte un/una migrante? Vi immaginate se avesse voluto problematizzare col suo testo l’olocausto descrivendo in prima persona il desiderio di un nazista di uccidere un/una ebreo/a? Potremmo andare avanti all’infinito. Avremmo trovato accettabile una canzone così?

Quello che colpisce in questa storia non è soltanto il testo, grave e inquietante, ma anche il numero di tutte e tutti quelle/i che che sostengono che cantare di violenza sulle donne – in questi termini – sia accettabile mentre parlare di abusi su bambini/e non lo sia.

Interroghiamoci sui motivi che ci spingono a sottovalutare un brano che parla di femminicidio, a giustificarne uno che parla di violenza di genere e di stalking sostenendo che si tratti “solo di una canzone”. Domandiamoci come mai invece vengano aperte giuste polemiche nel momento in cui il soggetto oppresso, violentato, ucciso è un altro.
Quanto è inquietante inoltre immaginare il prossimo concerto di Emis Killa con migliaia di persone che all’unisono intonano la frase “preferisco saperti morta che con un altro”?

A noi fa venire i brividi, perché sappiamo che la violenza di genere è una questione seria, che ci tocca tutte da vicino, a cui tutte passiamo accanto almeno una volta nella vita – una, se siamo fortunate.
A noi fa venire i brividi perché sappiamo che non tutti/e hanno purtroppo gli strumenti per scindere una “semplice” canzone da un aperto suggerimento. Perché sappiamo che la violenza sulle donne è una questione di vita o di morte.

Oggi Emis Killa presenta il suo nuovo album e questa canzone.
Oggi in Argentina le donne di tutto un paese si sono fermate, scioperano dal lavoro o dallo studio e scendono per le strade al grido #NiUnaMenos perché scosse dall’ennesimo caso di femminicidio e di stupro, questa volta subito della quindicenne Luisa Perez.
Oggi a Milano contestiamo un testo che reputiamo violento.

Perché siamo stufe di essere le vittime, perché rivogliamo indietro la nostra indipendenza e le nostre vite, perché è di questa rabbia, di questa ribellione, di questa libertà che vogliamo cantare tutte assieme, e farci sentire sin dall’altra parte dell’oceano.

Il 26 novembre, a Roma, parteciperemo al corteo nazionale contro la violenza di genere: non accetteremo che la violenza sessista e machista porti via un’altra di noi e il nostro canto, non a caso, in quell’occasione sarà #NonUnaDiMeno.

Fermiamo la violenza sulle donne e chi la istiga.

 

 

Fonte:

http://www.communianet.org/gender/cantiamo-della-libert%C3%A0-delle-donne-non-della-loro-morte

Argentina, le donne scioperano contro la violenza di genere. #NiUnaMenos.

Dal blog di Bob Fabiani:

Oct 19

 

Una cinquantina di organizzazione che lottano contro la discriminazione e la violenza di genere hanno invitato le donne argentine a vestirsi di nero e ad abbandonare il loro posto di lavoro per un’ora (è accaduto tra le 13 e le 14 di oggi, 19 ottobre) in quello che è stato ribattezzato il #MiercolesNegro (mercoledì nero). 

La protesta è nata in seguito alla morte di Lucia Perez, sedicenne violentata e uccisa a Mar del Plata, nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 2016. 

Nel pomeriggio di oggi, 19 ottobre è prevista anche un’imponente manifestazione di piazza a Buenos Aires. 
(Fonte.:lanacion;bbc)
Bob Fabiani
Link
-www.lanacion.com.ar/paro-de-mujeres-y-reclamo-en-el-obelisco;
-www.bbc.com/news/world-latin-america/argentine-women-to-strike-after-fatal-rape-of-teenager

Fonte:
http://bobfabiani.blogspot.it/2016/10/argentina-le-donne-scioperano-contro-la.html

Donna uccisa a Ravenna, uxoricida partecipò a serata antiviolenza

E’ in stato fermo a Firenze per omicidio e occultamento cadavere

Matteo Cagnoni, il dermatologo arrestato a Firenze per l’omicidio della moglie Giulia Ballestri a Ravenna, nel 2013 collaborò a una serata organizzata da Linea Rosa, associazione che tutela le donne vittime di violenza. La conferenza si tenne al teatro Rasi di Ravenna, come ricorda – intervistata dal Resto del Carlino – la presidente di Linea Rosa Alessandra Bagnara: “Fu lui a contattarci perché, disse, avrebbe voluto organizzare un evento che potesse aiutare Linea Rosa. E infatti il ricavato della serata fu devoluto all’associazione. Ci furono diversi incontri preparatori, e la moglie veniva sempre insieme a lui. Ci aiutò parecchio”. Cagnoni, noto anche per varie apparizioni tv, è accusato di aver ucciso la moglie a colpi di bastone in una villa disabitata. I due si stavano separando. Dopo il delitto l’uomo è fuggito con i figli a Firenze, sua città di origine. E’ stato bloccato a casa dei genitori ed è in stato di fermo per omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere.

Uccisa con cranio fracassato a Ravenna, fermato marito – Colpita a bastonate, trascinata giù per le scale, finita nello scantinato da un omicida che ha infierito sul suo capo. E’ morta così Giulia Ballestri, ravennate di 40 anni compiuti sabato scorso, trovata morta a Ravenna dopo che i familiari, che non avevano sue notizie da un paio di giorni, hanno dato l’allarme. Un omicidio realizzato con “violenze quasi inaudite”, per dirla con le parole del procuratore capo della città romagnola, Alessandro Mancini. Per il delitto è stato fermato il marito: Matteo Cagnoni, 51 anni, noto dermatologo di una famiglia abbiente e conosciuta anche a Firenze, di cui è originario. I due si stavano separando, lei voleva il divorzio. L’uomo è stato fermato proprio nel capoluogo toscano con l’accusa di omicidio aggravato della moglie, ma anche di occultamento di cadavere, per via della posizione nella quale è stato trovato il corpo.

La notte scorsa la polizia si è presentata infatti nella villa dei genitori di Cagnoni, in via Bolognese, per una perquisizione alla ricerca di elementi utili alle indagini. Ma vedendo i poliziotti il 51enne è scappato, lungo l’argine del torrente Mugnone. Era anche riuscito a far perdere le proprie tracce, ma qualche ora dopo è tornato a casa dei genitori, credendo che non ci fossero più agenti, e lì è stato bloccato. Ha detto di essersi impaurito alla vista della polizia, senza fare alcun riferimento alla moglie. Gli investigatori invece non escludono che stesse cercando di fuggire all’estero coi figli, che aveva portato con sé a Firenze: in una giacca aveva una somma importante in contanti, e i passaporti, il suo e quelli dei figli, tutti bambini tra i 6 e gli 11 anni. Il corpo della moglie è stato trovato nello scantinato di una villa di famiglia in via Padre Genocchi, a Ravenna. A denunciare la scomparsa di Giulia era stato il fratello, insospettitosi dopo avere trovato l’auto di lei in via Giordano Bruno davanti a casa con le portiere aperte. La polizia ha così setacciato tutte le dimore di famiglia arrivando anche a quella dove c’era il cadavere della 40enne. La villa – disabitata in questo periodo – era chiusa a chiave con allarme inserito, e ad avere le chiavi erano solo Giulia e il marito. Nella casa la polizia scientifica ha repertato numerose tracce di sangue, le più copiose nello scantinato dove c’era il cadavere.

L’arma del delitto, un bastone di legno, è già stato recuperato dagli inquirenti e anch’esso presenta molte tracce ematiche. La vittima addosso aveva solo un reggiseno. Sulla base degli elementi accertati gli inquirenti hanno ipotizzato che la donna possa essere stata colpita al piano superiore, trascinata giù per le scale battendo la testa sui gradini e poi sia stata finita nello scantinato. L’omicida ha infierito con violenza, con più colpi in testa. Non è ancora chiaro quando sia successo, ma da quello che ha stabilito il medico legale la morte risale a circa 72 ore prime del ritrovamento del corpo. L’ultimo contatto della donna con la famiglia risale a giovedì sera, quando aveva inviato un messaggio al fratello. Chi indaga su questo ennesimo femminicidio valuta che la causa scatenante della violenza dell’uomo sia stata il fatto che i due coniugi, sebbene ancora convivessero, si stavano effettivamente separando: Giulia era intenzionata ad arrivare fino al divorzio. Dilemmi che forse saranno chiariti nell’interrogatorio di convalida del fermo nei prossimi giorni. Sgomento e dolore sono stati espressi dal sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, secondo cui episodi come quello odierno devono spingere a proseguire con maggiore impegno nella lotta alla violenza di genere.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Fonte:
Leggi anche qui:

Non una di meno: per una grande manifestazione delle donne

Appello verso una manifestazione nazionale a Roma per sabato 26 novembre. In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne del 25 novembre.

Un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione con lo slogan “”Ni una menos, non una di meno!”

Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata. La libertà delle donne è sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e ostacolata. All’aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzarci. I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato: vittimismo e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volontà di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie.

Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell’ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l’umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d’attesa ci fanno pentire di aver denunciato, spesso ci uccidono. Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia.

Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attiviste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In più parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessità di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d’uscita concrete. È giunto il momento di essere unite ed ambiziose e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze. A Roma da alcuni mesi abbiamo iniziato a confrontarci individuando alcune macro aree – il piano legislativo, i CAV e i percorsi di autonomia, l’educazione alle differenze, la libertà di scelta e l’IVG – sappiamo che molte altre come noi hanno avviato percorsi di discussione che stanno concretizzandosi in mobilitazioni e dibattiti pubblici. Riteniamo necessario che tutta questa ricchezza trovi un momento di confronto nazionale che possa contribuire a darci i contenuti e le parole d’ordine per costruire una grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo.

Proponiamo a tutte la data di sabato 8 ottobre per incontrarci in una assemblea nazionale a Roma, e quella del 26 novembre per la manifestazione.

Proponiamo anche che la giornata del 27 novembre sia dedicata all’approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti alla rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza.

Queste date quindi non sono l’obiettivo ma l’inizio di un percorso da fare tutte assieme.

Realtà Promotrici: Rete IoDecido, D.i.Re – Donne in Rete Contro la violenza, UDI – Unione Donne in Italia. Per info e adesioni: [email protected]

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/non-una-di-meno-verso-una-grande-manifestazione-delle-donne

 

 

Leggi anche qui:

http://www.corriere.it/cronache/speciali/2016/la-strage-delle-donne/

Guardate il volto di Federica e denunciate.

Ieri Federica De Luca ha sfilato per le strade di Taranto così. No non voltate lo sguardo dall’altra parte. Questa è la morte di una ragazza che aveva sogni, progetti e un bimbo di appena quattro anni da crescere, morto anche lui.

Le immagini di Federica De Luca diffuse dalla sua famiglia per denunciare il fenomeno della violenza sulle donne

Le immagini di Federica De Luca diffuse dalla sua famiglia per denunciare il fenomeno della violenza sulle donneFe

Ieri i suoi genitori (Rita e Vincenzo De Luca) si sono rinnovati un dolore ma fieramente l’hanno esposta agli sguardi del mondo nella fiaccolata organizzata dall’AVO, l’Associazione Volontari Ospedalieri di Taranto e dalla sua presidente Anna Pulpito. Lo hanno fatto rendendola testimone di una missione importante. Scuotere gli animi di un territorio che ogni giorno registra centinaia di abusi e violenze così. Su donne adulte come Federica o come la ragazza morta nell’aprile scorso sulla strada che porta da  Lizzano a Pulsano per un incidente stradale provocato dagli schiaffi e dai pugni che il suo compagno gli sferrava mentre lei era alla guida.

Sono bambini come AndreaAlfarano (il figlio di Federica e di Luigi Alfarano il loro assassino) o come Carmela Frassanito la ricordate vero? La 13enne che dopo anni di stupro di gruppo decise di buttarsi di sotto da un palazzo di Paolo VI.

Tutte vittime di violenze ignobili subite in silenzio, dentro casa o poco vicino dalle mani di mariti, padri, fidanzati, amici. Spesso insospettabili. Uomini irreprensibili fuori e mostri tra le mura domestiche. Oppure sbandati convinti che tutto gli sia dovuto.

Ma la violenza che le donne subiscono è doppia. C’è quella fisica, morale, sessuale, verbale di uomini che neanche le bestie. E poi c’è il sibilo assordante di un’altra violenza, quella della società, dell’opinione pubblica che di fronte a certi atti vili e violenti è portata a tacere, giustificare, coprire o edulcorare colpe e responsabilità. Questa è complicità bella e buona e non ce ne vogliano i congiunti dei mostri, ma così è!

A Taranto il fenomeno delle violenze domestiche è più diffuso di quanto appaia.

Perché la violenza ha tanti volti. C’è la violenza fisica con oggetti lanciati per colpire, soffocamenti, morsi, pugni, schiaffi. C’è quella psicologica con le minacce ripetute, la derisione, le pesanti offese, lo svilimento continuo e costante della donna e parole come sei “una puttana” una “donna di merda”, “non vali un cazzo”. C’è la violenza sessuale, si anche se si tratta del proprio marito, perché una intimità indesiderata ottenuta con coercizione, violenza, abuso o umiliazione nulla c’entra con l’amore. E c’è anche la violenza economica di uomini che dopo averle tentate tutte anche in presenza di figli decidono che se non possono essere i “padroni” di quella donna saranno i “padroni” del loro status sociale ed economico e non provvederanno più a pagare le bollette o il mantenimento, perché non c’è soddisfazione più grande per certi uomini che vedere gli stenti o la sofferenza sul volto di chi dicono di amare.

Questi uomini sono nostri figli, fratelli, amici, padri, vicini di casa. Sono operai, manager, giovani o vecchi. Sono tanti purtroppo. Troppi anche rispetto alle denunce che ad esempio ogni giorno l’AVO l’Associazione Volontari Ospedalieri che ieri ha organizzato la fiaccolata, registra tra le corsie del SS. Annunziata tra lacrime, paura e occhi pesti.

Le donne hanno paura, forse vergogna. E’ cosi nella spirale della violenza indotta da questi uomini. Un vortice fatto di isolamento, intimidazioni, minacce, ricatto sui figli, aggressioni e periodi di relativa calma dove tutto sembra svanito e invece no. Le false riappacificazioni servono al mostro solo per prendere fiato e confondere ancora la sua preda.

A Taranto Federica e il suo bambino sono le ultime vittime note di questa spirale.

Guardatela e denunciate!

A margine di questo servizio segnaliamo inoltre che è partita in tutta Italia la campagna del ministero dell’interno #questononèamore. In 14 città italiane (Sondrio, Brescia, Bologna, Arezzo, Macerata, Roma, L’Aquila, Pescara, Matera, Campobasso, Cosenza, Palermo, Siracusa e Sassari) saranno presenti e a disposizione postazioni mobili della Polizia con un team di operatori specializzati. Taranto ancora una volta da questo progetto è esclusa e questo è un male!

 

Fonte:

http://www.tvmed.tv/guardate-il-volto-di-federica-e-denunciate-ieri-alla-fiaccola-avo/