BAHRAIN: GLI ORGANISMI LOCALI SUI DIRITTI UMANI, SOSTENUTI DAL REGNO UNITO, SONO VENUTI MENO ALLE PROMESSE DI RIFORME

21 novembre 2016

In un nuovo rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha dichiarato che, cinque anni dopo la rivolta del 2011 in cui manifestanti pacifici vennero picchiati, feriti e uccisi, le riforme introdotte per rispondere alle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza devono ancora portare giustizia alla maggior parte delle vittime e dei loro familiari.

Il rapporto descrive in dettaglio le gravi carenze riscontrate nell’azione di due organismi istituiti nel 2012, che secondo le autorità del Bahrein e quelle del Regno Unito – strenuo alleato del regno del Golfo persico – avrebbero dovuto dimostrare l’impegno a migliorare la situazione dei diritti umani.

“Nessuno nega che il governo del Bahrein abbia fatto bene a istituire organismi per indagare sulle violazioni dei diritti umani e portare di fronte alla giustizia i responsabili, ma purtroppo queste riforme risultano profondamente inadeguate. I maltrattamenti e le torture da parte delle forze di sicurezza proseguono, in un contesto di radicata impunità segnato dalla mancanza d’indipendenza del potere giudiziario” – ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice per la ricerca presso l’Ufficio regionale di Amnesty International di Beirut.

“Un vero cambiamento dev’essere ben più che di facciata. Le autorità del Bahrein non possono continuare a ingannare il mondo con una mera patina di riforme, quando l’assunzione di responsabilità per le violazioni dei diritti umani scarseggia e i difensori dei diritti umani continuano a venire arrestati in modo arbitrario, a subire condanne a seguito di processi iniqui, a essere privati della nazionalità o a vedersi impedito di viaggiare all’estero” – ha commentato Maalouf.

La brutale repressione delle proteste del 2011 suscitò l’indignazione internazionale. Su raccomandazione della Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrein, istituita dal re Hamad bin Isa al-Khalifa, le autorità emendarono alcune leggi e costituirono alcuni organismi di monitoraggio e per indagare e processare persone sospettate di aver commesso violazioni dei diritti umani.

Tra queste istituzioni, dal 2012 vi sono l’ufficio del Difensore civico presso il ministero dell’Interno e l’Unità speciale per le indagini presso l’Ufficio del procuratore generale. Entrambe hanno ricevuto formazione e sviluppo delle rispettive capacità istituzionali da parte del Regno Unito.

Sebbene abbiano ottenuto qualche risultato, Amnesty International giudica che queste due istituzioni non siano state in grado di fermare in modo significativo le violazioni dei diritti umani.

“La descrizione fattane dal governo di Londra come istituzioni modello è profondamente falsa, come illustriamo nel nostro rapporto. Invece di raccontare mezze verità al mondo intero sui progressi del Bahrein, il Regno Unito e gli altri alleati internazionali dovrebbero smetterla di dare priorità alla difesa e alla cooperazione in materia di sicurezza, a scapito dei diritti umani” – ha sottolineato Maalouf.

L’ufficio del Difensore civico è generalmente reattivo nel segnalare le denunce di tortura e di altre gravi violazioni dei diritti umani all’Unità speciale per le indagini. Tuttavia, in alcuni casi, non ha assunto rapide iniziative per proteggere i detenuti dai maltrattamenti e dalla tortura, indagare sulle loro denunce o assicurare il loro accesso alle cure mediche.

Ad esempio, nonostante i ripetuti allarmi di Amnesty International circa il rischio che il difensore dei diritti umani Hussain Jawad potesse subire torture dopo il suo arresto, avvenuto il 16 febbraio 2015, l’ufficio del Difensore civico non ha verificato immediatamente le condizioni del detenuto e non è riuscito a evitare che venisse torturato. Jawad ha riferito di essere stato bendato, picchiato con le mani ammanettate dietro la schiena e minacciato di violenza sessuale se non avesse “confessato”.

L’ufficio del Difensore civico ha anche ritardato di due anni l’inchiesta sulla denuncia di tortura sporta da Mohamed Ramadhan, guardia di sicurezza aeroportuale, condannato a morte dopo essere stato giudicato colpevole di aver preso parte a un attentato.

L’Unità speciale per le indagini, dal canto suo, ha sottoposto a procedimento 93 appartenenti alle forze di sicurezza ma sono risultati condannati solo 15 funzionari di basso livello. Nessun alto dirigente delle forze di sicurezza che sovrintendeva alle gravi violazioni dei diritti umani del 2011 è mai stato incriminato.

Dei casi di maltrattamento o tortura, decesso in carcere o uccisione illegale registrati da Amnesty International a partire dalla rivolta del 2011, solo 45 su circa 200 sono arrivati a processo.

Ali Hussein Neama, 16 anni, venne ucciso da un agente di polizia nel settembre 2012. Nonostante le prove fotografiche e il certificato di morte indicassero che il ragazzo era stato colpito alle spalle, l’Unità speciale per le indagini ha concluso che l’agente agì per autodifesa contro il ragazzo e un altro manifestante che stavano scagliando bombe Molotov.

L’Unità speciale per le indagini risulta anche lenta nell’esame delle denunce. In un caso, le sono voluti oltre due anni per raccogliere elementi sulle torture riferite da un prigioniero di coscienza, col risultato che prove scientifiche e altri indizi sono andati persi.

Sia l’ufficio del Difensore civico che l’Unità speciale per le indagini non sono riusciti a ottenere la fiducia dell’opinione pubblica, in parte per la percepita mancanza d’indipendenza e d’imparzialità. Entrambi gli organismi sono considerati eccessivamente vicini al ministero dell’Interno e ad altre istituzioni di governo e alimentano la disistima non tenendo adeguatamente informate vittime e famiglie sugli sviluppi delle indagini.

La giornalista Nazeeha Saeeda ha raccontato che nel 2011 è stata picchiata, presa a calci, umiliata e sottoposta a scariche elettriche mentre veniva interrogata dalle forze di sicurezza. Tre anni dopo, l’Unità speciale per le indagini l’ha condotta nella medesima stanza delle sevizie perché riconoscesse i suoi torturatori. Nonostante il trauma e pur avendo identificato cinque persone, il caso è stato chiuso per “assenza di prove”.

Un altro caso emblematico è quello di Ali Isa al-Tajer, che ha denunciato di essere stato torturato per 25 giorni. L’ufficio del Difensore civico non è stato in grado di garantire che egli fosse tenuto in un luogo sicuro e protetto dalla tortura, mentre l’Unità speciale per le indagini non ha agito tempestivamente sulla sua denuncia, evitando anche di disporre una visita di un medico legale. Entrambi gli organismi non hanno reagito agli allarmi che il detenuto era sottoposto a tortura né hanno tenuto informata la sua famiglia sugli sviluppi delle indagini.

“L’ufficio del Difensore civico e l’Unità speciale per le indagini hanno la possibilità di apportare i tanto necessari cambiamenti e di migliorare la situazione complessiva dei diritti umani. Ma per essere davvero efficaci, devono operare con trasparenza e rapidità e dimostrare la loro indipendenza, nell’ambito di un più ampio progresso verso la fine dell’impunità e delle pratiche repressive e in direzione di una reale indipendenza del potere giudiziario” – ha aggiunto Maalouf.

“Il governo del Bahrein prese una decisione importante quando creò le due istituzioni, conferendo loro un mandato tale da poter favorire un reale cambiamento. Ora deve dare l’esempio, dimostrando che gli ostacoli politici e giudiziari all’impunità possono essere superati e che ha il coraggio necessario per rendere l’ufficio del Difensore civico e l’Unità speciale per le indagini due istituzioni solide, in grado di ottenere la fiducia dell’opinione pubblica e agire efficacemente contro le violazioni dei diritti umani” – ha concluso Maalouf.

Ulteriori informazioni

Il rapporto si basa su oltre 90 interviste condotte dal 2013 con vittime di violazioni dei diritti umani, loro familiari, avvocati e difensori dei diritti umani, su informazioni tratte dalla corrispondenza intrattenuta con il governo e altre istituzioni locali del Bahrein e sulle costanti ricerche di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel paese.

FINE DEL COMUNICATO                                                                          Roma, 21 novembre 2016

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/bahrein-gli-organismi-locali-sui-diritti-umani-sostenuti-dal-regno-unito-sono-venuti-meno-alle-promesse-di-riforme

BAHRAIN. Condanna annullata

Da Internazionale 1176 | 21 ottobre 2016

La corte di cassazione il 17 ottobre ha annullato la condanna a nove anni di carcere per il leader dell’opposizione Ali Salman, ritenuto colpevole di incitamento all’odio. A luglio del 2015 Salman era stato condannato a quattro anni di carcere e a maggio la corte d’appello aveva inasprito la pena a nove anni, ricorda Gulf News. Ora Salman dovrà essere di nuovo processato davanti alla corte d’appello.

IN BAHRAIN SCIOLTO IL PRINCIPALE GRUPPO D’OPPOSIZIONE

In Bahrein sciolto il principale gruppo d’opposizione. Un tribunale amministrativo ha confermato l’ordine di dissoluzione del movimento scita Al Wefaq (l’accordo) con l’accusa di promuovere il terrorismo. La sentenza dispone anche la confisca dei beni della formazione, che da anni subisce pressioni per le critiche alla monarchia sunnita e l’appoggio alle proteste della primavera del 2011.
Fonte:

BAHRAIN. Cittadinanza revocata

Da Internazionale n. 1159 del 24 giugno 2016:

Il 20 giugno il Bahrein ha tolto la cittadinanza all’ayatollah sciita Isa Qassim, uno dei padri della costituzione del 1973 e sostenitore delle manifestazioni del 2011 in favore della democrazia. E’ stato accusato di “servire gli interessi stranieri” e promuovere “la violenza”. Per il quotidiano Al Hayat si tratta di “un atto gravissimo”. E per l’Iran la decisione potrebbe “provocare un incendio nella regione”.

BAHRAIN. REPRESSIONE NEL REGNO

Da Internazionale n. 1158 del 17 giugno 2016:

Il 14 giugno il governo ha sospeso tutte le attivià di Al Wefaq, il principale partito di opposizione sciita alla monarchia sunnita. L’agenzia di stampa Bahrain News Agency ha precisato che gli uffici del partito sono stati chiusi e i beni congelati. Al Wefaq è accusato di mettere in pericolo la sicurezza nazionale e di aver guidato le proteste per la democrazia nel 2011. L’udienza per decidere se sciogliere il partito è fissata al 6 ottobre. Il 30 maggio una corte d’appello ha inasprito da quattro a nove anni di carcere la condanna di Ali Salman, il leader di Al Wefaq, mentre il 13 giugno è stato arrestato l’attivista Nabeel Rajab.

BAHRAIN: Il CONFLITTO TRA INTERESSI E DIRITTI UMANI

Dal 2011 sono stati circa 90 i morti negli scontri e centinaia gli arrestati, molti partiti sono stati messi fuori legge e leader politici sono stati condannati per incitazione della violenza e sovversione

Bahrein

di Francesca La Bella

Roma, 18 settembre 2015, Nena News – Con una dichiarazione congiunta presso la Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, 32 Paesi mondiali hanno espresso la loro preoccupazione per lo stato della tutela dei diritti umani in Bahrein. Secondo il portavoce del gruppo, l’ambasciatore svizzero Alexandre Fasel, nonostante alcune piccole migliorie introdotte di recente come la nomina di un difensore civico o la creazione di una commissione per i diritti dei detenuti, nel piccolo Paese del Golfo esisterebbe un grave deficit di tutela per quanto riguarda i diritti fondamentali: violazioni sistematiche della libertà di opinione e di associazione; mancata garanzia di giusto processo; condizioni di detenzione inadeguate; detenzione di minori per reati di opinione o di piazza; segnalazione di casi di tortura e di trattamenti degradanti non penalmente perseguiti.

A questi dati si aggiungano quelli forniti in questi anni da agenzie internazionali e organizzazioni interne al Paese. I report sullo stato dei diritti in Bahrein parlano di arresti arbitrari, di discriminazioni della popolazione sciita, di violenze e torture dentro e fuori dalle carceri. Dal 2011 circa 90 sono stati i morti accertati negli scontri e centinaia gli arrestati, molti partiti sono stati messi fuori legge e leader politici di rilievo sono stati condannati per incitazione della violenza e sovvertimento dell’ordine. Da molto tempo, associazioni e forze di opposizione interne denunciano questa situazione e la presa di posizione internazionale potrebbe dar loro nuova forza a fronte di un panorama d’area poco propizio.

A questo proposito, infatti, è necessario sottolineare come le dinamiche interne al Bahrein siano strettamente collegate a quelle dei vicini d’area, Arabia Saudita in primis. In questo senso, è significativo che, mentre a livello internazionale si discute sullo stato dei diritti bahreiniti, il re del Bahrein Hamad bin Isa Al-Khalifa venga accolto in Arabia Saudita dal re Salman bin Abdel Aziz e che durante la visita venga ribadita la vicinanza e la cooperazione tra i due Paesi. Fin dalle prime manifestazioni contro il Governo nel 2011, l’appoggio saudita alla corona bahreinita è stato uno dei fattori che maggiormente ha garantito solidità del potere centrale a fronte della crescita di movimenti di opposizione e della partecipazione popolare alle proteste.

I sauditi non sono, però, gli unici partner della corona del Bahrein. E’ notizia di pochi giorni fa di una nuova commessa per l’italiana Finmeccanica-Selex Es di oltre 50 milioni di euro per ammodernamento di sei unità navali della Royal Bahrein Naval Force. Questo non sarebbe, però, il primo contratto tra l’azienda italiana e il governo di Manama. In passato, Selex Es avrebbe, infatti, fornito sistemi radar di sorveglianza per l’aviazione civile e per la Bahrein Air Force. Alla luce di questo, spicca ancor di più la mancata adesione italiana alla denuncia dello stato dei diritti Bahreiniti. A tal proposito Human Rights Watch, esprimendo plauso per la dichiarazione e aderendo all’appello per l’invio in Bahrein del commissario speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, avrebbe sottolineato con delusione come Paesi come la Spagna e l’Italia abbiano scelto di dare priorità alla politica anziché ai diritti.

Nonostante si tratti di un piccolo Paese, gli interessi in campo trascendono, dunque, dalle dinamiche interne andando ad investire questioni più ampie. In tal senso è utile ricordare che anche in Bahrein trova espressione la più ampia contrapposizione tra Arabia Saudita e Iran. La pervasività del problema è tale che domenica scorsa la portavoce del ministero degli Esteri iraniano Marzieh Afkham ha affermato che il governo del Bahrein alzerebbe il livello di tensione nel Paese accusando l’Iran di sostenere e armare le opposizioni. A fronte di questo contesto, la possibile soluzione delle questioni interne e la liberazione dei molti prigionieri politici ospitati nelle prigioni del Regno sembra ancora molto lontana. Nena News

 

Fonte:

http://nena-news.it/bahrein-il-conflitto-tra-interessi-e-diritti-umani/

BAHRAIN: PROTESTE PER ANNIVERSARIO RIVOLTA

 

(Agenzie). La capitale del Bahrein, Manama, è stata teatro di nuove proteste e scontri proprio in occasione del quarto anniversario della rivolta contro la monarchia.

I manifestanti hanno bruciato pneumatici e usato bidoni della spazzatura e rami per bloccare le strade. La polizia a sua volta è intervenuta lanciando gas lacrimogeni e proiettili di gomma, proprio mentre la folla gridava alle riforme.

Amnesty International ha esortato il governo del Bahrain a fermare il dispiego delle forze di sicurezza e a “cogliere l’opportunità del quarto anniversario della rivolta per annunciare riforme vere e durature”.

 

 

Fonte:

http://arabpress.eu/bahrein-proteste-per-anniversario-rivolta/57227/

BAHRAIN, CONFERMATA LA CONDANNA A 10 ANNI PER IL FOTOREPORTER DELLE PROTESTE

Dieci anni per aver svolto il suo lavoro di fotoreporter documentando l’attacco di un gruppo di manifestanti contro una stazione di polizia.

Ieri mattina, una corte d’appello del Bahrein ha confermato la pesante condanna inflitta il 26 marzo, in primo grado, ad Ahmed Humaidan.

Humaidan, 25 anni, era stato arrestato il 29 dicembre 2012 mentre stava rientrando a casa dopo aver trascorso alcune ore in un centro commerciale. A carico suo e di altri 28 fermati, l’accusa di aver preso parte all’attacco alla stazione di polizia, con bombe molotov e altri ordigni incendiari, avvenuto nel villaggio di Sitra l’8 aprile 2012.

Tre dei 29 imputati erano stati condannati a tre anni di carcere, gli altri 26, tra cui Humaidan, a 10 anni.

Secondo le organizzazioni per i diritti umani, Humaidan non ha preso parte all’attacco di Sitra. Anche quel giorno si era limitato a documentare con la sua macchina fotografica, come faceva da oltre un anno, un episodio (uno dei non molti segnati da violenza) della rivolta scoppiata il giorno di San Valentino del 2011 nel piccolo regno del Golfo persico. Rivolta che da allora va avanti, nonostante una repressione costantemente feroce.

Quest’anno, Humaidan è stato insignito del premio John Aubuchon per la libertà di stampa dell’Associazione nazionale della stampa degli Usa. Qui, alcuni dei suoi scatti.

Intanto, peggiorano le condizioni di salute del più noto prigioniero di coscienza del Bahrein, Abdulhadi Al-Khawaja, all’ergastolo e in sciopero della fame da una settimana.

 

 

 

Fonte:

http://lepersoneeladignita.corriere.it/2014/09/01/bahrein-confermata-la-condanna-a-10-anni-per-fotoreporter/

 

BAHRAIN: IL RE VISITA LONDRA. ATTIVISTI IN PROTESTA

Da il manifesto

sabato 17 maggio 2014

Ieri a Londra ad accogliere il sovrano del Bahrein, Hamad bin Isa al-Khalifa, non c’era solo la regina Elisabetta. Al Queen Elizabeth Conference Center manifestanti bahreiniti hanno protestato contro l’esposizione della Bahrein Federation of Expatriate Associations, organizzazione pro-regime, per far conoscere <<la vera faccia del Bahrein, tollerante e democratico>>. La protesta si è allargata ai legami economici che da due secoli il Regno Unito intreccia con la petromonarchia, accusata di gravi violazioni dei diritti umani. Tra i target dei manifestanti il principe Nasser, accusato di torture durante le proteste anti-regime del 2011. Ad una corte di Londra spetterà decidere se cancellarne l’immunità diplomatica.

GRAN PREMIO DI FORMULA 1 IN BAHRAIN: SI TEME NUOVA REPRESSIONE DELLE PROTESTE

02/04/2014

© MOHAMMED AL-SHAIKH/AFP/GettyImages
© MOHAMMED AL-SHAIKH/AFP/GettyImages

Alla vigilia del Gran premio di Formula 1, in programma dal 4 al 6 aprile, Amnesty International ha sollecitato le autorità del Bahrein a non stroncare le proteste pacifiche previste in occasione dell’evento sportivo.

Negli anni scorsi, le autorità hanno adottato dure misure repressive contro coloro che prendevano parte alle manifestazioni per le riforme, gli attivisti che si opponevano alla famiglia reale e i promotori delle campagne per il rispetto dei diritti umani.

Le autorità del Bahrein non devono commettere gli errori del passato, limitando la libertà di movimento e stroncando le proteste. Il diritto della popolazione del Bahrein a esprimere in modo pacifico la sua opposizione alle politiche governative e la sua preoccupazione per la situazione dei diritti umani è legittimo e dev’essere rispettato” – ha dichiarato Said Boumedouha, vicedirettore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Gli attivisti dell’opposizione che hanno chiesto il boicottaggio del Gran premio sono stati già etichettati dal governo come “traditori”. Si teme che le autorità possano prendere a pretesto i recenti scontri e gli atti di terrorismo contro la polizia per imporre ulteriori restrizioni durante il Gran premio, come ad esempio impedire l’uscita dai villaggi e sciogliere violentemente le proteste pacifiche.

Durante le precedenti edizioni del Gran premio, ai giornalisti locali e stranieri è stato impedito di seguire le proteste e alcuni di essi sono stati espulsi per averlo fatto senza autorizzazione.
“Anziché continuare a ricorrere a misure di sicurezza nei confronti delle proteste antigovernative, le autorità dovrebbero marcare il Gran premio con l’annuncio di misure concrete per affrontare la drammatica situazione dei diritti umani nel paese” – ha affermato Boumedouha.

“Tre anni dopo l’inizio della rivolta, abbiamo visto solo cambiamenti di facciata e promesse di riforme non mantenute.

Gli arresti arbitrari, la repressione delle manifestazioni e le torture durante la detenzione proseguono senza sosta. Usare il Gran premio per rafforzare l’immagine pubblica del Bahrein è poco più di un mero tentativo di nascondere le crescenti violazioni dei diritti umani dietro un evento sportivo internazionale” – ha commentato Boumedouha.

Alcuni casi

Salah ‘Abbas Habib, un manifestante di 37 anni, fu ucciso dalle forze di sicurezza il 20 aprile 2012 nel corso di una protesta relativa allo svolgimento del Gran premio di quell’anno. Ai familiari fu impedito per tre giorni di vedere il cadavere. Nel novembre 2013 un agente di polizia è stato assolto per mancanza di prove e a causa delle contraddittorie dichiarazioni dei testimoni.

Nessun’altra persona è sotto inchiesta per l’omicidio di Salah’ Abbas Habib, i cui familiari attendono dunque ancora giustizia.
Nel 2013, Nafeesa al-Asfoor e Rayhana al-Mousawi, due attiviste di 31 e 38 anni, sono state arrestate per aver tentato di entrare nel circuito automobilistico del Gran premio per protestare contro la detenzione di attivisti politici. Entrambe sono state accusate di aver progettato atti di terrorismo e di possedere esplosivi. Il processo è in corso. Nel settembre 2013, Rayhana al-Mousawi è stata condannata a cinque anni, in un altro processo, per i suoi legami con la “Coalizione 14 febbraio”, un movimento giovanile che nel marzo di quest’anno le autorità hanno dichiarato organizzazione terrorista.

Le due attiviste hanno denunciato di essere state sottoposte a maltrattamenti e torture durante la detenzione e di essere state costrette a firmare “confessioni” che in seguito hanno ritrattato. Amnesty International ha chiesto che sia avviata un’indagine indipendente e approfondita sulle denunce di tortura e che i responsabili siano portati di fronte alla giustizia.

Il Gran premio di Formula 1 del 2014 segna anche tre anni dall’arresto di Mahdi ‘Issa Mahdi Abu Dheeb, ex presidente dell’Associazione degli insegnanti del Bahrein. Dopo l’arresto, venne tenuto in isolamento per 64 giorni e torturato anche dopo aver firmato la “confessione”. Amnesty International lo considera prigioniero di coscienza e continua a chiedere il suo rilascio immediato e incondizionato e l’avvio di un’indagine sulle sue denunce di tortura.

Numerosi altri attivisti per  i diritti umani, tra cui Nabeel Rajab e Abdulhadi Al-Khawaja, e centinaia di prigionieri politici stanno languendo in carcere solo per aver organizzato o invocato manifestazioni contro il governo.

“La radicata cultura dell’impunità che pervade le forze di sicurezza del Bahrein fa sì che di volta in volta ai responsabili delle torture e di altre gravi violazioni dei diritti umani venga consentito di farla franca. Invece di affrontare le violazioni dei diritti umani in corso, le autorità del Bahrein continuano a cercare il consenso internazionale attraverso eventi come il Gran premio di Formula 1 mentre allo stesso tempo violano clamorosamente i diritti dei loro cittadini” – ha concluso Boumedouha.

L’appello

Nel 2012, 13 attivisti dell’opposizione sono stati condannati con sentenze dai 5 anni all’ergastolo. Tra loro Nabeel Rajab e Abdulhadi Al-Khawaja. Chiedi il loro rilascio

Twitter action

Partecipa alla nostra Twitter action, chiedi che il Gran premio di Formula 1 non sia l’occasione per reprimere le proteste pacifiche.

Invia un tweet al ministero dell’Interno del Bahrein http://ctt.ec/684q4

Invia un tweet ai piloti di Formula 1 Alonso e Raikkonen http://ctt.ec/9W70d

Invia un tweet al Team della Ferrari http://ctt.ec/810I5

FINE DEL COMUNICATO                                         Roma, 2 aprile 2014

 

 

 

Fonte:

http://www.amnesty.it/gran-premio-formula-1-bahrein-repressione